Il CAS ha ritenuto Timofey Lapshin colpevole di aver infranto le regole antidoping, ma l’atleta russo che gareggia per la Corea del Sud potrà ugualmente prendere parte alle Olimpiadi di Pechino. Il biatleta di Krasnoyarsk, che proprio alla vigilia della cerimonia d’apertura delle prossime Olimpiadi compirà 34 anni, è stato squalificato per un anno dalla Divisione Anti-Doping del Tribunale d’Arbitrato dello Sport.
Timofey Lapshin è stato trovato colpevole di aver violato la norma anti-doping in accordo con l’articolo 2.2 delle regole anti-doping dell’IBU. L’atleta di nazionalità sudcoreana è stato sanzionato con dodici mesi di squalifica a partire dal 23 aprile 2021, ai quali vanno tolti i mesi di sospensione provvisoria partiti il 23 settembre 2020. Ciò significa che di fatto Lapshin potrà regolarmente tornare a partire dal prossimo autunno, in tempo per partecipare alla Coppa del Mondo. Inoltre l’atleta nato in Russia è stato privato del risultato ottenuto il 21 dicembre 2013 in occasione della sprint di Izhevsk nella quale è stata riscontrata la positività.
Ricordiamo che lo scorso settembre l’IBU aveva informato l’atleta delle prove emerse dal rapporto McLaren e delle informazioni contenute nel database del Laboratorio Antidoping di Mosca riguardanti il campione da lui fornito in occasione di un controllo antidoping del dicembre 2013 all’Izhevsk Rifle. Alla nuova analisi è stato riscontrato che il campione conteneva “tuamminoeptano”, una sostanza presente nell’elenco di quelle proibite dalla WADA nel 2013. L’Arbitro ha stabilito che la fonte della sostanza proibita era uno spray nasale, che era stato anche indicato dall’atleta sul suo modulo di controllo antidoping che accompagnava il campione prelevato nel 2013, e la violazione del regolamento antidoping non è stata contesta all’atleta.
Per quanto riguarda la sanzione, invece, l’Arbitro ha ritenuto che l’atleta beneficiasse di una riduzione della pena di due anni altrimenti applicabile, in quanto aveva potuto stabilire come la sostanza proibita fosse entrata nel suo corpo e che non intendeva migliorare le sue prestazioni sportive o imbrogliare. Detto questo, l’atleta è stato considerato colpevole per aver ingerito consapevolmente una sostanza proibita fuori competizione, nonostante la sua convinzione errata che la sostanza sarebbe uscita dal suo corpo prima della successiva competizione. A conti fatti, l’Arbitro Unico ha ritenuto l’Atleta avesse un grado di colpa “normale” da giustificare un periodo di ineleggibilità di dodici mesi.