La nazionale azzurra di biathlon è tornata quest’anno a lavorare in gruppi più ristretti, come accadeva fino a due stagioni fa. L’obiettivo è quello di alzare la qualità del lavoro, permettendo agli allenatori di concentrare l’attenzione su un numero ridotto di atleti. Per questo motivo la Squadra A, pur avendo un programma di lavoro identico, è stata divisa in due sottogruppi.
Dopo aver parlato nelle scorse settimane con Mirco Romanin, che assieme a Klaus Höllrigl, guida Lisa Vittozzi, Michela Carrara, Rebecca Passler, Thomas Bormolini, Daniele Cappellari e Patrick Braunhofer, questa volta, assieme ad Andrea Zattoni, ci concentriamo sulla cinquina composta da Dorothea Wierer, Dominik Windisch, Lukas Hofer, Tommaso Giacomel e Didier Bionaz, che è guidata da Andreas Zingerle e proprio dall’allenatore trentino delle Fiamme Gialle.
Buon pomeriggio Zattoni. Quale impressione le hanno fatto i suoi cinque atleti in occasione dei primi due raduni che avete svolto ad Anterselva ed in Val Martello?
«Li ho trovati molto bene, tutti motivatissimi per ragioni diverse. Tutti loro hanno voglia di alzare il proprio livello, sia i due giovani che i tre più esperti. Luki ha la carica che gli arriva da una stagione sempre ad alto livello, culminata con la vittoria di Östersund; Domi ha voglia di rifarsi e in questi mesi ha pensato molto su cosa non è andato e dove lavorare; Doro è stata protagonista di una buona stagione, nella quale ha ritrovato anche alcuni podi e vinto una coppa di specialità, ma è sempre determinata a fare il massimo; i due giovani, poi, hanno ancora tanta voglia di crescere e migliorare. Vederli così desiderosi di apprendere stimola anche noi allenatori. Avere questi giovani spensierati e determinati in squadra aiuta a mantenere alto il morale e le motivazioni di tutti. È bello vederli al lavoro insieme, come si spingono l’un l’altro».
Come hanno reagito gli atleti alla scelta della direzione agonistica di creare questi gruppi di lavoro ridotti?
«Come ha dichiarato pubblicamente Fabrizio (Curtaz, ndr), questa decisione è stata presa per migliorare la qualità del lavoro sui singoli. In realtà per Doro, Luki e Domi non è una novità, in quanto lavorarono in maniera simile già nelle passate stagioni. Per Tommy e Didier è invece una bella sorpresa. I due si sono accorti di quanto avere un gruppo ridotto elevi la qualità del lavoro. Loro erano abituati a lavorare sempre in gruppi numerosi sia prima, da junior, che lo scorso anno con la Squadra A».
Per Dorothea Wierer è in parte una novità, in quanto è l’unica donna del gruppo. Cambia qualcosa nel suo allenamento?
«No, per Doro le cose non cambiano, è sempre il medesimo lavoro anche se è l’unica donna in gruppo. Fa lo stesso allenamento delle altre donne della Squadra A, con le quali poi tornerà ad allenarsi a partire dal quarto raduno. In ogni caso, al tiro con gli uomini si stimolano a vicenda, mentre nella parte atletica sa come gestirsi in maniera oculata. Doro è cosciente di non poter fare tutto ciò che fanno gli uomini, ma essendo una combattente è sempre super motivata, non si tira mai indietro in bici o nelle corse lunghe. Lei può trarre solo un vantaggio da questa esperienza, se continuiamo a gestirla bene e soprattutto se lo fa lei, in quanto conosce il suo corpo ed è brava a darci i feedback giusti, in base ai quali decidiamo i carichi di lavoro adatti a lei. Ormai, a 31 anni ha la giusta esperienza, si conosce bene».
Nelle fotografie provenienti dai primi raduni, ho notato spesso la presenza in testa al gruppo anche dei due giovani Bionaz e Giacomel. Insomma, ognuno fa la sua parte.
«I quattro uomini sono tutti molto competitivi, seppure abbiano due fasce d’età e livelli di ambizione diversi. Sono tutti molto motivati e si aiutano. In questa fase stiamo facendo tanto allenamento di base e volume, è più facile aiutarsi. Vedremo cosa accadrà quando faremo allenamenti più intensi, ma credo che le cose non cambieranno perché questi giovani non si tirano indietro, hanno voglia di crescere ed imparare tanto. Siamo fortunati ad avere questi due atleti».
Le Olimpiadi si svolgeranno ai 1700 metri di Pechino. La quota vi spingerà a fare dei cambiamenti nella preparazione? Cosa sapete della pista dove si gareggerà?
«Per ora, sulla pista sappiamo veramente poco. Abbiamo ricevuto un report dall’IBU in formato cartaceo e digitale, dove però abbiamo poche informazioni, l’altimetria delle piste e poco di più. Sappiamo che il poligono è a 1700 metri, fa freddo ed è ventoso. Ma siamo anche consapevoli che solo una volta lì ci renderemo davvero conto delle condizioni in cui si gareggerà. Anche perché, ad esempio, qualcuno potrebbe descrivere Oberhof come un luogo sempre piovoso e freddo, ma lo scorso anno abbiamo gareggiato con il sole. Fortunatamente tutti sono nelle nostre stesse condizioni, dal momento che nessuno ha potuto provare le piste, tranne i cinesi. Per quanto riguarda la preparazione, abbiamo deciso di programmare due raduni a Lavazè, uno in estate a fine luglio ed uno in autunno, dei periodi lunghi di lavoro in quota. Una scelta legata proprio all’adattamento per l’appuntamento olimpico. Alla fine, sotto questo aspetto siamo anche avvantaggiati rispetto ad altri, in quanto tutti i nostri atleti vivono sopra i 900 metri, non hanno bisogno di un grande adattamento».
In occasione delle Olimpiadi di Pyeongchang, la squadra azzurra decise di non adattare il proprio bioritmo al fuso orario, ma vivere quelle tre settimane secondo l’orario italiano. Farete una cosa simile a Pechino?
«Fin qui abbiamo trattato l’argomento soltanto in maniera superficiale e fatto qualche considerazione. Molto dipenderà anche dagli orari definitivi delle competizioni. Parlando con chi era presente a Pyeongchang, mi sono reso però conto che vissero in una realtà un po’ sballata, in quanto quando loro facevano colazione, gli atleti dello sci alpino già tornavano dalla gara. Forse non vale la pena vivere un periodo così lungo, oltre tre settimane, con orari tanto sballati e lontani dalla realtà attorno. Arriveremo a Pechino cinque o sei giorni prima delle competizioni, che solitamente bastano per adattare il proprio bioritmo al fuso orario. In ogni caso, è ancora presto per parlarne, ci servono dati più chiari per capire cosa conviene fare. Sicuramente non faremo però qualcosa senza la certezza che porti poi al risultato. A quel punto meglio evitare un ulteriore stress agli atleti».
I due sottogruppi della Squadra A stanno lavorando seguendo una linea comune?
«Il lavoro della Squadra A è unificato quasi alla giornata. Abbiamo preparato i programmi di allenamento assieme, anche se poi ognuno deve anche adattarsi alla località in cui si allena. L’obiettivo è però portare avanti una programmazione univoca, anche perché tra un mese si torna a lavorare insieme e vogliamo tutti allo stesso livello».
Parlando dei singoli atleti. Nelle ultime tre stagioni Dorothea Wierer ha vinto praticamente tutto ciò che c’era da vincere. Immagino che dopo questi successi sia ancora più motivata in ottica olimpica, unico obiettivo che ancora le manca.
«Doro ha tanta voglia, lei è un’atleta vincente, non si accontenta mai, non conosce la mediocrità in nulla, cerca di fare la differenza in tutto ciò che fa. Come hai detto tu, è molto motivata in vista della stagione olimpica, ci tiene, ha voglia di mettersi in gioco. L’appuntamento olimpico è sicuramente la tappa fondamentale di un quadriennio e riuscire ad esprimersi al meglio sarà sicuramente la sua priorità. Poi, come mi piace spesso ricordare, i risultati sono frutto di più fattori che devono allinearsi perfettamente, quindi staremo a vedere».
Passiamo ai due veterani Lukas Hofer e Dominik Windisch. Immagino che con il primo l’obiettivo sia ripartire da dove si è lasciato; per quanto riguarda il secondo, quanto è grande la voglia di rivincita dopo le difficoltà della scorsa stagione?
«Per quanto riguarda Luki, sarebbe fantastico riprendere da dove si è lasciato. Nonostante abbia avuto il Covid a fine ottobre, è riuscito a fare un’ottima stagione, nella quale è stato protagonista dall’inizio alla fine. Forse gli è mancato qualcosa nella prima parte della stagione, ha raccolto meno rispetto a quanto seminato. Hofer non è stato molto fortunato in alcune gare, ma la sua perseveranza e la voglia di arrivare al risultato hanno fatto la differenza. Anziché svilirsi per i troppi quarti posti e le occasioni sfuggite, ha mantenuto un biathlon di altissimo livello fino alla fine ed è stato premiato con la sua prima vittoria dopo sette anni. Il successo di Östersund se lo ricorderà per tutta la carriera, anche se magari ci auguriamo riesca ad affiancarne qualcuno nei prossimi anni. Dominik ci tiene, ha già vinto la medaglia olimpica, sa qual è il suo potenziale. Secondo me vuole fare di tutto per arrivare nella miglior condizione possibile ai Giochi Olimpici, sia fisicamente che psicologicamente. Negli ultimi mesi, ha fatto una bella analisi sulla sua stagione, ha capito dove poter migliorare e sistemare qualcosa. Dominik è esperto ed intelligente, sa di non aver fatto una stagione all’altezza del suo potenziale, perché conosce il suo livello e non vuole lottare per un trentesimo posto».
Tommaso Giacomel e Didier Bionaz sono alla seconda preparazione assieme alla Squadra A. Come li ha visti rispetto allo scorso anno? L’ultima stagione ha dato ad entrambi ulteriore consapevolezza?
«È sempre complicato prendere l’estate scorsa come punto di riferimento, in quanto arrivammo al via della preparazione dopo due mesi a casa e trovandoci a fronteggiare una situazione nuova. Per loro ovviamente era anche il primo anno in Squadra A ed era tutto diverso. Credo che per loro fosse tutto un’incognita, era difficile immaginarsi cosa avrebbero trovato, eppure si sono buttati nella mischia senza paura. Non ho mai visto questi due ragazzi tirarsi indietro durante un allenamento lungo oppure intenso e prolungato. Loro vedono questa Olimpiade come un bel punto di passaggio anziché un traguardo. Questo dice tanto di loro. Questi due ragazzi hanno tanta voglia e fame di andare lontano, è il fuoco che li spinge avanti senza paura. Lo scorso anno hanno disputato i primi Mondiali, ora puntano le Olimpiadi, alle quali tengono tanto ad esserci, non partecipare, che è diverso. Entrambi hanno fatto vedere già tanto. Didier con un errore in meno avrebbe anche potuto già ottenere un podio lo scorso anno ad Anterselva, mentre Tommaso quando è a posto anche con il tiro può mettere in fila campioni di una certa portata. Sanno che possono esserci e fare bene. Sarà emozionante per loro ed anche per me, in quanto anch’io non ho mai partecipato alle Olimpiadi. Come loro hanno in Luki e Dominik i propri mentori, il mio è Anders (Zingerle, ndr), protagonista già di tante Olimpiadi da atleta e tecnico, che mi ha già dato diverse informazioni che altrimenti non avrei conosciuto».
Nella passata stagione, ho avuto l’impressione che il livello medio del biathlon si sia ulteriormente alzato. Ottenere risultati è ancora più difficile?
«Esatto, c’è stato un miglioramento. Soprattutto al femminile, si sono viste tante giovani esprimersi con un biathlon di livello migliore. Questo ci fa capire che nessuno dorme, si deve lavorare sempre di più e soprattutto meglio, perché non conta solo la quantità del lavoro ma soprattutto come viene eseguito. Anche per questo motivo, insieme alla direzione agonistica, è maturata l’idea di avere un approccio diverso alla stagione, dividendo la squadra in due mini gruppi: un’alta qualità del lavoro è fondamentale».