Probabilmente a coloro che sono appassionati esclusivamente di sport invernali il suo nome dice poco o nulla, ma i tifosi di calcio, soprattutto dalle parti di Firenze, lo ricordano benissimo. Tom Henning Øvrebø è stato un arbitro di calcio molto famoso, cinque volte premiato miglior fischietto del Campionato Norvegese, nel quale ha arbitrato più di duecento incontri. Nella parte conclusiva della sua carriera è arrivato a dirigere anche match di alto livello europeo, macchiando però la sua carriera con una serie di errori che eliminarono di fatto il Chelsea dalla Champions League del 2009 a vantaggio del Barcellona, quando Drogba cercò quasi di aggredirlo a fine partita per poi manifestare il proprio disappunto davanti alle telecamere. Il suo nome è ancora oggi associato ad arbitraggi negativi, soprattutto in Italia, in quanto l’anno successivo penalizzò moltissimo la Fiorentina negli ottavi di Champions contro il Bayern. Non a caso, qualche settimana fa, un noto telecronista italiano l’ha nominato criticando un arbitro: "Sembra Øvrebø".
Eppure, Øvrebo è oggi un importante psicologo e ricercatore della NIH, l’Istituto Norvegese delle Scienze Motorie. Così l’ex arbitro, assieme alla professoressa Anne Marte Pensgaard e Andreas Ivarsson dell’Halmstad University College, grazie alla collaborazione di Olympiatoppem, Niso (Organizzazione Centrale degli Atleti Norvegesi) ed il Comitato degli Atleti, ha preparato un’interessante ricerca sui problemi mentali che l’emergenza covid-19 ha causato agli atleti, dal titolo “Salute mentale tra gli atleti d’élite in Norvegia durante un periodo selezionato della pandemia Covid-19”.
Ne è scaturito un quadro piuttosto preoccupante, soprattutto perché la ricerca è stata effettuata tra i mesi di giugno e settembre del 2020, quando molti non immaginavano che la pandemia sarebbe durata così a lungo. «La pandemia è durata molto più a lungo – ha sottolineato Øvrebø sul sito dell’istituto – non escludo che (il covid, ndr) possa anche aver avuto un impatto negativo maggiore sulla salute mentale e la qualità di vita di alcuni praticanti. Tuttavia, sembra che la maggior parte delle persone si senta fiduciosa che alla fine tutto andrà bene e molti atleti di alto livello hanno anche una buona dose di resilienza psicologica. È una cosa da portare con loro anche quando la vita di tutti i giorni si fa più dura».
Sono stati intervistati 378 atleti norvegesi di primo e secondo livello, che praticano 39 discipline sportive diverse. Il 40% di essi ha ammesso di aver avuto difficoltà a prendere sonno, oltre il 20% ha avuto anche alcuni sintomi depressivi, mentre quasi la metà segnala uno stress negativo.
Molti atleti d’élite lottano anche con le preoccupazioni legate all’aspetto economico, soprattutto coloro che non sono al vertice assoluto e di conseguenza non hanno ricevuto tanti soldi in premi. Per loro la situazione è molto più pesante. Inoltre dalla ricerca è scaturito quanto siano stati avvantaggiati, anche dal punto di vista mentale, gli atleti con una migliore struttura attorno ad essi. Molti hanno sofferto poi l’incertezza, non sapere se si stavano allenando per delle gare che si sarebbero poi effettivamente disputate. L’allenamento intenso aveva meno senso. Ciò ha provocato un calo di motivazioni.
La cosa positiva è che il 90% degli atleti ha affermato di sentirsi comunque fiducioso sulla propria capacità di affrontare questa crisi globale. Molti hanno anche ammesso di essere riusciti a sfruttare la situazione in modo positivo, magari allenandosi meglio, oppure dedicando più tempo alla famiglia.
La ricerca è parte del progetto di dottorato dell’ex arbitro e questo primo articolo è stato inserito anche nella rivista BMJ Open Sport & Exercise Medicine. Øvrebø sta già lavorando ad una nuova fase della ricerca, che include interviste a cento atleti di alto livello, oltre ad allenatori dei principali sport norvegesi.