“Sono un po’ stanchino, ma va bene così”. Maglia della FISI smanicata, stile il primo Nadal, abbronzato dalle vacanze e anche da tanti allenamenti sotto al sole, il volto stanco, tipico degli ultimi giorni del primo raduno, e tanta voglia di parlare dopo un paio di mesi di riposo anche mediatico.
Federico Pellegrino ci ha accolto così in una video chiamata, che abbiamo avuto con lui venerdì scorso, in chiusura del primo raduno a Dobbiaco, nel quale erano presenti anche gli atleti del gruppo Milano-Cortina 2026.
Lo avevamo lasciato a marzo, quando sempre a Dobbiaco, in occasione del Campionato Italiano, aveva speso parole importanti a favore di Markus Cramer, indicandolo come il tecnico adatto alla squadra italiana e un’occasione da non perdere. A Fondo Italia, Federico Pellegrino ha quindi parlato dell’arrivo dell’allenatore tedesco, è apparso davvero soddisfatto di ciò che ha visto al primo raduno e si è detto convinto che all’interno della squadra azzurra ci sia un buon potenziale. L’azzurro ha poi parlato di sé e di una situazione per lui inedita e in parte anche complicata, perché rispetto a quanto ha sempre fatto, non è ancora riuscito a focalizzare l’obiettivo motivante. Ma di questo ne parlerà nella seconda parte dell’intervista, che pubblicheremo domani.
Ciao Federico, quali impressioni avuto in questo primo raduno?
«In primavera ho fatto uno stop più lungo del solito, ben cinque settimane di riposo senza allenarmi, quindi il primo raduno si è rivelato abbastanza impegnativo. Ma al di là di ciò, queste prime due settimane con la squadra mi hanno messo tanto entusiasmo per ciò che ho visto intorno a me. Mi alleno con un gruppo che mette insieme un decennio di atleti italiani ed io tiro un po’ le fila per età. È stato interessante anche aiutare i ragazzi a capire i concetti dell’allenamento di Cramer, essendo lui a tracciare la linea della preparazione delle nazionali azzurre, compreso il Gruppo Milano-Cortina».
Insomma, hai belle sensazioni su questa squadra?
«Sono molto entusiasta perché vedo tanto potenziale e sono convinto che dal punto di vista fisico quella tracciata da Cramer sia la strada giusta, come ho riscontrato su di me. Voglio che questi ragazzi ci credano punto per punto, è importante che siano mentalmente pronti, non solo fisicamente. Cercherò di fare il mio, rispondendo alle domande dei più giovani, ho la volontà di far capire loro che nulla è così complicato come spesso si vuole far credere. Sono certo che seguendo le linee base impostate da Cramer, il livello medio crescerà. Ovviamente, per poi ottenere risultati servirà uno step in più, che dovrà essere mentale».
A marzo avevi suggerito l’arrivo di Markus Cramer e così è stato. Il suo arrivo quanto è importante per te?
«Molto, anche perché personalmente avevo già deciso di farmi allenare da lui in ogni caso. Lo scorso anno ho sposato ciecamente la sua linea, vi ho creduto, non vedevo altre alternative. Dopo aver visto i risultati che la sua preparazione ha avuto sul mio fisico, i miglioramenti che ho fatto sotto diversi aspetti, sono felice che questa linea possa fare bene a tutto il mio mondo, l’Italia. Se Markus ha deciso di sposare la causa italiana, significa che ha visto del potenziale. Negli ultimi mesi ne abbiamo parlato tanto, ho cercato di descrivergli un po’ il nostro movimento, le dinamiche dello sci di fondo italiano. Ovviamente, c’è stata una situazione che ha accelerato questo processo e mi dispiace che sia andata così e anche per i miei colleghi che non potranno più avvalersi della sua esperienza, che ormai davano per scontata. Per l’Italia sarà un cambio di metodologia, questa volta si è scelta davvero una linea nuova, molto diversa da quelle degli ultimi 10/15 anni. Ci tengo però a sottolineare che anche Markus non ha la bacchetta magica, quindi non aspettiamoci risultati immediati. Non pretendiamo grandissimi picchi di risultati già quest’anno, ma sicuramente chi ha già fatto molto bene negli ultimi anni può fare altri passi avanti. Mi aspetto però che il livello medio di tutti, da chi corre in Coppa del Mondo a chi gareggia in Opa Cup, si alzi, perché mi sembra di aver visto che tanti attori del nostro mondo credono in questa linea. Vedo unità d’intenti».
Cosa ti fa essere fiducioso che in Italia ci sia il potenziale per fare bene?
«Lo vedo nella strada che si sta presentando adesso, che è qualcosa di nuovo, ma non solo. Vedo la passione per questo sport, presente dappertutto nelle montagne nel nostro paese, dalle Alpi Marittime a quelle Carniche, lungo tutto l’arco alpino e a spot sull’Appennino, c’è sempre tanto amore per questo sport. Abbiamo un’ottima base di partenza e ora vedo uno sbocco in cui si può credere, qualcosa di nuovo rappresentato da un allenatore che viene dall’estero, una ventata di aria nuova, un’opportunità enorme che può liberare la mente di tanti. Sono fiducioso perché partiamo da un’ottima base e c’è questa forte spinta, che è in grado di creare una strada in cui tutti credono e che può essere utile ai nostri giovani».
Da allenarsi con i forti, potresti passare a guida dei giovani azzurri?.
«Vi dico la verità, senza fare critiche. Personalmente non credo che allenarsi per squadra A, B o C seppur sia il metodo più meritocratico, sia la giusta impostazione in quanto dei gruppi eterogenei, formati da atleti di livelli diversi, possono dare a tutti la possibilità di crescere, come ho visto in Russia. In quel modo, inoltre e soprattutto, non sono previsti tanti cambiamenti nei gruppi e negli staff con conseguenza logica di maggior fiducia nei tecnici. In questi giorni mi sono allenato con un gruppo che andava da me fino a Barp, ci passiamo 12 anni, abbiamo caratteristiche diverse e proprio per questo è stimolante. Io credo che con me possono allenarsi tutti. Anzi, c’è una novità: per la prima volta ho iniziato a pubblicare i miei allenamenti quotidiani su Strava, proprio per mostrare quanto sia semplice allenarsi e migliorare. In passato ero geloso di quello che facevo, ma forse oggi sono psicologicamente più propenso alla condivisione».
Insomma, un Pellegrino pronto a mettersi a disposizione della squadra.
«È una cosa che mi sento, ma ciò non vuol dire che in passato non l’abbia fatto, ho sempre cercato di dare supporto alla squadra condividendo e credendo in tutti i progetti in cui mi sono trovato. Vedo però qualcosa di diverso, credo tantissimo in questo progetto. Anche in passato l’ho fatto, mi sono buttato a capofitto su ogni progetto, da Chenetti a Saracco, ma sono sempre stati progetti sicuramente molto validi ma che hanno trovato difficoltà ad attecchire a tutti gli step. Ora sento che tutti possono migliorare con questa linea, perché vedo anche una grande unione di intenti da parte di tutti, da FISI, Corpi Militari e Comitati Regionali. Anche io ero scettico lo scorso anno, sia chiaro, ma non avevo scelta e mi sono fidato, per poi vedere un grande miglioramento. Quindi ora ci credo tanto e mi sento coinvolto in misura maggiore rispetto al passato. Anche in altre occasioni mi è stato chiesto un parere, questa volta, rispetto al passato, mi sento in qualche modo più responsabile, perché io ho visto i miglioramenti che ho avuto nel lavorare con Cramer e non solo io. È stata però la politica del nostro ambiente a portarlo in Italia e mi aspetto che essa abbia fiducia nella scelta che ha fatto, perché lo sci di fondo italiano ha impostato un lavoro quadriennale e mi auguro che se non dovessero arrivare subito medaglie, non si pensasse a cambiare già il prossimo anno, perché sarebbe l’ennesimo autogol che ci faremmo».
Insomma, l’invito è non avere giudizi affrettati chiedendo il risultato immediato.
«Personalmente credo in Cramer, ma non mi aspetto dieci medaglie a Planica. Anche se non ne arrivasse nemmeno una, aspetterei almeno un’altra stagione prima di giudicare il lavoro svolto. Sono però convinto che si possano gettare le basi per un quadriennio di continua crescita. L’importante è che gli atleti seguano la strada con fiducia, perché quando capisci che prendendo un particolare percorso puoi migliorare, devi farlo con fiducia, consapevole che il tuo limite lo scoprirai a fine carriera, solo allora sai davvero qual era il tuo potenziale e quindi il reale valore dimostrato in gara».
Inoltre un miglioramento di tutta la squadra azzurra, potrebbe essere importante anche nelle staffette, soprattutto in ottica 2026
«Certamente e io ci credo. Alla fine non ho mai vinto una medaglia in staffetta e mi manca una medaglia olimpica nella team sprint. Sono risultati che mancano al medagliere italiano da tanti anni o addirittura mai ottenuti, l’idea è avvincente. Ma qui già finiamo nel fronte obiettivi e non ho ancora deciso quali saranno i miei».