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Olimpiadi

Putin protesta e urla che politica e sport sono realtà separate, ma lui per primo sa che non è così

L’esclusione degli atleti russi in tutte le competizioni ha mandato su tutte le furie Vladimir Putin, che l’ha utilizzata per scagliarsi nuovamente contro l’Europa alimentando la propria retorica nazionalista, nel tentativo di compattare la popolazione russa al grido di "tutto il mondo ci odia". Un sentimento che in Russia è vivo da tempo (in parte, per colpa di noi occidentali anche giustificato, ndr), ma che non possiamo ora approfondire, in quanto andremmo troppo fuori tema e avremmo bisogno dell’intervento di chi molto meglio di noi potrebbe affrontare questo argomento. 
Il presidente russo, nel corso di un vertice, ha attaccato le federazioni internazionali che hanno bandito gli atleti russi dalle competizioni e dagli eventi internazionali dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, il 24 febbraio scorso. «Anche i principi olimpici sono stati superati qui. Non hanno esitato ad escluderci dalle Paralimpiadi. Ma lo sport è separato dalla politica».
Frasi che pronunciate da Putin suonano quasi ironiche. Fa ridere infatti sentire parlare di "principi olimpici" chi proprio nel corso delle Olimpiadi stava pianificando l’invasione di un altro paese. La famosa "tregua olimpica" farebbe parte dei valori delle Olimpiadi, quelli che Putin non ha mai avuto. "Lo sport è separato dalla politica" ha detto. Ok, vi autorizziamo a prendervi una pausa di un minuto per farvi una risata davanti a questa affermazione, soprattutto perché pronunciata da Vladimir Putin! Sport e politica separati? Si, così dovrebbe essere in un mondo ideale, ma se così fosse perché gli atleti russi medagliati sono stati tutti premiati da Putin appena terminati i Giochi Olimpici? Il leader russo lo sa, le medaglie olimpiche sono da sempre un mezzo di propaganda per una nazione. Lo erano per Hitler nel ’36, lo sono state per l’ex Unione Sovietica, ovviamente lo sono state (e lo sono ancora oggi) per gli stessi Stati Uniti, che avevano trasferito la Guerra Fredda sui campi sportivi. E potremmo parlare dei paesi del blocco comunista, della Germania Est, la stessa Cina e tante altre nazioni, comprese le vittorie nel calcio dell’Italia di Mussolini negli anni ’30. Stati dittatoriali o "democratici", le cose non cambiano, lo sport è sempre stato considerato – aggiungo un grande purtroppo – un elemento di propaganda, è sempre stato utilizzato dalla politica. Putin lo sa bene e non dobbiamo certo tirare fuori il doping di stato di Sochi 2014 per averne conferma. La vittoria a tutti i costi, questo il messaggio lanciato allora, come mezzo di propaganda.
Escludere gli atleti russi fa male, soprattutto a noi che abbiamo imparato a conoscerli e apprezzarli partecipando anche ai loro raduni o conoscendo anche i nostri colleghi russi, e qualcosa si dovrà fare in futuro per riammetterli, perché siamo consapevoli che all’interno delle squadre russe, soprattutto coloro che da anni girano nel campo internazionale, non molti siano favorevoli alla guerra. Insomma, l’augurio è che presto agli atleti russi si possa permettere di partecipare, anche per dare un esempio di condivisione e per rispettare il loro impegno nella preparazione, ma in questo momento era probabilmente giusto fermarli. Dall’altra parte, dispiace che ci siano atleti russi che attaccano i norvegesi perché più degli altri hanno chiesto la loro esclusione dalle competizioni (che è poi arrivata dal CIO), mentre i loro stessi colleghi ucraini si trovano sotto le bombe. Capiamo la frustrazione del momento, ma a volte bisogna avere anche la capacità e sensibilità di uscire dalla propria bolla, anche se non è facile.
Quando ragioniamo sull’esclusione degli atleti russi dalle competizioni, non dobbiamo dimenticarci che gli stessi sportivi o ex sportivi vengono utilizzati come mezzo di propaganda dagli stati e spesso candidati anche a ruoli governativi. Non dimentichiamo Shipulin, ad esempio, ma anche la stessa Välbe, presidente della Federazione di Sci di Fondo, che la scorsa estate è stata eletta nella Duma di Stato proprio con il partito di Putin, per poi rinunciare, dopo aver portato i voti, e seguire ancora la squadra di sci di fondo. E non stiamo colpevolizzando questi due campioni dello sport per le proprie scelte politiche, ma vogliamo soltanto sottolineare che ciò dimostra quanto sia falso asserire che sport e politica non siano collegati. In un mondo ideale sarebbe così, ma purtroppo la politica si è appropriata della magia dello sport.
La speranza è che in futuro, politici migliori di Putin, ma potremmo citare anche tanti leader e politici occidentali, anche nel nostro paese, non sfruttino lo sport e le sue vittorie per accaparrarsi qualche elettore distratto, e capiscano che invece lo sport deve essere utilizzato POLITICAMENTE nel modo più giusto, SFRUTTANDONE I SUOI REALI VALORI: condivisione, uguaglianza, inclusione, lealtà. Lo sport è cultura e la cultura è l’unico veicolo possibile per rendere questo mondo migliore per le generazioni future. Ci auguriamo che quando gli atleti russi saranno riammessi, quando l’incubo di questa guerra sarà alle spalle, lo sport possa avere proprio questo ruolo di veicolo di pace e inclusione. Allora si, in quel momento saremo ben felici di dire che sport e politica non sono due entità separate.
* È poi lecito anche chiedersi perché le stesse misure non siano state prese in occasione di altri paesi invasori. Ma questo è un altro discorso e non è né il momento né il luogo per farlo.

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