Lo scorso gennaio Amanda Lightfoot era in lacrime dopo aver concluso al quinto posto la sprint della tappa di IBU Cup a Brezno-Osrblie. La britannica è stata per anni la guida della squadra di biathlon della Gran Bretagna, specialità alla quale si è avvicinata quasi per caso e che ha lasciato con un commovente annuncio nella giornata di ieri.
Ne approfittiamo per conoscere meglio il movimento del biathlon britannico, che in questi anni, alle spalle di Lightfoot, si è messo al lavoro per crescere, come accaduto già ad altre discipline invernali britanniche. In fin di conti la spettacolarità di questo sport potrebbe soltanto catturare passione e attenzione dei curiosi, se i britannici dovessero iniziare ad essere protagonisti. Ma la strada è ancora molto lunga, se si considera che quando nell’aprile 2019 Jürgen Klopp, allenatore del Liverpool, la squadra più vincente nella storia del calcio inglese, e grande appassionato di biathlon, incontrò il suo idolo Bjørndalen e Domracheva per una simpatica intervista al campo di allenamento del club della città dei Beatles, nessun giornalista locale sapeva nulla del campione norvegese, al punto che lo stesso Klopp manifestò tutto il proprio stupore di fronte alle domande che gli vennero poste riguardo all’olimpionico e non risparmiò qualche critica e frecciatina ai media inglesi.
In questo contesto, chi ha cercanto di aiutare Amanda e il movimento britannico è stato un italiano, legato anche sentimentalmente alla stessa Lightfoot, Ilario Maddalin, nell’ultimo quadriennio allenatore della squadra e impegnato affinché questo team potesse crescere. La sua è una storia partita da lontano, in quanto il veneto è stato fondista fino a 19 anni con lo Sci Club Valpadola e il Comitato Veneto. Una volta appesi gli sci al chiodo, ha lavorato come skiman per la Maplus, poi un paio di stagioni a seguito della squadra polacca, fino ad arrivare a quella britannica di biathlon. Lì l’incontro con Pichler che ha cambiato tutto.
«È iniziato tutto circa otto anni fa, quando sono entrato in squadra da skiman – ci ha raccontato Maddalin – allora Lightfoot veniva allenata da Wolfgang Pichler. Il tecnico tedesco venne chiamato a dirigere la Svezia, che chiese per motivi numerici che vi fosse un allenatore in più dal momento che con la squadra svedese si sarebbe allenata anche Amanda. Così venne chiesto a me di diventare allenatore al fianco di Pichler. È stata per me una fortuna enorme, perché ho potuto assistere alla crescita del movimento svedese, che al femminile era passato dal non avere atlete nel 2014 ai successi del 2018, che hanno dato il là a quello che stiamo vedendo oggi. Ho cercato di studiare tanto da Wolfgang e in qualche modo il mio obiettivo era, ispirandomi a lui, di far crescere il movimento britannico e portarlo ad un buon livello».
Ovviamente è molto più facile farlo in una nazione con grande tradizione negli sport invernali come la Svezia. «Si, in Gran Bretagna è molto complicato riuscire a mettere su un movimento, in quanto lì questo sport non è molto conosciuto. Ci vorranno diversi anni prima di avere un numero di atleti sufficiente per costruire qualcosa di importante. Un conto è lavorare con dieci atleti, un altro è averne tre».
Eppure qualcosa si è mosso, grazie anche all’impegno di Maddalin: «Abbiamo lavorato e la Federazione continuerà a lavorare con le scuole e i club per far crescere il numero di praticanti. Abbiamo anche organizzato un talent, coinvolgendo giovani tra i dodici e i sedici anni provenienti da tutto il Regno Unito. All’annuncio ci aspettavamo circa sessanta ragazzi, invece sono stati ben 160 che hanno deciso di provare. Alla fine abbiamo preso i dieci giovani più competitivi e in inverno li abbiamo portati a sciare, cercando di creare un gruppo».
In questa stagione, oltre Amanda Lightfoot vi erano circa sei atleti, quattro di essi, convocati per gli Europei dello scorso gennaio. Purtroppo quest’anno nessun atleta britannico ha gareggiato alle Olimpiadi, in quanto è stato complicato per la stessa Lightfoot qualificarsi con il sistema di qualificazione olimpico dell’IBU.
Tanti i sacrifici che gli atleti britannici fanno per continuare a seguire il proprio sogno, come quello di vivere a Ruhpolding, in Germania, lontani dalla propria patria: «In Inghilterra non ci sono poligoni, ne hanno giusto un paio in Scozia ma sono nel nulla e senza piste da skiroll. Abbiamo cercato di utilizzarli giusto per far provare i giovani, ma nulla di più. Da quattro anni gli atleti vivono e si allenano a Ruhpolding, che è ormai la loro casa. È cominciato tutto quando gli svedesi erano qui con Pichler e ormai è nata un’amicizia tra la località e questi atleti».
Maddalin è però consapevole che sarebbe fondamentale costruire almeno un impianto sul suolo britannico per fare davvero qualcosa di importante. «Ci stanno lavorando, seguendo anche l’esempio di squadre più piccole che costruendo un proprio impianto sono cresciute. Fino a quando non avranno la loro casa del biathlon sarà dura crescere. In questi anni siamo stati costretti a chiedere ai giovani di trasferirsi all’estero e non è certo una cosa che tutti possono fare. Quando riusciranno a fare quel passo (avere un impianto in Gran Bretagna, ndr) allora sarà una svolta. Ci vogliono però tanti soldi e sponsorizzazioni, quello che abbiamo cercato nel corso degli anni. Al momento anche a livello giovanile ci sono appena tre ragazzi e due ragazze nelle squadre Juniores e Youth, poi ci sono i dieci che hanno vinto il talent. Ma oggi in Inghilterra possono giusto allenarsi con gli skiroll nei parchi inglesi».
Nonostante le difficoltà Maddalin ha lottato tanto per aiutare la squadra britannica, ma terminato questo ciclo olimpico, ha deciso di aprirsi a una nuova esperienza: «Ho preso a cuore la situazione e questo mi ha spinto a dare tutto per questo movimento. Inoltre ho avuto l’appoggio di Amanda, che è anche la mia compagna. Insieme abbiamo messo le basi per creare qualcosa di importante qui in Gran Bretagna, anche perché personalmente mi sono trovato bene a lavorare con loro. Questo team è stato per me una famiglia. Abbiamo avviato un bel percorso che se seguito nel modo giusto nei prossimi otto anni, potrebbe permettere loro di costruire, come mi auguro, una bella squadra. Ma per riuscirci avranno bisogno anche di maggiore spazio nei media, essere conosciuti, ricevere qualche investimento in più e quell’impianto di cui parlavo prima».
Dopo il ritiro di Amanda Lightfoot, secondo Maddalin, il biathlon britannico deve iniziare ad allargare il proprio bacino di atleti, anche al di fuori dei corpi militari: «In questi anni la Gran Bretagna ha avuto soldati che fanno biathlon. Anche Amanda era un soldato, ha combattuto anche nella guerra in Iraq. Successivamente, vedendo che si teneva in forma e faceva sport, le proposero di andare a provare a sciare. Lei credeva dovesse fare alpino, invece a Sjusjøen scoprì che avrebbe fatto biathlon. Da lì è iniziato tutto. Ora in Gran Bretagna hanno capito che è arrivato il momento di dare questa opportunità ai civili. Sono stato felice dei numeri riscontrati con il talent proposto. Il fatto ci fossero 160 iscritti significa che l’interesse ci sarebbe, perché il biathlon piace se lo guardi. L’importante è che ora trovino i finanziamenti necessari per andare avanti».
È quello che Maddalin si augura dopo averci messo il cuore nel corso degli anni. Adesso, anche per l’allenatore veneto è arrivato il momento di guardarsi intorno e iniziare una nuova entusiasmante avventura nel biathlon. Siamo sicuri che presto avremo nuove notizie di lui.