Mika Myllylä ci ha lasciato, esattamente dieci anni fa il 5 Luglio 2011, in una normale e tranquilla mattinata nella sua casa di Kokkola, ma ha soprattutto lasciato sgomento il suo popolo finlandese che l’aveva fin dagli inizi della carriera adottato ed in seguito mitizzato. Sulle principali testate sinivalkoinen dell’epoca, non appena diffusa la triste notizia si parlò subito di suicidio, dati i suoi problemi di depressione e alcolismo che lo accompagnarono per tutto il periodo susseguente ai Mondiali di Lahti, ma in seguito la polizia locale e più approfondite indagini smentirono tali iniziali speculazioni, affermando che si trattò di un incidente casalingo, mai però specificato nei dettagli.
Ma Mika, forse, sportivamente ed umanamente, era “virtualmente defunto” già due volte prima di quel triste 5 Luglio di dieci anni fa.
Sportivamente la sua fine avvenne durante i Mondiali di sci nordico disputatisi in patria nel Febbraio-Marzo 2001, nel quale buona parte del Team finlandese fu trovato positivo al doping per aver utilizzato il famigerato e maledetto Epo. Per questo fu poi squalificato per due anni. Provò poi a tornare alle competizioni nell’inverno 2003, ma non seppe più essere ai livelli a cui aveva abituato il suo popolo biancoblu, chiudendo poi la carriera nel Marzo 2005. Ma un secondo e forse per lui più pesante capitombolo per la sua stabilità emotiva fu il divorzio con la sua amatissima moglie Suvi Päivikki, avvenuto nel 2007. Suvi è sempre stata tutto per Mika. I due si conobbero in età adolescenziale e lui ha sempre amato sua moglie con tutte le proprie forze, condividendo assieme il periodo di successo e gloria degli anni ‘90 ed il successivo decennio di gravi turbolenze.
In tutto questo tourbillon di alti e bassi che hanno caratterizzato la sua esistenza, in ogni caso Myllylä si è sempre sforzato di essere il miglior padre al mondo per i suoi tre figli Benjamin, Olivia e Viljami, come da lui più volte sottolineato all’interno della sua autobiografia “Riisuttu Mestari – Il campione spogliato”.
Mika Myllylä era un meditatore solitario, molto religioso, nato senza il talento naturale per essere un grande della disciplina, ma noto per essere un grandissimo lavoratore che ha posto lo sci di fondo come suo principale scopo per riscattarsi da un’infanzia piuttosto difficile. I Finlandesi lo avevano già eletto loro condottiero della disciplina, in occasione delle sue prime medaglie internazionali acciuffate alle sue seconde Olimpiadi, a Lillehammer 1994, per poi designarlo come degno erede dei grandi del fondo finlandese, come Veikko Hakulinen, Eero Mäntyranta o il gigante Juha Mieto, a Nagano 1998.
Vi è una foto che più di tutte rappresenta appieno il personaggio Mika, scattata nella mitica palude di Tervaneva dal noto e pluripremiato fotografo finlandese Hannes Heikura nell’estate 1997. Istantanea, messa in copertina, e premiata come Foto dell’anno in Finlandia. L’immagine, presa durante uno dei suoi duri e abituali allenamenti, mostra il campione finlandese parzialmente affondato nella palude mentre si appoggia ai bastoncini con la testa china ed il fisico quasi totalmente sfinito. Quell’immagine è salita, in Finlandia in primis, a proporzione simbolica e come perfetta rappresentazione dell’atleta che sta combattendo per diventare più forte e mostra la volontà di vincere ed il lungo e faticoso lavoro solitario che si nasconde dietro le migliori prestazioni di un’atleta.
Ma per comprendere il personaggio e l’uomo Mika Myllylä, “Karpasi” per gli amici, è bene conoscere il suo background ed il duro percorso che l’ha portato ad essere l’uomo copertina del fondo mondiale ai Mondiali di Ramsau 1999, conclusi con tre ori ed un argento ben appesi intorno al collo.
Mika Kristian Myllylä nacque il 12 Settembre 1969 nella piccola località dell’Ostrobotnia finlandese di Haapajärvi da una famiglia appartenente alla piccola borghesia. Compiuti i due anni di età i suoi genitori Jouko e Pirkko si trasferirono nel sud della Svezia, nella regione del Västra Gotäland, in quel di Trollhättan per lavorare all’interno delle fabbriche della Saab.
I primi anni di frequentazione scolastica non furono semplici e felici per il giovane Mika, unico immigrato finlandese in un ambiente totalmente svedese. Nei primi anni delle elementari, i compagni spesso deridevano e bullizzavano lo straniero venuto da oltre confine, in quanto all’epoca gli svedesi di bassa cultura credevano che i finlandesi appartenessero ad una tribù separata dai russi, fuggiti dalla miseria e dalla povertà del loro paese. Nel libro Mika racconta anche che ricevette schiaffi e pugni dai compagni di classe svedesi, tornando alcune volte a casa da scuola in lacrime e con la faccia tumefatta. Il campione finlandese scrive che all’epoca ancora non si parlava di bullismo scolastico ma quelle prime dure esperienze gli hanno poi lasciato interiormente qualche complesso di inferiorità, manifestatosi poi in età adolescenziale con un carattere spesso riservato tendente a nascondersi dagli altri.
A Trollhättan, piano piano le cose però migliorarono e la sua successiva frequentazione nel locale club sportivo portò una grande boccata d’ossigeno nella vita del giovane finlandese. In Svezia, oltre a praticare lo sci, Myllylä ottenne buoni successi giovanili nell’orienteering. In virtù della sua assidua frequentazione con la complicata disciplina che viene svolta principalmente nei boschi e nelle foreste servendosi solo di bussola e mappa, lui capì che le sue qualità erano perfette per gli sport di resistenza. Il suo fisico non era adatto per competizioni brevi o scatti repentini.
Dopo più di dieci anni passati in terra scandinava la famiglia decise di tornare in Finlandia in quanto il padre trovò lavoro nell’industria metallurgica e la mamma come addetta alle pulizie. Mika a malincuore dovette seguire i genitori e abbandonare gli amici, che negli ultimi anni lo avevano accettato per i suoi primi successi sportivi. Nella nuova scuola di Haapajärvi si sentiva di nuovo un solitario e spesso sedeva vicino alla finestra di casa guardando da solo l’oscurità fredda, vuota e anonima che il paesaggio finnico gli presentava negli occhi. Il suo primo Natale trascorso nell’Ostrobotnia finlandese gli portò però un bel regalo che “Karpasi” ricorderà per sempre: i primi sci in vetroresina Järvinen.
Quando Myllylä, nell’inverno 1983, vinse i suoi primi campionati distrettuali di sci di fondo prese una decisione irreversibile: «Lo sci di fondo è diventato il mio unico passatempo ora. Voglio diventare uno sciatore di successo!» ricorda lui nella sua autobiografia. I genitori di Mika, la cui situazione finanziaria è sempre stata piuttosto complicata, una volta terminate le superiori, avrebbero voluto che il figlio si laureasse all’università, ma lui ha sempre girato la testa alle varie richieste ricevute da mamma e papà. Il ragazzo si sentiva a suo agio solamente quando sciava, aveva oramai un solo chiodo fisso: la ricerca di una vittoria olimpica nel fondo!
Per raggiungere questo suo sogno chiese di persona di essere allenato dal coach dello sci club casalingo di Haapajärvi, il rude Aarne Aho. Coach Aho era considerato un allenatore duro con una visione controcorrente rispetto ai canonici metodi di allenamento. Lui aveva una visione completamente diversa rispetto ai dettami dell’epoca che venivano seguiti dai tecnici federali finlandesi. Una volta accettato il ruolo, l’unica richiesta che pretese da Myllylä fu di seguirlo in tutto e per tutto. Mika era più che pronto a farlo, così come diede massima disponibilità nello svolgere ogni tipo di allenamento intensivo e fuori dal comune a cui veniva sottoposto.
Memorabili nel tempo rimangono i suoi allenamenti nelle caratteristiche paludi della sua Ostrobotnia, le salite svolte su pendii sabbiosi, le numerose ore di canottaggio per sviluppare la parte superiore del corpo, o i lunghi tragitti fra le foreste corsi con uno zaino contenente delle grosse pietre sulla schiena. Di questo celebre sodalizio rimase famosa la frase che Aarne spesso ricordava al suo protetto: «Ricorda che non vi sono salite nello sci. Ci sono solo percorsi con diverse angolazioni per il corpo rispetto al terreno.» In una ordinaria giornata di allenamenti estivi, il finlandese poteva anche pedalare per 60 km, remare per 2-3 ore e sorbirsi come gran finale anche un centinaio di chilometri sugli ski roll.
In breve tempo arrivarono i primi successi per Myllylä, inizialmente a livello nazionale, poi anche internazionale. Dopo le sue prime Olimpiadi del 1992, svolte da apprendista all’età di ventidue anni, fu la successiva edizione di Lillehammer 1994 a portare il fondista finnico alla ribalta internazionale. In Norvegia Mika conquistò la medaglia d’argento nella 50km in alternato, cui seguirono due bronzi nella 30km a skating ed in staffetta. Nei successivi Mondiali di Thunder Bay in Canada, salì sul terzo gradino del podio nella 10km in classico. In Ontario arrivarono per lui anche due medaglie di legno nel pursuit e nella 30km.
Nella stagione 1996 a Davos conquistò la sua prima vittoria, delle dieci che ha totalizzato in carriera, in Coppa del Mondo. Sfera di cristallo generale che mai però è riuscito a portare nella sua regione natia del Pohjois-Pohjanmaa. Il fondista ostrobotniano ha sempre considerato le medaglie come suo primario obiettivo stagionale e ha svolto ogni volta la dura preparazione estiva per arrivare al top di forma in prossimità degli eventi a cinque cerchi o iridati. Come accaduto per esempio nei successivi mondiali norvegesi di Trondheim 1997.
Nel capoluogo del Trøndelag, l’allora ventisettenne finnico iniziò conquistando il bronzo nella 10km classica, metallo migliorato in argento nel successivo inseguimento in pattinaggio. Un secondo argento Mika lo colse con la staffetta finlandese. Ma fu con la storica medaglia d’oro ottenuta nella sua 50 km in alternato con partenza ad intervalli, che la stampa del paese dei mille laghi lo elesse a proprio eroe nazionale dello sci di fondo regalandogli prime pagine a ripetizione. Quei successi in terra scandinava lo posero come uno dei grandi favoriti per i successivi Giochi Olimpici. Mika non voleva più fermarsi e coi suoi particolari e duri metodi di allenamento si presentò al top della forma alle sue terze Olimpiadi in terra giapponese.
A Nagano il nativo di Haapajärvi centrò l’obiettivo che aveva in mente fin da teenager, mettendosi al collo la medaglia d’oro nella 30km in tecnica classica. L’Ostrobotniano ha raccontato come quella fu la sua gara perfetta, quel giorno lo sci per lui fu facile, la sua mente ed il suo corpo avevano la sensazione di sciare su una nuvola continuando al massimo ritmo fino al traguardo, dove si sentì come in uno stato di profonda estasi dopo aver visto il suo vantaggio finale di più di un minuto e mezzo sul secondo di giornata, il norvegese Erling Jevne. Mika era diventato un eroe nazionale. Tutti volevano parlare o leggere di lui. Ma a Nagano nel corso della cerimonia di chiusura fu anche visto in uno stato di ubriachezza. L’alcool, di tanto in tanto, faceva già parte della vita del campione olimpico anche durante i suoi anni di punta nello sci di fondo. Durante la rassegna nipponica a cinque cerchi arrivarono per lui anche due bronzi nella 10km sempre in alternato ed in staffetta.
L’oro olimpico appena conquistato non placò la sua voglia di successo e nei successivi Mondiali di Ramsau, Myllylä venne eletto ad uomo copertina dei campionati. Nella piccola cittadina della Stiria, il finlandese conquistò in serie l’oro nella 10km, a cui seguì l’argento del pursuit, nella 30km e, dimostrandosi intoccabile nel suo format preferito, nella 50km in alternato. Con le quattro medaglie al collo in terra austriaca, Mika ricevette i complimenti dal più grande fondista della storia, il norvegese Bjørn Dæhlie: «Felicitazioni per la tua impresa e, a proposito, dove sono gli UFO oggi ?» scambiando un luccicante sorriso di intesa col finlandese. Il riferimento del supercampione norvegese era la famosa frase di Myllylä pronunciata verso Bjørn in occasione delle Olimpiadi di Lillehammer, nel quale il fuoriclasse di Nannestad aveva quasi vinto tutto in quei giorni: «Sei un bell’UFO qui in Norvegia. Tu provieni da un altro pianeta.» Le parole pronunciate da Dæhlie durante la cerimonia di chiusura a Ramsau significarono molto per Mika. La vittoria olimpica a Nagano era un sogno che si avverava, ma con l’apprezzamento del mito del fondo Norge, sapeva di aver raggiunto un picco assoluto.
Al termine dei Mondiali austriaci un contento e soddisfatto Myllylä descrisse con poche scarne parole le sue impressioni del momento alla TV finlandese: «Il mio lavoro è finito qui. Questa è stata la cosa più dolce e allo stesso tempo più dura della mia carriera. Ma ora lasciatemi in pace. Dimenticate le interviste ed i riconoscimenti. Questo è il mio momento.» Dopo Ramsau il finlandese era però rimasto solo col suo successo.
Dopo aver vinto tre ori ad un argento nei Campionati del Mondo 1999, il campione iniziò a soffrire di problemi motivazionali. Il piacere di allenarsi duramente giorno dopo giorno era scomparso. Lo sci era diventato quasi un lavoro per lui. Dopo Ramsau, Myllylä fu trasformato in un’autentica superstar in Finlandia, ma allo stesso tempo fu lasciato solo con le pressioni che il popolo finlandese gli aveva inflitto aspettando da lui gli stessi risultati nella successiva rassegna iridata che si sarebbe disputata in casa a Lahti. Inoltre il fortunato sodalizio con coach Aho era terminato e lui si era assunto piena responsabilità della propria gestione dentro e fuori i tracciati. In breve non aveva più il controllo della sua situazione e questo portò la sua dipendenza all’uso di sostanze proibite con le conseguenze uscite al mondo intero con lo scandalo doping accaduto durante i Mondiali di Lahti 2001.
Al termine dei Mondiali casalinghi “Karpasi” si isolò con la sua famiglia per qualche tempo sfuggendo a Media, amici e addetti ai lavori dell’ambiente sci di fondo. Squalificato dalla Federazione Internazionale per due anni Myllylä fu l’unico, fra gli atleti, i medici, gli allenatori e i dirigenti tutti coinvolti nello scandalo di Lahti 2001, ad aver ammesso l’uso di sostanze dopanti nel corso del processo che ne seguì.
Sia in televisione che nella sua autobiografia Mika si scusò prima di tutto col suo popolo che l’aveva così caldamente sempre sostenuto: «Il mio cuore è in pezzi, e non c’è un adeguato modo nel descrivere con le parole la quantità del mio estremo dispiacere. Mi inginocchio, ammetto la mia sconfitta e chiedo il perdono di Dio per la mia anima a tutto il popolo finlandese. Dal profondo del mio cuore vorrei scusarmi con tutti loro per il mio errore».
Terminata ingloriosamente la carriera nel 2005, Myllylä, seppur sempre alle prese con problemi legati all’alcolismo, ha poi lavorato come agente immobiliare nella zona attorno a Kokkola con una parentesi nella MTB a livello nazionale nel 2010. Dal 2007, i tabloit finlandesi hanno continuato a riempire le proprie pagine di cronaca per il divorzio, i due arresti per guida in stato di ebbrezza ed alcune segnalazioni per diversi assalti e risse che lo hanno visto coinvolto.
Esattamente dieci anni fa la vita dell’ex fondista ha smesso di continuare all’età di soli quarantuno anni comunque vissuti sempre molto intensamente dal campione di Haapajärvi. Scorrendo le pagine di ”Il Campione spogliato” vi è una frase che ben rappresenta la filosofia ed il modo di intendere lo sport da parte dell’ ex eroe dello sci di fondo finlandese e che in qualche modo profetizza ciò che sarebbe successo quel triste 5 Luglio 2011: «Lo sport mi ha dato molto, ma poi mi ha anche portato via molto. Adesso non vi è più fretta, la battaglia è finita. E’ ora di una nuova vita.»
SCI DI FONDO – Mika Myllylä: a dieci anni dalla scomparsa, il mito del fondo finlandese rimane un’icona per il suo popolo
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