È proprio un virus bastardo questo Covid-19. Per una volta permetteteci di utilizzare un termine un po’ più duro del solito, ma è quanto ci sentiamo di scrivere ora che siamo venuti a conoscenza della positività di Heidi Weng e Anne Kjersti Kalvå. La notizia è arrivata da Seiser Alm, in una conferenza stampa del medico della nazionale norvegese, Øystein Andersen, indetta dopo il giro di tamponi all’interno della squadra.
Quanto accaduto è anche sorprendente se si considera che la preoccupazione era nata nei giorni scorsi a seguito della positività di Arild Monsen, allenatore della squadra sprint maschile, mentre l’allenatore della femminile, Iversen, era risultato negativo. Non a caso, soltanto gli uomini erano stati fermati come contatti stretti. Eppure si è deciso di fare un test PCR a tutto il gruppo e le positività sono arrivate proprio all’interno della squadra femminile.
«È una situazione terribilmente dolorosa per noi come squadra – ha affermato Andersen – è terribilmente doloroso per gli interessati. La reazione di Weng? È chiaro che tutti gli atleti hanno fatto il possibile per evitare di essere contagiati. Un messaggio del genere quando sei qui asintomatico è ovviamente molto sorprendente.
Tutti hanno vissuto a distanza. Abbiamo scelto di seguire le regole italiane, anche se il test di Arild Monsen è stato sostenuto in Norvegia. Ci siamo concentrati sulla distanza, viviamo in piccole bolle per quanto ne abbiamo l’opportunità e la capacità. Rispettiamo le norme italiane applicabili in materia di isolamento. Le seguiremo rigorosamente. Tutti saranno isolati da coloro che sono infetti, terremo traccia dell’infezione intensamente nei prossimi giorni per vedere se ne troviamo altri che sono infetti. In realtà erano isolati da giorni anche prima che ciò accadesse».
Il manager della nazionale norvegese di sci di fondo, Espen Bjervig ha fatto il punto della situazione con tanta amarezza: «Arild Monsen ha avuto un test positivo all’arrivo a Gardermoen qualche giorno fa. Abbiamo poi testato tutti i nostri atleti con test rapidi per due giorni. Erano negativi. Abbiamo avuto una PCR l’altro giorno e poi è stato confermato che abbiamo due atlete infette all’interno della squadra. È una situazione pesante, ma mi è stato riferito che sono comunque di buon umore. Coloro che sono sani si allenano e rimangono concentrati sulle Olimpiadi, ma ovviamente con l’incertezza che aleggia quando abbiamo un’infezione in una squadra».
Per il momento, Bjervig si rifiuta di escludere Weng e Kalvå dalla squadra olimpica, in quanto si spera che le due possano negativizzarsi a breve essendo entrambe asintomatiche. «Per il momento non abbiamo deciso di escluderle dalle Olimpiadi. Dovremo valutarlo in questi giorni, sia in termini di salute che logistici».
Bjervig ha poi lanciato una velata accusa al CIO e non possiamo che essere d’accordo con lui, perché quando è apparsa la variante Omicron si sarebbe dovuto immediatamente fermare tutto: «Con il senno di poi, come si è sviluppata la situazione mondiale in questi mesi, personalmente penso che la cosa giusta sarebbe stata rimandare le Olimpiadi. È un po’ un terno al lotto».
La parola "l’atleta al centro" viene spesso utilizzata per riempirsi la bocca di una bella frase a effetto, ma se così fosse, per rispetto degli atleti, si sarebbe rimandato tutto di un anno. Che senso ha andare avanti con un’Olimpiade affidata ormai solo al caso? Dispiace perché abbiamo incontrato Heidi Weng varie volte negli ultimi due anni, l’abbiamo intervistata e ovviamente notato sempre la sua grandissima attenzione. La norvegese è sempre stata iper attenta, aveva anche dichiarato di essere andata in crisi lo scorso anno proprio per paura del virus. Di tutti gli atleti intervistati in questi due anni, Heidi Weng era l’unica appoggiata sempre nel punto più lontano, quasi a spostare la balaustra, o all’angolo opposto del tavolo, come potete vedere nella foto dell’intervista che le abbiamo fatto nel corso dell’estate durante il raduno di Lavazè. Invece, nulla da fare anche per lei. La chiara dimostrazione che ormai è veramente solo una questione di fortuna. E un’Olimpiade, per rispetto degli atleti, dovrebbe svolgersi in condizioni diverse.