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Biathlon – Jonne Kähkonen si presenta: “Mi piace ascoltare le opinioni delle atlete, ma sono molto esigente; Vittozzi? Una sfida affascinante”

Lo incontriamo la prima volta mentre passeggia insieme al direttore agonistico Klaus Höllrigl fuori dall’Hotel Bella Riviera, a Viareggio, dove la squadra azzurra ha alloggiato la scorsa settimana, in occasione del via ufficiale della preparazione alla stagione 2022/23. Maglietta a maniche corte e pantaloncino, con la pelle chiara arrossata dalla recente vacanza in Turchia con la famiglia, il biondo Jonne Kähkonen ci sorride e si presenta, contento ed entusiasta di iniziare questa nuova avventura.
A guardarlo sembra uno dei tanti turisti nord europei che affollano la riviera toscana nel corso dell’estate, ma l’allenatore finlandese è in realtà concentrato a osservare tutto, a capire come muoversi all’interno dell’ambiente italiano, nel quale è già completamente immerso, stringere il legame con lo staff tecnico della squadra e soprattutto fare conoscenza delle atlete.

Poco dopo, nella hall dell’albergo, dopo aver scambiato due chiacchiere veloci con Lisa Vittozzi, torna da noi, si siede e inizia a parlare di questa nuova avventura che lo attende, spiegando con chiarezza e presentandosi anche in tutta la sua semplicità e simpatia.

Buon pomeriggio e benvenuto nel nostro paese. Quando ha avuto i primi contatti con l’Italia? Come mai ha accettato l’offerta italiana?
«Il primo contatto è arrivato poco dopo il termine della stagione. Più o meno alla fine di marzo o inizio aprile, ora non so dire esattamente. Avevo già deciso e annunciato da settimane, che il mio lavoro con la squadra finlandese si sarebbe concluso al termine dell’anno olimpico. Avevo affrontato il lavoro con la Finlandia come un progetto di quattro anni fino alle Olimpiadi, così è stato abbastanza naturale chiuderlo in questa stagione. Nel momento in cui avevo deciso di lasciare la Finlandia, non ero certo di cosa avrei fatto dopo, stavo aspettando di vedere se avrei trovato qualche team interessato. Poi sono arrivate alcune opportunità. La migliore era l’Italia».

La Finlandia ha molti giovani talenti come Invenius, Heikkinen, Kaisa Keränen e Hämäläinen, solo per nominarne alcuni. Perché ha deciso di lasciare il suo paese, pur sapendo che avrebbe potuto allenare queste interessanti promesse?
«Voglio vedere sistemi e culture differenti, scoprire come si lavora in altri paesi, perché l’Italia è diversa dalla Finlandia o dagli Stati Uniti, dove ho allenato in precedenza. Iniziare qualcosa di nuovo è sempre una bella sfida, è interessante, mi mantiene sempre motivato a proseguire la mia carriera da allenatore. Sono stato a lungo in Coppa del Mondo, prima da skiman, ora sono sedici anni come allenatore. È bello cambiare per mantenersi sempre freschi, ma soprattutto aiuta a migliorare come allenatore».

Lei ha già vissuto una bella esperienza nella squadra statunitense. Crede che l’abbia aiutata a migliorare?
«Si, l’esperienza negli Stati Uniti mi ha aiutato a migliorare, ma credo che un allenatore migliori ed evolva costantemente anno dopo anno, grazie anche al contatto con gli atleti e i feedback che riceve da loro. Penso poi sia un nostro dovere cercare sempre di evolverci, perché come fanno gli atleti, anche l’allenatore deve provare a migliorare costantemente».

Crede che il metodo di allenamento cambi tanto da una nazione all’altra?
«Ho allenato Finlandia e USA, mentre per ora l’Italia l’ho solo vista da fuori. Per il 70 o anche 80 percento, l’allenamento è simile ovunque, la base è la stessa, poi ci sono delle piccole cose che cambiano da una nazione all’altra. Per esempio sono curioso di vedere come faccia l’Italia a mantenere spesso la forma costante nel corso della stagione. In generale, poi cambiano anche altri aspetti. Gli atleti italiani sono più aperti e vivaci, mentre in Finlandia, per esempio, a volte devi veramente insistere per avere delle risposte da loro».

Ci può parlare dell’ultimo quadriennio alla guida della Finlandia? Non era facile migliorare nei risultati, nonostante il ritiro di Kaisa Mäkäräinen.
«Ho approcciato al lavoro vedendolo come un progetto di quattro anni. Anche se lei non aveva detto ancora nulla, sapevo fin dall’inizio che Kaisa probabilmente non avrebbe gareggiato ancora a lungo. Non sapevo quando avrebbe smesso di preciso, ma ero consapevole che stava vivendo gli ultimi anni della sua carriera. Quindi mi sono preparato al dopo Kaisa, ho cercato di lavorare per migliorare il nostro sistema e aiutare gli atleti più giovani a crescere e fare sempre meglio. Ho sempre detto che quanto il re o la regina della squadra si ritira, qualcun altro prende il loro posto prima o poi. Quindi il mio obiettivo era di spingere questi atleti affinché qualcuno fosse pronto a prendere il suo posto».

Quali sono le sue prime sensazioni dopo questo primo incontro con la squadra italiana?
«È molto stimolante avere un gruppo così ampio. Posso vedere il grande potenziale di una squadra che, sia tra gli uomini che tra le donne, ha alcuni atleti di grande esperienza affiancati da giovani affamati e motivati, che vogliono dimostrare ai più esperti di poterli sfidare. Ho avuto una bella impressione. Anche con lo staff ho subito legato, mi è piaciuto immediatamente in occasione dei nostri primi colloqui e confronti. Mi piace il team degli allenatori, molti già lì conoscevo da alcuni anni. Mi piace l’atmosfera che si respira, sono tutti entusiasti. È stimolante. Ora sarà sicuramente una sfida per me provare a capire meglio la lingua italiana (ride, ndr)».

A proposito, crede che la lingua possa rivelarsi un problema?
«No. Al primo colloquio con le ragazze, ho detto loro che quando non trovano la parola giusta in inglese, possono dirmela in italiano, così anch’io posso imparare meglio la lingua. Mi rendo conto che non tutte possono parlare un inglese perfetto e lo comprendo, ho consigliato quindi loro di provare ad esprimersi usando poche parole».

Nel suo gruppo è presente Lisa Vittozzi, un grande talento del biathlon internazionale. Nelle ultime due o tre stagioni, però, l’azzurra ha avuto diversi problemi. È una sfida stimolante per lei riportarla ai suoi livelli?
«È una sfida affascinante. Come tutti, anch’io sono consapevole del grande potenziale di Lisa. In questo momento (l’intervista è stata fatta mercoledì 18 maggio), non abbiamo ancora avuto modo di sederci e parlare. Ho tanta voglia di farlo e ascoltare cosa ha da dire, per cercare di trovare il modo migliore di lavorare insieme. Potrebbe essere una sfida oppure potrebbe rivelarsi magari molto semplice, perché qualche volta, magari nemmeno per meriti dell’allenatore o di qualcun altro, semplicemente si riesce subito a trovare il modo migliore di far lavorare l’atleta, che risolve i problemi. Altre volte è più complicato. Vedremo. Sicuramente è una bella sfida con un’atleta dal grande potenziale. Oltre a essere una persona brava ad ascoltare, però, sono anche un uomo che esige molto dagli atleti, quindi la spingerò tanto».

Nella sua squadra sono presenti le quattro ragazze che di recente hanno vinto l’oro in staffetta ai Mondiali Juniores di Soldier Hollow. Cosa si sente di dire loro, dal momento che probabilmente proveranno una maggiore pressione rispetto alle stagioni precedenti?
«Come vale per tutte le atlete, ma in particolare per le più giovani, si deve capire che esse non crescono di livello con uno schiocco delle dita, perché più si sale e maggiormente è complicato fare il passo successivo. È un progetto di quattro anni, dobbiamo migliorare di anno in anno, ma anche ogni giorno in allenamento. Qualcuna farà lo step già quest’anno, qualcun’altra il prossimo, ma dobbiamo ricordarci sempre che siamo una squadra, ci spingiamo e motiviamo a vicenda e così arriveranno i risultati».

Quanto è stimolante per lei trovarsi alla guida dell’Italia femminile all’inizio del quadriennio olimpico che porterà ai Giochi di Milano-Cortina 2026?
«Sicuramente questo è stato uno dei motivi più stimolanti per scegliere la squadra italiana. Avere le Olimpiadi in casa, soprattutto nel biathlon, ad Anterselva dove si gareggia ogni anno ed è veramente casa per gli atleti italiani, sarà qualcosa di speciale.

Può descrivere sé stesso ai tifosi italiani?

«Sono una persona tranquilla, che ama ascoltare gli altri. Per questo motivo mi piace prendere del tempo con gli atleti per parlare con loro e sentire cosa hanno da dire. Allo stesso tempo chiedo molto, posso essere convincente ed esigente, perché voglio vedere gli atleti raggiungere il loro massimo potenziale. Fuori dal biathlon, amo il cibo, ed è una cosa particolare da dire qui in Italia (ride, ndr). Se sono a casa, mi piace spesso cucinare, faccio soprattutto il pane e i pasticcini per il caffè. Inoltre, da giovane ho provato a suonare la chitarra, ho avuto anche con un insegnante, ma solo per un anno e mezzo. A lungo quindi non ho più suonato, poi, quando allenavo gli USA, all’interno del team c’erano diverse persone che suonavano benissimo, così mi hanno stimolato a riprendere. Insomma, oggi, quando ho tempo, oltre a cucinare, suono. Magari qualche volta suonerò la chitarra alla squadra (ride, ndr)».

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