Quando al termine delle scuole elementari alla Tåsen Elementary school di Oslo, i compagni di scuola descrissero Simen Hegstad Krüger sull‘annuario scolastico di fine corso, alcuni di loro oltre a rappresentarlo come un ragazzino timido ma allo stesso tempo divertente e grande amante dello sport, ne prefigurarono già il successo che lui ha poi ottenuto a Pyeongchang 2018 in quell’oramai famoso skiathlon nel quale, dopo essere stato coinvolto in una caduta poco dopo il via con conseguente rottura del bastoncino, fu costretto ad una lunga rimonta per riportarsi nel gruppo principale, superando sessantasei fondisti, prima di involarsi in solitaria a 5km dall’arrivo per conquistare a ventiquattro anni il suo primo oro olimpico.
"Simen è un piccolo ragazzo molto sportivo"; "Il piccolo Simen può rimanere fermo per ore a fare bene i suoi compiti"; "La matematica è la sua materia preferita"; "Lui è membro di un gruppo di studenti intelligenti che sanno tutto sulla matematica"; "Molti pensano che Simen sia piccolo e timido prima di parlarci personalmente, quando lui ti sorprende con grandi risate"; "E’ un forte sciatore ma può salire sul podio in tutti gli sport"; "Non vediamo l’ora di vederlo prendere l’oro in tv un giorno". Queste frasi premonitrici sono solo alcuni divertenti pensieri che si trovano sotto la sua foto nell’annuario scolastico di fine anno.
Il ventottenne nativo di Oslo ci racconta quel periodo e i suoi inizi con lo sci di fondo: «A quell’età mi piaceva molto lo sci, ma ero ben lungi dall’essere il migliore nella mia fascia d’età. Mi piaceva molto sciare e fare lunghe escursioni con gli sci con la mia famiglia, ma ero lontano dal top. Non avevo obiettivi di prendere medaglie d’oro o cose del genere perché a quell’età non sapevo esattamente quanto potevo essere bravo e facevo un passo alla volta. Sciavo soprattutto perché mi piaceva e sono poi entrato nel mio Lyn ski club dove eravamo un grande gruppo di ragazzi. Lì, ho incontrato molti dei miei amici che stavano già sciando nel club, quindi mi sono unito al mio sci club anche per aumentare le mie relazioni sociali.»
Simen Hegstad Krüger è nato ventotto anni fa a Tåsen, piacevole sobborgo posto a circa tre chilometri dal centro città della capitale Oslo, e a pochi passi dal celebre stadio calcistico di Ullevaal, e proviene da una famiglia di sportivi. Papà Lars si occupa dei materiali; mamma Inger vanta alcune vittorie nella sua fascia di età nella celebre Birkebeinerrennet; la sorella minore Solveig, oltre ad alcuni buoni piazzamenti nel circuito nazionale norvegese dello sci di fondo, vanta anche vittorie in ambito giovanile nell’orienteering. Conclude la famiglia Krüger il ventiduenne Espen, anch’egli impegnato nel competitivo circuito nazionale norvegese.
In età scolare Simen oltre allo sci di fondo ha anche praticato corsa, orienteering e calcio. Da ragazzo il biondo scandinavo non amava molto gareggiare nelle competizioni riservate ai ragazzini ma da grande amante dello sci preferiva fare lunghe escursioni con gli sci stretti con la sua famiglia lungo la regione a nord di Oslo del Nordmarka che per tutto l‘inverno si prestava perfettamente per questo tipo di attività. In età da teenager ed entrando poi nel Lyn Ski club passo dopo passo la voglia di competizione crebbe in lui: «Ricordo che a quel tempo c’era una sorta di rivalità tra gli altri membri dei club che erano abbastanza simili al mio livello e la cosa più importante per me era andare più veloce dei miei compagni di squadra e questo tipo di rivalità interna ci aiutava a vicenda. Ricordo anche che cercavo sempre di arrivare tra i primi tre in tutte quelle competizioni perché ricevevamo un piccolo premio se finivamo sul podio in quel periodo.»
Caratterialmente il campione di Oslo e’ rimasto quel ragazzo timido e riservato descritto anni fa dai suoi compagni delle elementari e che neppure il successo olimpico di tre anni fa e la conseguente popolarità raggiunta, lo hanno cambiato. Anche la fidanzata Kristine descrive il suo ragazzo d’oro come un tipo semplice e tranquillo ma che si scatena nel privato col canto ed il ballo. Simen conferma questi giudizi: «Sì, potrebbe essere. Sono un po’ timido, ma quando divento più sicuro delle persone ed entro in confidenza con loro, parlo di più, vedi una nuova parte di me e mostro un lato un po’ più eccentrico quando non scio o non mi alleno.»
A livello sportivo papà Lars racconta del figlio come un ragazzo che non ha mai avuto fretta di ottenere tutto subito, ma di essersi concentrato nel piacere di sciare senza essere ossessionato dai risultati a livello giovanile. Simen è un fondista che si è dimostrato sempre paziente e costante, passo dopo passo, nella sua crescita. Solo una volta compiuti i quindici-sedici anni, il fondista di Tåsen iniziò ad allenarsi più di proposito e seriamente migliorandosi semestre dopo semestre. Prima di quell’età era piuttosto indietro nelle classifiche di categoria norvegesi. Progredendo anno dopo anno, il fondista scandinavo è passato dalla medaglia d’argento ottenuta a fari spenti nei Mondiali junior di Liberec 2013 con la staffetta norvegese, al debutto in Coppa del Mondo nel Dicembre 2014 quando chiuse al ventunesimo posto il minitour di Lillehammer. La sua progressione verso il top è preseguita nel 2016 con l’oro nella sua 15km a skating nei Mondiali under 23 di Rasnov, transitando poi per due volte a Dobbiaco dove nel Gennaio 2017 ha ottenuto il suo primo podio in Coppa del Mondo nella 10km free del Tour de Ski e undici mesi dopo sempre nella località della Val Pusteria, con la prima vittoria in carriera nella 15km a tecnica libera.
Vittoria in Coppa del Mondo che ha fatto da preludio alle due medaglie d’oro nello skiathlon e con la staffetta oltre all’argento nella 15 km skating, da lui ottenute nelle olimpiadi coreane.
Vi è un campione del passato che ti ha ispirato a muovere i primi passi nello sci di fondo? E perché proprio lui?
"Direi la leggenda in persona Bjorn Dæhlie. Perché era il miglior sciatore quando ho iniziato a guardare lo sci di fondo in TV da ragazzo. Ricordo quanto fosse bravo sugli sci. Molte volte, mentre stavo sciando con mio papà, mi immaginavo di essere Bjorn Dæhlie e lui era Thomas Alsgaard, così facevamo piccole gare facendo una sorta di commento sulle nostre gare mentre sciavamo. È stato divertente per me essere come un Dæhlie sugli sci a quel tempo."
Raccontaci ora del tuo stile classico, molto migliorato nelle ultime stagioni. Ma in quale aspetto tecnico pensi di dover ancora lavorare?
“Ho fatto dei miglioramenti soprattutto negli ultimi anni, ma sto ancora lavorando sulla mia tecnica classica. Anche se mi sento più sicuro nella mia parte di pattinaggio, voglio davvero essere in grado di competere ad un livello più alto sia in alternato che nel pattinaggio. Sto lavorando duramente per ottenere le mie migliori prestazioni nei due stili di sci. All’inizio della mia carriera ero quasi più bravo in classico che nel pattinaggio, ma poi ho fatto grandi passi avanti nel mio skating ottenendo risultati stabili mentre i miei risultati in tecnica classica non erano così continui, a volte ero con i migliori e in alcune gare non lo ero. Ma da un paio di stagioni sto raggiungendo un livello alto e stabile anche in tecnica classica. Sto lavorando con il mio allenatore per mettere insieme piccole cose per migliorare ancora questa situazione e ottenere con continuità risultati allo stesso livello del mio pattinaggio lungo la mia carriera”.
Storicamente tu ami di più lo skating. Perché?
“Ho svolto lo stesso lavoro e ore di allenamento sia nel classico che nel pattinaggio lungo la mia carriera. Penso che forse qualche punto della tecnica del pattinaggio mi si addice meglio, perché i movimenti nel pattinaggio sono più rapidi e devi usare di più la parte inferiore del corpo, che per me è meglio. Lo skating è uno stile che si adatta fisicamente meglio al mio corpo. Nella tecnica classica spingi maggiormente coi bastoncini, le gambe lavorano meno rispetto al pattinaggio e lo fanno in modo e con movimenti differenti. Un altro motivo è che forse anche la parte superiore del mio corpo non era forte come lo è ora. Ma il mio obiettivo e la mia ambizione per i prossimi Giochi Olimpici sono di gareggiare anche nella 15 km in tecnica classica, insieme alla 50 km in skating e nello skiathlon, oltre a guadagnare un posto nella staffetta 4×10 km”.
ll tuo stile di pattinaggio è un esempio da mostrare nelle scuole di sci di fondo. Cosa dicono i tuoi allenatori della tua tecnica?
“Penso di apprezzare il fatto che molte persone affermino che la mia tecnica di pattinaggio sia un esempio da seguire, questo mi incoraggia. Ho lavorato sulla mia tecnica da quando ero un bambino. In questi anni abbiamo cercato di eliminare alcune cose superflue sulla mia tecnica e renderla redditizia, ma non mi sento ancora perfetto, sono sempre alla ricerca di un punto dove migliorare. Ci sto ancora lavorando, per esempio guardando i miei video e cercando di far funzionare meglio i miei movimenti coi piedi e la mia sensazione di sciare a skating, o su particolari che possono rendermi ancora migliore.”
Riavvolgendo il nastro della medaglia d’oro di Pyeongchang 2018 nello skiathlon, che ricordi hai di quel giorno? Credi che avresti vinto anche senza rompere il bastoncino? Quell’inconveniente ti ha dato un’ulteriore spinta in quell’indimenticabile giorno?
“Questa è una domanda che molte volte mi è stata posta. Non si può mai dire come sarebbe andata quella gara, se alla partenza quell’inconveniente non si fosse mai verificato. Ma a parte quello che è successo all’inizio, quel giorno ero nella migliore forma che avevo mai avuto. Sapevo di essere in gran forma. Se quel bastoncino spezzato e la caduta hanno aiutato la mia prestazione non posso dirlo, ma quando mi sono riportato sul gruppo di testa prima del cambio sci, mi sentivo un po’ soddisfatto in quel momento. Poi sono andato all in, non volevo stare con il gruppo e ho preso il rischio di attaccare da solo a 5 km dalla fine. Forse quell’incidente mi ha dato ulteriore energia in più, questo non posso dirlo con esattezza. Lo skiathlon è una gara lunga e dura, quando sono arrivato nel gruppo di testa avevo ancora tanta energia nel mio corpo e ancora tanta fiducia per la parte a skating di 15 km che stava incominciando.”
Che cosa conosci dei futuri tracciati del fondo a Pechino 2022?
“Ovviamente avrei preferito sciare lì la scorsa stagione prima di gareggiare alle Olimpiadi, ma non ne abbiamo avuta la possibilità, quindi tutto ciò che abbiamo, sono alcuni filmati sulle piste che abbiamo visto coi nostri tecnici, quindi provo a immaginare come sarà il percorso. Mi tengo dentro di me una sorta di film nella mia testa, ma cerco di non pensarci poi troppo perché se lo faccio e improvvisamente le cose dovessero essere diverse quando arriveremo lì, questo potrebbe essere una sorta di ulteriore sfida. Quindi voglio rimanere libero con la mente per essere pronto a tutto ciò che troveremo in Cina il prossimo febbraio. Per quanto riguarda l’altitudine, stiamo facendo diversi ritiri per simulare quelle condizioni e abbiamo esperienza nel gareggiare in alta quota, come sarà a Zhangjiakou. L’esperienza che ho con le gare in altitudine è abbastanza buona e penso che la quota dovrebbe essere un vantaggio per me perché mi adatto abbastanza velocemente a sciare sopra i 1500 metri.”
Cosa ne pensi della dura competizione interna che avete nel Team norvegese? Ritieni che sia uno stimolo costante che dura undici mesi all’anno o che alla lunga possa portare un atleta ad avere prestazioni inferiori in eventi come le Olimpiadi o i Mondiali ,dopo aver lottato tanto in stagione per ottenere un pettorale?
“Penso che si possa giudicare questa situazione in entrambi i modi, perché quando siamo nei raduni sappiamo che la competizione che troviamo l’uno con l’altro è al suo livello più alto. Sappiamo dove si trovano i nostri punti di riferimento, ma ovviamente preferirei avere un pettorale per competere in Coppa del Mondo con maggiore facilità, ma noi norvegesi dobbiamo qualificarci tutte le volte. Questa è una sfida. Dobbiamo fare buone gare prima delle Olimpiadi o dei Mondiali e non possiamo concentrarci solo su quegli eventi, ma dobbiamo farlo sulle gare di Coppa del Mondo, prima di avere la possibilità di essere selezionati per quegli eventi principali. È impegnativo, ma non penso sia un danno bensì una nostra risorsa. Abbiamo una squadra così forte, abbiamo solo quattro posti disponibili per ogni gara e siamo almeno 8-10 ragazzi in lotta per quel posto e poi per la medaglia. Quindi questa sfida è anche il motivo per cui abbiamo una squadra così competitiva, questa lotta ci spinge ogni giorno e dobbiamo essere pronti in ogni gara, perché se non fai del tuo meglio qualcun altro prenderà il tuo posto. Forse per gli sciatori più giovani che non sono in Nazionale è più difficile, perché anche loro sono ottimi sciatori ma non hanno tante opportunità di gareggiare in Coppa del Mondo. Ricordo che quando avevo venti o ventidue anni non avevo molte opportunità e quando poi ricevevo quell’unica occasione, dovevo mostrare immediatamente cosa sapevo fare per essere poi di nuovo in Coppa del Mondo. È impegnativo, ma devi cogliere quelle piccole opportunità. Le quote nazionali sono sempre in calo, abbiamo sempre meno sciatori in Coppa del Mondo, a parte quando gareggiamo in Norvegia, quindi capisco quegli sciatori che sono fuori dalla Nazionale che hanno fatto buone gare nel nostro circuito interno, ma che non hanno la possibilità di competere con continuità. È abbastanza ingiusto. “
Appunto, a riguardo della quota nazionale ti faccio due esempi. A Wimbledon i migliori 128 tennisti possono entrare nel tabellone principale indipendentemente dal paese di provenienza e lo stesso accade per il Tour de France con i migliori 184 ciclisti sulla linea di partenza. Pensi che dovrebbero esserci anche nel fondo più atleti di vertice in Coppa del Mondo e non quote limitate di pettorali per ogni singolo paese?
“Penso che non sarebbe dannoso per l’interesse internazionale se i migliori fondisti potessero gareggiare in Coppa del Mondo. Ma se pensiamo al ciclismo, credo che i due sport siano completamente diversi per come sono costruiti adesso. Loro hanno squadre private e forse a volte in futuro avremo anche nel fondo quel sistema senza quota nazionale. Ma è una lunga strada da cambiare per il cross-country, ma forse sarebbe solo eccitante avere tutto il meglio nella nostra starting list".
Quale pensi sia stata la cosa peggiore che la FIS ha fatto riguardo allo sci di fondo negli ultimi dieci anni? Quali errori non dovrebbero più ripetere?
“Non so quale sia la cosa peggiore, ma sento che dobbiamo avere gare e percorsi più duri. Penso che sarà emozionante per il pubblico avere quel tipo di competizione. Ad esempio nel ciclismo mi piacciono soprattutto le tappe in cui vi sono alte montagne e salite, sono eccitanti da guardare. Lo stesso dovrebbe valere per lo sci di fondo. Invece ora ci sono tantissime partenze in linea di 15 km con percorsi abbastanza facili. Preferirei gare più dure, come la vecchia partenza a intervalli di 50 km che avevamo a Holmenkollen anni fa, dove gli sciatori si spingevano davvero al limite del proprio potenziale per tutto il tempo. Credo sia qualcosa che il pubblico vorrebbe vedere».
Quante sprint dovrebbero esserci nel calendario della Coppa del Mondo a tuo parere?
“Forse non sono del tutto obiettivo in questo, ma ritengo che ci sono parecchie sprint nel nostro calendario ora. Mi dispiace invece che ci siano poche gare lunghe. La sprint deve restare, c’è molta azione ma non credo che dovremmo avere più sprint rispetto a gare di distanza. Io che non faccio tante sprint, solo nel Tour de Ski o nei Minitour, e che sono pessimo nelle sprint, ne vorrei ancora meno e obiettivamente ammetto che il numero fra i due format è abbastanza equilibrato. Direi, piuttosto, che se le 15km mass start venissero cambiate in 30km o gare più lunghe, per me sarebbe meglio. Maggiori sono i chilometri, meglio per me.”
Che detto da un piccolo genio della matematica non fa una grinza.
Simen Krüger a Fondo Italia: “Il fondo dovrebbe proporre percorsi più duri e lunghi”
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