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Biathlon

Biathlon – Hanna, Rebecca, David e gli altri. Il futuro è della “Generazione DOro”

L’8 marzo 2014 Beatrice e David avevano 14 anni, Hanna, Elia e Rebecca 13, Linda quasi una dozzina, Sara e Cristoph undici, Fabiana ed Irene non avevano ancora raggiunto la doppia cifra. Per alcune di loro il biathlon era già un affare di casa, per altre meno. Per le più piccole magari era poco più di un sentito dire.
Quel giorno una non ancora ventiquattrenne Dorothea Wierer salì per la prima volta in carriera sul podio di Coppa del Mondo, terza nell’inseguimento di Pokljuka dopo essersi già messa al collo il bronzo olimpico nella mista insieme a Karin Oberhofer, Dominik Windisch e Lukas Hofer. 
Sono passati di fatto otto anni, una quarantina abbondante di podi, due Coppe del Mondo generali, tre titoli mondiali ed un bronzo olimpico. E proprio pochi giorni dopo il terzo posto nella sprint di Pechino, la “generazione Doro” del biathlon italiano ha fatto vedere dall’altra parte del pianeta, sulle alture di Soldier Hollow, Utah, di essere il futuro.
Rebecca Passler nella sprint e Hanna Auchentaller nell’inseguimento hanno messo le mani sull’argento ai mondiali juniores, trainando una serie di ottimi risultati tanto al femminile, quanto al maschile, dove non va dimenticato che l’Italia potrebbe contare anche sui Giacomel e Bionaz, junior “prestati” ai grandi.
Fino a pochi anni or sono, il biathlon azzurro era cosa per pochi, ora c’è almeno una quindicina di atleti under 21 in grado di ben figurare nel panorama giovanile internazionale.
Sarebbe stato possibile senza quell’8 marzo 2014 e senza tutto quello che è successo poi?
In quasi un decennio Dorothea Wierer ha scritto ricche pagine dello sport italiano e speriamo che il “suo diario sportivo” abbia ancora diverso spazio bianco da compilare, ma è sotto gli occhi di tutti come la sua presenza, la sua capacità mediatica, il suo essere coinvolgente ed empatica abbia fatto da stimolo per un’intera generazione di giovani che oggi si affacciano in massa sulla soglia dell’eccellenza.
Lei stessa ha insegnato come i grandi risultati giovanili (e che trionfi, i suoi) non si trasformano immediatamente in successi o competitività tra i grandi. Per farlo, ha dovuto maturare – di testa e di fisico – e le ci sono volute diverse stagioni per prendere le misure alla nuova dimensione e soprattutto per definire la “nuova Doro”. Tempo che è stato necessario per una ragazza dal talento sopraffino – forse unico – e che dovrà essere concesso senza se e senza ma a tutti i ragazzi della generazione Doro. Nella consapevolezza che nessun traguardo è impossibile, ma anche che nulla è scontato, nel biathlon, nello sport, nella vita.
Saranno campionesse e campioni? Chissà.
Saranno meteore? Forse sì, forse no. 
Ma oggi questo non importa. La cosa fondamentale è avere a disposizione un bacino così profondo, così ricco e vario. Un vivaio in cui si affacciano realtà diverse dalla “solita” Anterselva, che resta ovvio e naturale riferimento di un movimento che si allarga sempre più, facendo proseliti in nuovi territori, da tempo ai margini del biathlon.
Sarà vera gloria? Lo dirà il futuro, che certezze non ne sa dare.
Ma la certezza è che nell’ultimo decennio (abbondante), Dorothea Wierer ha fatto sognare tutti noi. E tra noi anche quei pre-adolescenti e bambini che ora ne seguono le orme. Ed è forse questo il lascito principale della fuoriclasse di Rasum, ancor più delle coppe e delle medaglie: aver lanciato la “Generazione Doro”.

PS 1. Non solo Doro è quel che luccica: siamo consapevoli che in questi anni non è stata solo lei a vincere, trionfare, far sognare. Restando all’ultimo decennio, Karin Oberhofer, Dominik Windisch, Lukas Hofer, Lisa Vittozzi e via dicendo hanno regalato a loro volta sogni e riferimenti ai giovani biatleti del domani e sono (in certi casi) ancora oggi esempio e idoli.

PS 2. Pazienza, servirà pazienza. Perchè certezze non ce ne sono.

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