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Sci di fondo

Pietro Piller Cottrer: “Non esiste Coppa del Mondo senza 50 km di Holmenkollen; per me averla vinta è qualcosa di speciale”

È ancora oggi l’unico fondista italiano ad aver vinto la 50 km di Holmenkollen, risultato ottenuto addirittura ad appena ventuno anni, quando si impose con un minuto di vantaggio su Tor Arne Hetland e Bjørn Dæhlie il 15 marzo del 1997, quando ancora si gareggiava sul mitico anello da 25 km ed a cronometro.
Pietro Piller Cottrer è ovviamente legatissimo a questa competizione che è rimasta mitica nonostante i tanti cambiamenti. Il sappadino del CS Carabinieri vi ha corso su anello da 25 km, poi 16,7 e quindi 10 km, ha gareggiato con partenza individuale a cronometro ed in linea, a skating e in classico, salendo tre volte sul podio ed ottenendo in totale cinque top ten. Sentirlo parlare di questa gara fa venire la pelle d’oca, si percepisce tutta la sua emozione, quella passione che sente ancora forte dentro di sé ogni qual volta la sua mente torna a questa competizione. Dispiace quasi pensare che i più giovani oggi non possano vivere le stesse sensazioni.

Meglio non chiedergli quindi cosa ne pensa della possibilità che in futuro Holmenkollen possa anche essere messa fuori dal calendario della Coppa del Mondo, alternandola con Lillehammer, allo scopo di ridurre i viaggi.
«Non riesco assolutamente ad immaginare una Coppa del Mondo senza la 50 km di Holmenkollen – ha subito affermato Pietro Piller Cottrer quando gli abbiamo chiesto un’opinione circa le notizie giunte dalla Norvegia – non scherziamo. Per me è qualcosa di speciale perché appartengo ad una generazione cresciuta nel mito di questa gara. Allora non c’erano tante gare in tv, quindi la conoscevi leggendo e attraverso il passaparola, sentendo i racconti di chi vi aveva gareggiato. Non era solo la gara in sé, ma il fatto che si gareggiasse a cronometro che regalava anche distacchi oggi inimmaginabili, oppure quel giro da venticinque chilometri che spaventava tutti. Dai racconti degli altri capivi che avresti dovuto pensarci bene a proseguire una volta arrivato al giro di boa, perché se poi fossi andato in crisi cosa avresti fatto? Nel tempo questa gara è stata deturpata di buona parte del suo fascino, prima riducendo la lunghezza del giro, poi trasformandola in una mass start. Ma nonostante tutto ciò è ancora una gara speciale, Holmenkollen è ancora oggi il tempio dello sci di fondo, la grande classica. Alternarla con Lillehammer? È come se nel tennis decidessero di alternare Wimbledon con il Queens».

Pietro Piller Cottrer è d’accordo con l’idea di ridurre il numero dei viaggi, ma ovviamente rispettando anche storia, tradizione e passione. «Di queste cose se ne parlava già vent’anni fa, anche noi allora spingevamo affinché venisse ridotto il numero di viaggi. Purtroppo noi atleti non sempre siamo stati ascoltati. Avrebbe senso fare uno spostamento in meno e magari una gara in più nel weekend, come accade pure nel biathlon, dove ci sono delle tappe storiche che restano fisse in calendario, come Anterselva. Ecco, su quale base dovrei togliere Lahti se faccio Ruka? Oppure non vado a Gällivare o Ulricehamn, con un grande spettacolo di pubblico, per gareggiare solo a Falun? Ma anche per quanto riguarda la Norvegia, per me ci starebbe benissimo tenere anche Lillehammer, che è una località storica, al fianco di Holmenkollen. Sono semmai altre le tappe da togliere. Magari le piccole nazioni potrebbero anche non ospitare una o due tappe ogni anno. Una volta si può andare a Planica ed un’altra a Seefeld, per esempio. Ma togliere certe gare e determinate località, mai».

Lo abbiamo allora fatto viaggiare un po’ indietro nel tempo per tornare a quel 15 marzo 1997 quando si impose in skating alla sua prima partecipazione a Holmenkollen. «Ero giovanissimo, convocato per la prima volta alla 50 km di Holmenkollen. Sapevo che era una gara particolare, così mi affidai molto ai più esperti del gruppo, come Giorgio Vanzetta e Silvio Fauner, per farmi guidare un po’ da loro a questa gara. In quei giorni avevamo anche praticato la dieta dissociata, introdotta da De Zolt, che consisteva in tre giorni con tante ore di allenamento senza assumere carboidrati, per poi farne carico nei tre giorni precedenti alla gara. La praticammo, anche se non alla lettera, in quanto nel mezzo avevamo avuto un’altra competizione. Arrivati ad Holmenkollen, dovevamo fare un giro per scaricare un po’, così per la prima volta provai l’anello da 25 km. Silvio si era fermato dopo il primo giro, mentre io e Giorgio proseguimmo. Ero convinto di aver imparato bene il tracciato, invece mi separai da Giorgio e sbagliai strada, finii per perdermi (ride, ndr). Faticai a rientrare.
Il sabato, quando arrivai alla partenza mi sentivo veramente bene. Poi avevo la spensieratezza del ventunenne senza nulla da perdere, così andai, partii subito con il mio ritmo e stetti in testa dal primo all’ultimo metro. Il vantaggio aumentava ed io continuavo a raggiungere atleti partiti prima di me. Una volta tagliato il traguardo, trovai Fabio Maj e Silvio Fauner e celebrai con loro. Poi ebbi la soddisfazione e l’emozione enorme di stringere la mano al Re. Peccato soltanto che avessimo l’aereo poco dopo la gara, così tornammo subito in Italia e festeggiai la sera nella mia Sappada. Devo ammettere che mi sarebbe piaciuto tantissimo restare a far festa ad Oslo»
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Anche questo è uno degli aspetti più belli della 50km di Holmenkollen. «I norvegesi vanno fuori di testa per questa gara. Loro hanno tre festività: Natale, Pasqua e la 50 km di Holmenkollen».

Tornasse indietro nel tempo, Pietro Piller Cottrer vivrebbe in maniera diversa quel successo, perché allora forse non si rese conto fino in fondo di quanto fosse speciale quel risultato. «Averla vinta è per me la più grande delle soddisfazioni, ma dall’altra parte il mio rammarico è non averla vinta nuovamente quando ero più maturo. Certo è impossibile misurare l’orgoglio di aver conquistato l’ultima 50 km disputatasi sull’anello da 25 km. Sono stato l’ultimo degli highlander (ride, ndr). Avessimo continuato a farla su quell’anello sarei stato più felice, come la maggior parte degli atleti. Ricordo che allora soprattutto i norvegesi erano contrari al cambiamento. Sono però convinto che se l’avessi vinta successivamente, in età più matura, avrei provato delle emozioni maggiori, perché allora da ventunenne gareggiavo sulle ali della gioventù e dell’incoscienza. Avrei certamente goduto molto di più a vincere quella del 2010».

Quella volta, con partenza mass start, arrivò secondo alle spalle di Northug dopo una grande rimonta. «Quel giorno Manificat e Vittoz scattarono con Northug per il bonus point, io rimasi imbottigliato e si creò un buco. Arrivai a perdere un minuto e mezzo o due, cambiai gli sci e trovai questo paio che volavano letteralmente. Prima presi un francese, poi l’altro, cambiai nuovamente gli sci e riuscii a recuperare anche Northug quando però erano finite le salite dove fare la differenza. Ci provai in tutti i modi, ogni strappo provai ad attaccarlo, ma quando attaccavi Northug con quegli scattini al quarantottesimo chilometro non avevi possibilità di staccarlo. Mentre arrivavamo allo stadio sapevo già che avrei perso contro di lui. Infatti mi sverniciò in volata. Se avessi vinto quella gara, avrei potuto raccontare e dire tante cose. Mi godetti molto anche quel giorno, ma chiudere secondo non è la stessa cosa. Però non posso lamentarmi, un campione come Dæhlie probabilmente baratterebbe ancora oggi qualche medaglia olimpica o mondiale per fregiarsi di una 50 km di Holmenkollen che non ha mai vinto. Vincerla valeva più di una medaglia olimpica o mondiale, almeno per gli atleti della mia generazione che l’avevano vissuta con il mito del giro da 25 km. Oggi forse quel mito è stato un po’ deturpato, ma certamente anche per i giovani di oggi è una gara speciale».

Insomma Piller Cottrer rimpiange un po’ che la 50 km oggi non sia più a cronometro. «Credo che in quel caso vincesse quasi sempre il più forte, cosa non scontata in una mass start nella quale si creano dinamiche di gara diverse. Insomma il più veloce allora vinceva, poi magari con un po’ di fortuna se un atleta avesse trovato il trenino del primo avrebbe anche potuto chiudere secondo. Oggi invece vince il più forte in volata se riesce a resistere e non farsi staccare prima. Probabilmente se la gara fosse stata a cronometro, avrei chiuso davanti a Northug quel giorno».

Gli aneddoti legati a questa gara non mancano, Pietro ancora oggi si emoziona e ride quando ne parla. «Ricordo nel 1998 quando il compianto Alexei Prokourorov si impose nettamente ed io presi quasi dieci minuti. Quel giorno in pratica la gara finì col russo, così nel corso dell’ultimo giro molti tifosi erano già in pista mentre passavo. Ricordo benissimo di essere passato sul binario in mezzo a due persone che si passavano delle salsicce (ride, ndr). Una volta conobbi invece un gruppo di persone che da anni seguiva questa gara sempre nello stesso posto. Si accampavano sempre nei pressi di una salita, che divenne discesa quando venne cambiato il giro. Eppure loro decisero ugualmente di restare sempre lì, per mantenere la loro tradizione personale. Ecco i tifosi anche in questo si sono dimostrati i più integri. Una volta ricordo che con Valerio Checchi ci facemmo un mega panino ed iniziammo a girare per l’anello, poi ci fermammo nuovamente su una panchina a mangiare. Allora ci fermavamo lì per fare qualche allenamento sulla neve in più anche a metà marzo. Mi piacerebbe tantissimo tornare su per vivere l’ambiente, andare sulla pista il venerdì sera con la lampada per gustarmi anche il clima che si respira tra gli accampamenti degli appassionati. Ricordo che Bente Martinsen Skari, ogni tanto lasciava l’albergo alle otto di sera prima della gara, proprio per andarsi a godere l’ambiente».

Oggi Pietro Piller Cottrer allena la squadra del Centro Sportivo Carabinieri assieme a Tullio Grandelis. Da tecnico cosa consiglierebbe ad un giovane alla prima esperienza a Holmenkollen? «Ci sarebbe poco da dire, perché chiunque va lì già gasato, perché quando gareggi in Scandinavia percepisci sempre qualcosa di diverso, un’altra cultura del nostro sport. Poi lì ad Oslo in particolare, ti senti nel tempio degli dei e sei come un bambino che val al parco di divertimenti. Quindi per la prima volta, ad un giovane direi soltanto “vai lì e goditela”. Niente altro, “non pensare al risultato, divertiti, goditi l’ambiente, ruba con gli occhi quello che vuoi perché ti tornerà utile nelle prossime occasioni”».

Nel salutarci Pietro Piller Cottrer ci ha spiegato cosa significhi per lui essere l’unico italiano ad aver vinto la 50 km di Holmenkollen. «Sono orgoglioso, non tanto perché sono l’unico italiano, visto che sarei felicissimo se qualcun altro riuscisse a farlo.  Ma più passa il tempo e più mi rendo che quel giorno ho fatto qualcosa di veramente epico. Solo oggi ne ho piena consapevolezza».

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