Un autentico dominio quello del biathlon norvegese alle Olimpiadi di Pechino 2022. Su 33 medaglie assegnate a Zhangjiakou, addirittura 14 sono andate alla squadra norvegese, il 42%! La bellezza di 6 ori, 2 argenti e 6 bronzi.
Un dominio assoluto, che assume ancora più valore se confrontato con il medagliere della precedente edizione dei Giochi Olimpici, quella di Pyeongchang. Allora la Norvegia si fermò a 6 medaglie, con appena un oro, 3 argenti e 2 bronzi. Già in quella occasione la squadra maschile era guidata da Mazet, appena arrivato dalla Francia dopo i trionfi con Fourcade. Proprio l’estate successiva alla stagione olimpica, è arrivato anche Patrick Oberegger, uno degli artefici del miracolo Italia, che ha lavorato benissimo con la squadra femminile, capace di fare un vero e proprio salto di qualità. Investimenti pesanti della Federazione, che hanno pagato.
Dall’altra parte complimenti alla Francia che è riuscita a tenere, anzi, nonostante i ritiri di Marie Dorin Habert e soprattutto sua maestà Martin Fourcade, è stata capace di migliorare decisamente il proprio bottino. I transalpini, che hanno riabbracciato Giachino dopo vari tentativi di cambiamento con la squadra femminile, e si sono affidati alla coppia Favre (altro artefice del miracolo Italia) e Vittoz nel fondo, sono passati dai 3 ori e 2 bronzi del 2018 ai 3 ori e 4 argenti di questa edizione. Un risultato che certifica un lavoro fatto benissimo proprio nelle fondamenta della nazionale francese, capace di andare oltre il ritiro di un grande campione come Fourcade.
Sommando Francia e Norvegia, abbiamo la bellezza di 21 medaglie su 33 vinte da appena due nazioni. Un dato che fa comprendere subito un binomio che oggi è piuttosto marcato. In realtà, da una parte, la grande assente è stata una delle grandi protagoniste della stagione, la Svezia, che non ha migliorato il suo bottino di Pyeongchang, quando vinse 2 ori e 2 argenti, mentre a Pechino sono arrivati 1 oro e 3 argenti. Medaglie che hanno un peso diverso se si considera la giovane età della squadra nel 2018. In realtà il gruppo svedese è ancora molto giovane, si è aggiunta una Elvira Öberg che promette di diventare una big di livello assoluto. A salvare un bilancio che rispetto alle aspettative sarebbe stato negativo, ci ha pensato proprio la giovane Elvira con i due argenti individuali, ma soprattutto la squadra femminile con la vittoria in staffetta. Poi il sorriso finale è arrivato da Ponsiluoma. Insomma, una buona Olimpiadi, ma non di più viste le aspettative.
Segni di netta ripresa da parte della Russia, che ha forse raccolto anche meno di quanto avrebbe potuto. Negli occhi ci sono gli errori di Latypov nell’ultima serie della staffetta maschile, ma in ogni caso un argento e tre bronzi rappresentano una ripartenza. Difficile, anzi impossibile, fare un confronto con Pyeongchang, quando i russi non poterono portare la squadra migliore, in quanto diversi atleti non vennero invitati dal CIO.
Netto il calo della Germania, che era la regina del medagliere di Pyeongchang con 7 medaglie, di cui 3 d’oro. I tedeschi hanno mancato del necessario ricambio per sostituire Dahlmeier, Peiffer, Schempp, tutti protagonisti allora e ritiratisi nel corso del quadriennio. Non va dimenticata, poi, la sfortuna di Preuss, che ha fatto una corsa contro il tempo per esserci. La squadra tedesca ha raccolto l’oro con Herrmann e il bronzo con la staffetta femminile, poco rispetto alla sua tradizione.
Le altre due nazioni in medagliere sono Bielorussia e Italia, entrambe con una sola medaglia. La Bielorussia veniva dall’oro e l’argento vinti a Pyeongchang, quando era guidata dalla splendida classe di Domracheva. Visti i risultati nella prima parte di stagione ci si aspettava forse qualcosa in più, ma le due big Alimbekava e Sola non sono apparse nella miglior condizione in occasione dell’evento clou. L’Italia ha colto un bronzo con Dorothea Wierer nella sprint, come fu a Pyeongchang con Windisch. Una medaglia attesa e sognata da tutti a coronare la splendida carriera della finanziera di Anterselva. Rispetto alla Corea del Sud è mancata la medaglia a squadre e sicuramente c’è un po’ di amaro in bocca per l’esito delle due staffette maschile e femminile, a lungo in lotta per il podio, ma anche per gli evidenti problemi con i materiali accusati nella mista. Peccato anche la poca fortuna avuta da Hofer nella pursuit, da lui chiusa al quarto posto. Alla fine il bilancio è più o meno simile alle precedenti edizioni dei Giochi, mentre un discorso diverso va forse fatto guardando alla stagione nella sua interezza (ricordandoci però che non è ancora terminata, ndr), in quanto la squadra azzurra è al momento a 3 podi in Coppa del Mondo, come fu nel 2013/14, l’anno di Sochi. Un ciclo durato per due quadrienni che ha regalato tante gioie, ma ovviamente arrivato quasi al suo capolinea essendoci alle porte un cambio generazionale, come ovvio che fosse. L’importante sarà ora saper ripartire e ricostruire.
Tornando ad osservare il medagliere rispetto a Pyeongchang, si nota anche che questa volta sono state solo sette le nazioni a medaglia, rispetto alle 10 della Corea del Sud. Rientrata la Russia, sono uscite Slovacchia (ovvio senza Kuzmina, ndr), Repubblica Ceca (una delle grandi deluse, ndr), Slovenia e Austria (le premesse erano diverse, ndr). Interessante come la crescita costante della Norvegia abbia fagocitato le nazioni che solitamente raccoglievano qualche medaglia. Nel corso dell’intero quadriennio si è passati da 10 nazioni medagliate in Corea del Sud, ma anche nei successivi Mondiali di Östersund e Anterselva, alle nove di Pokljuka dello scorso anno (era assente nel medagliere l’Italia) fino ad arrivare alle sette di Pechino.
Un dato che conferma quanto si sta vedendo anche in stagione. Per ora sono state appena dieci le nazioni salite sul podio in Coppa del Mondo, mentre al termine della stagione 2017/18 ne avevamo 17. In questo caso merito anche di una Svezia autrice di una bella stagione prima delle Olimpiadi. Ovviamente la Coppa del Mondo non è ancora terminata e c’è tempo per cambiare questi numeri, ma colpisce che mentre cresce il numero di nazioni che stanno investendo nel biathlon, il livello di alcune squadre sia cresciuto al punto da dominare il medagliere.
Una tendenza destinata a proseguire? Vedremo, perché la Norvegia, almeno in ambito femminile, è presto attesa da un cambio generazionale, dopo aver portato questo gruppo a livelli altissimi. Le giovani stanno crescendo bene, ma saranno già pronte per prendere il testimone da Røiseland ed Eckhoff che hanno già detto a chiare lettere di non immaginarsi ad Anterselva 2026? Sicuramente l’organizzazione norvegese è di altissimo livello, il bacino è enorme, ma i cambi generazionali non sono mai semplici. La Francia ha tutto per mantenersi a questo livello, se non addirittura crescere ancora, vista la sempre maggior popolarità del biathlon dall’altra parte delle Alpi. La Svezia ha una squadra giovane e può solo migliorare, soprattutto se Elvira Öberg dovesse continuare a crescere. La svedese ha tutto per diventare dominatrice del biathlon femminile, anche per la maturità al poligono mostrata durante le Olimpiadi, quando ha avuto un passo più lento rispetto alla prima parte della stagione.
Dietro a queste tre nazioni ci si aspetta che la Russia continui a migliorare, così come si attende un ritorno della Germania.
Dell’Italia abbiamo già parlato, ovviamente il ciclo si sta avviando alla sua conclusione e i cambi generazionali non sono mai semplici, ma i giovani non mancano e soprattutto c’è un’atleta che nel recentissimo passato ha dimostrato di poter lottare per traguardi importanti. Ritrovare a ogni costo Lisa Vittozzi è il punto di partenza per il prossimo quadriennio, così come mettere Giacomel, Bionaz e gli altri giovani nelle migliori condizioni possibili di crescita. È fondamentale non sprecare l’eredità del lavoro fatto in questi anni con Wierer, Hofer, Windisch e tutta la squadra. I prossimi anni saranno ancora più difficili, perché ci sono super potenze al loro massimo splendidore ed altre dormienti ma pronte a tornare.