Dopo l’assaggio di Coppa del Mondo avuto nella parte finale della stagione 2019/20, Didier Bionaz ha vissuto quest’anno l’intera stagione nel massimo circuito internazionale, facendo tanta esperienza ma soprattutto catturando l’occhio di tanti addetti ai lavori, impressionati dal suo talento e dalla maturità.
Abbiamo quindi contattato il 2000 del Centro Sportivo Esercito per sapere come ha vissuto questo primo anno tra i "grandi", dalle incertezze iniziali ai primi buoni risultati, dalla fiducia dei tecnici fino a quel bellissimo 13° posto di Anterselva con tanto di qualificazione per la mass start. Bionaz ha parlato della stagione appena conclusa con l’entusiasmo del giovane che sta vivendo un sogno, la gratitudine nei confronti di chi come Lukas Hofer lo sta aiutando e la determinazione di chi ha la consapevolezza di avere tanti margini di miglioramento e vuole togliersi molte soddisfazioni.
Ciao Didier. Tracciamo un bilancio di questa tua prima stagione di Coppa del Mondo; ha rispettato le tue aspettative?
«Lo ha fatto sicuramente ed è andata anche oltre. Alla vigilia avrei messo la firma per poter disputare l’intera stagione in Coppa del Mondo. Nel corso dei raduni estivi mi sentivo anche bene, ma andavo incontro ad una stagione con tante incognite, in quanto avevamo cinque posti per la Coppa del Mondo e tanta concorrenza. Sapevo di dovermela giocare per un pettorale, quindi sono veramente soddisfatto di aver fatto tutte le tappe di Coppa del Mondo, una cosa tutt’altro che scontata».
In occasione delle due tappe di Kontiolahti avevi fatto un po’ fatica. Allora ti eri preoccupato?
«In realtà nella prima individuale da 20 km avevo avuto buone sensazioni, mi ero anche trovato in pista con Dale e non era andata male. Non sono stato invece soddisfatto delle gare successive, ma non ero in forma. È stato strano, perché in realtà non mi sentivo affaticato ma vedevo gli altri proprio con una marcia in più. Ci ho pensato un po’ su, ma già in staffetta mi era sembrato di stare meglio, sentivo di essere in crescita di condizione. Quindi avevo buone speranze per Hochfilzen, anche perché di solito mi trovo bene in quota. Ed è andata come speravo».
Effettivamente ad Hochfilzen sei andato sempre in crescendo.
«Già dalla prima settimana era cambiato qualcosa, perché ero riuscito a qualificarmi per l’inseguimento per la prima volta in stagione, togliendomi un peso. Ho iniziato a sentire belle sensazioni sugli sci e sono stato sempre più competitivo. Poi è arrivata la top venti nella pursuit della settimana successiva e lì ho avuto maggiore consapevolezza in me. Ho capito di non aver rubato il posto a nessuno, di non essere lì solo perché si vuole dare spazio ai giovani ma in quanto atleta in grado di poter fare subito bene. Ho iniziato ad affrontare le gare con maggiore serenità e in pista è cambiato tutto, sono andato più all’attacco, mi sono difeso meno, ho provato ad ingaggiare sfide con gli altri. Per un giovane è importante il momento in cui capisci che a quel livello ci puoi stare. È lì che inizi ad entrare sul serio nel circuito».
Per trovare i ritmi della Coppa del Mondo, quanto è stato importante avere spazio anche in staffetta al lancio in mezzo alla bagarre?
«È stato davvero importante, anzi fondamentale. Quando mi hanno comunicato che avrei avuto la responsabilità del lancio a Kontiolahti ero un po’ spaventato. Non avevo mai fatto un lancio, non sapevo cosa aspettarmi. Ero tesissimo, al punto che mentre azzeravo ho agganciato la cinghia al fucile nella serie in piedi (ride, ndr). Quando me ne sono accorto mi sono augurato che Klaus (Höllrigl) non mi avesse visto, invece si, ma me l’ha detto solo dopo la gara prendendomi in giro. Mi hanno fatto fare il lancio per mettermi alla prova, poi sono rimasto lancista tutta stagione. Ho parlato con diverse persone e tutti mi hanno detto che l’esperienza a questo livello non si fa tanto nelle gare a cronometro, quanto invece quando sei nella mischia, stai con gli altri, devi leggere le situazioni di gara e reggere la pressione. Lì impari tanto. È per questo motivo che per me è stato fondamentale anche qualificarmi spesso negli inseguimenti».
Sei quindi andato ad Oberhof dove hai fatto fatica, poi è arrivato il weekend di Anterselva.
«Ad Oberhof purtroppo non stavo bene, avevo avuto un problema ai denti, ero stato quindi costretto a prendere degli antibiotici che mi avevano buttato giù fisicamente, mi sentivo sempre stanco. Nel giorno in cui gli altri hanno fatto quella bellissima staffetta, ho iniziato a vedere dei segnali di miglioramento, mentre mi allenavo con Zat (Zattoni, ndr). Poi è arrivata Anterselva e la splendida venti chilometri, una gara per me molto importante perché mi ha fatto capire che la bella pursuit di Hochfilzen non era stata un caso. Fare una bella gara una volta è difficile, ripetersi è ancora più complicato. Questo risultato mi ha dato ulteriore consapevolezza».
Concentriamoci però sull’individuale di Anterselva. Raccontaci come l’hai vissuta tu dall’interno.
«È stata una gara un po’ particolare. Nelle giornate precedenti, appena arrivati ad Anterselva, avevo sempre sparato molto bene, tranne nel giorno di vigilia della gara, dove tutte le rosate erano basse. Ma nella giornata della gara ero già tranquillo prima di partire, testando gli sci avevo capito di stare abbastanza bene, anche se la 20 km è sempre lunga. Sono partito con il mio ritmo, anche un po’ troppo forte, tanto da pensare di aver esagerato. Ho fatto due zero nelle prime due serie e lì Fabrizio (Curtaz, ndr) mi ha detto che ero attorno alla 19ª posizione. A quel punto nella seconda serie a terra ho pensato solo a prendere i bersagli, ho sparato più lentamente ma li ho coperti tutti. In pista, sempre Fabrizio mi ha informato che ero 15°, così mi son detto che anche con un paio di errori all’ultima serie sarebbe stata una buona gara. Arrivato alla serie in piedi ero un po’ teso, ma dopo l’errore sul secondo bersaglio sono riuscito a coprire tutti gli altri. A quel punto ho una bellissima immagine che mi è rimasta in mente. Appena superato il dosso c’era Luki (Hofer, ndr) che dalla transenna mi urlava di andare su regolare e dare tutto, è stato lì ad incitarmi. Poi in pista c’era Zat abbastanza su di giri che mi ha dato carica quando avevo un po’ di difficoltà fisica. Lui mi ha gasato, così con tutta l’adrenalina non ho sentito la fatica e ho fatto un bel giro. Una volta tagliato il traguardo, quando ho visto il tempo la prima volta ero morto e non avevo fatto attenzione ad un particolare, ma quando l’ho riguardato mi sono reso conto di essere ad appena 50” da Quentin e ho pensato che con uno zero avrei addirittura chiuso sul podio. È stata una grande emozione perché non me lo aspettavo, specie dopo Oberhof».
A proposito di Hofer. Quel giorno aveva perso il podio per un decimo, eppure pochi minuti dopo era lì a tifare per te dalla transenna.
«Solo a pensarci mi fa tanto piacere. Anche se, ora che l’ho conosciuto bene e so com’è fatto, la cosa non mi sorprende più di tanto. Luki è bravissimo, ci tiene tanto al rapporto con noi giovani. Ha sempre detto che lui venne accolto bene da De Lorenzi e ci tiene quindi a fare altrettanto con noi. Lui è sempre disposto a darci una mano, è molto altruista, a volte anche quando dovrebbe pensare a se stesso ha comunque una parola per noi. Credo che sarebbe un bravissimo allenatore».
Anche la mass start di Anterselva deve essere stata un’esperienza molto importante alla prima stagione.
«Si, perché nella mass start sei lì in mezzo. Vai a fare l’azzeramento e non ci sono tante persone come nelle altre gare. Ognuno ha la sua piazzola, hai più tempo. Poi ci sono pochi atleti, ma tutti fortissimi e ad un certo punto mi sono quasi chiesto cosa ci facessi lì in mezzo. Quel giorno mi sono divertito tanto, stavo anche bene fisicamente. Quando ho fatto il primo zero a terra ho visto per la prima volta Johannes Bø abbastanza vicino a me, mi sono quasi chiesto cosa fare (ride, ndr). È stata proprio una bella gara, divertente. Se ci pensate ho fatto l’ultimo giro assieme a Loginov, ero con chi un anno prima, mentre io esordivo in IBU Cup, vinceva l’oro mondiale proprio ad Anterselva».
È arrivato il Mondiale di Pokljuka e ti sei trovato ad essere addirittura il primo italiano in gara, venendo scelto per la staffetta mista. È stato difficile gestire la pressione?
«Dopo Anterselva avevo capito di essere sotto osservazione, ma come tutti. Quando siamo arrivati a Pokljuka ci chiedevamo tra noi chi avrebbero scelto per il lancio. Poteva essere chiunque. Quando me l’hanno comunicato, ho pensato che sarebbero stati cavoli (ride, ndr). Al mio esordio mondiale mi sono trovato a fare il lancio in una staffetta sulla quale c’erano tante aspettative. Ammetto di aver faticato a dormire per un paio di notti a forza di pensarci. Alla fine, però, mi ha fatto veramente piacere ricevere tanta fiducia da parte degli allenatori. Per quanto riguarda il Mondiale, è stato veramente duro perché abbiamo fatto tante gare in pochi giorni. Arrivi alla conclusione che sei quasi contento sia finito».
Cosa hai imparato da questa stagione in Coppa del Mondo?
«Ho imparato che è dura, perché il livello è altissimo. Appena hai qualcosina di meno diventa tosta, rischi di prendere mazzate, devi sempre stare al cento per cento perché il livello è altissimo. Ho imparato tanto, l’ambiente è stimolante, guardi gli altri ed inizi subito a ragionare su cosa faresti di diverso in futuro. Inoltre impari a gestire le gare in maniera diversa. Noi venivamo dalla categoria juniores, dove potevamo anche gestirci nel primo giro, fare una gara più ragionata. Qui se non sei Johannes Bø o un campione del genere, devi sempre dare tutto dall’inizio alla fine».
Anche quest’anno sei stato in squadra insieme a Tommaso Giacomel. Quanto è importante condividere questa esperienza con lui.
«Importantissimo. Al di là di vivere assieme le competizioni, per noi è fondamentale allenarci assieme, ci stimoliamo a vicenda. Lo sapete, siamo grandi amici, ci stimiamo, ma ad ogni allenamento vogliamo sfidarci ed avere la meglio l’uno sull’altro. Battagliamo ogni volta, abbiamo sempre fatto così. Siamo competitivi anche quando giochiamo a carte, ma lì Tommy si arrabbia ogni volta che perde (ride, ndr)».
Anche tu hai avuto l’opportunità di stringere un rapporto con altri atleti del circuito internazionale?
«In questa stagione sono riuscito a scambiare opinioni con tanti. Dopo l’ultimo giro della pursuit di Hochfilzen, ho anche ricevuto i complimenti di Lesser. In generale, mi capita spesso di parlare con Antonin Guigonnat, anche perché sono facilitato dal fatto che conosco il francese. È una persona simpaticissima».
Ora un po’ di riposo, poi tornerai ad allenarti? Che effetto ti fa pensare che tra poco inizierai a preparare la stagione olimpica?
«È inevitabile pensarci, è quello che ogni atleta sogna da tutta la vita. Ovviamente vorrei conquistare la convocazione per Pechino, ma non solo per partecipare, andrei lì per fare bene, per onorare la bandiera italiana e il Centro Sportivo Esercito, che da anni mi sostiene. Credo di poter migliorare ancora dopo le esperienze dell’ultimo anno. Sarà un’altra stagione piena di novità. Una cosa è certa, non vedo l’ora di ricominciare, tornare ad allenarmi e gareggiare, lo farei già domani. Anche perché nel corso della stagione ho accumulato tante idee da portare avanti negli allenamenti e sviluppare, nuove cose da mettere in pratica. Inoltre non vedo l’ora di gareggiare con il pubblico. È stato l’unico rammarico ad Anterselva, mi sono chiesto come sarebbe stato quell’ultimo giro dell’individuale con il pubblico sugli spalti e tanta gente che conosco. Luki mi ha ricordato che ho tanto tempo davanti a me per gareggiare con i tifosi».