Ha vinto l’IBU Cup alla sua prima stagione, a ventuno anni, partendo addirittura da un team privato. Filip Fjeld Andersen ha così conquistato il pettorale per le ultime tappe della Coppa del Mondo della stagione appena conclusa, riuscendo anche ad ottenere subito i suoi primi punti nell’inseguimento di Östersund, e avrà di diritto il pettorale pure per la tappa iniziale della prossima stagione, a Kontiolahti.
Un traguardo importante per un giovane in rampa di lancio, passato già attraverso tante difficoltà, come le tre operazioni per curare un’aritmia che lo ha condizionato per diverse stagioni ed un grave infortunio alla caviglia. Eppure Andersen non si è mai arreso, ha mostrato una grande forza mentale e alla prima possibilità anche quel grande talento che ha sempre avuto. Siamo riusciti a contattarlo e abbiamo così avuto l’opportunità di intervistarlo e conoscere meglio questo giovane talento norvegese dai sogni grandiosi ed una passione sfrenata per questo sport. Un ragazzo molto amico anche dell’azzurro Tommaso Giacomel, come ci ha anche confermato nel corso dell’intervista.
Ciao Filip e grazie per aver accettato l’intervista. È stata la tua prima stagione in IBU Cup; alla vigilia avresti mai immaginato di vincerla e fare anche il tuo esordio in Coppa del Mondo? Puoi descriverci le tue emozioni per i risultati ottenuti in questa stagione?
«Avrei anche potuto immaginare di essere in grado di farlo, ma non osavo crederlo. Il mio obiettivo è sempre di fare delle buone gare e prima della stagione speravo di essere in grado di farlo, ma il mio principale obiettivo erano i Mondiali Giovanili. Quindi è stata un’esperienza positiva comportarmi così bene in IBU Cup e fare la mia prima apparizione in Coppa del Mondo, un sogno diventato realtà. A dir la verità, non ho parole per descrivere questa stagione oltre a “incredibile” e “un sogno diventato realtà” (ride, ndr)».
In estate non eri incluso nelle squadre nazionali e hai effettuato la preparazione con il Team Mesterbakeren. Ci puoi parlare del percorso che hai fatto fino all’arrivo in IBU Cup?
«Si, è vero, non ero nella nazionale. Sono arrivato in IBU Cup dopo aver disputato le prime due tappe della Coppa Nazionale in Norvegia. Quelle due competizioni erano valide come qualificazione per l’IBU Cup. Quindi, ottenendo dei buoni risultati in quelle quattro gare, sono riuscito a conquistare un posto nella squadra norvegese per l’IBU Cup».
Nel 2018 hai vinto due medaglie ai Mondiali Giovanili. Dopo quei risultati avevi fatto soltanto un’altra apparizione in campo internazionale prima dell’ultima stagione. Cosa è accaduto? Sei stato vittima di infortuni?
«Per cinque anni ho lottato con la fibrillazione atriale (aritmia, ndr), che aveva portato il mio ritmo cardiaco fino a 280 battiti buttando giù il mio corpo. In realtà soffrivo di questo problema anche quando vinsi l’argento ai Mondiali Giovani del 2018. Negli anni è però andato peggiorando. Ho quindi subito tre interventi chirurgici nel periodo compreso tra luglio 2019 e maggio 2020. Soltanto l’ultimo ha avuto finalmente successo. Per questo motivo, non sono stato in grado di gareggiare e ho dovuto fare un periodo ai allenamento di riabilitazione. Inoltre, nel 2019 mi sono sono anche rotto la caviglia poco prima della stagione, fermandomi così per tre mesi. In quel periodo ho dovuto fare ancora tanti allenamenti di riabilitazione e ciclismo, anziché sciare. Ci sono volute centinaia di ore di allenamenti noiosi e di riabilitazione per tornare al livello che sono ora. Proprio per tutto quello ho passato, la mia gioia per questa stagione è ancora più grande. Sono finalmente in grado di competere e mostrare appieno il mio potenziale di atleta».
Tornando indietro nel tempo. Ci puoi raccontare come hai iniziato?
«Mia madre e mio padre erano entrambi sciatori, quindi io e mio fratello sciamo dal giorno in cui abbiamo iniziato a camminare, forse anche prima (ride, ndr). Ho iniziato con il biathlon dopo che ci siamo trasferiti a Geilo, quando avevo undici anni. Per tutta la vita ho amato il biathlon, amo l’azione e l’eccitazione di questo sport. Mio padre è stato skiman della squadra nazionale di biathlon, quindi ho sempre guardato con ammirazione le stelle della nostra squadra e di questo sport».
Cosa significa per te vivere questa avventura nel biathlon agonistico assieme a tuo fratello Aleksander?
«Avere mio fratello con me significa molto. L’ho sempre ammirato e ho provato a copiarlo oppure batterlo nelle cose che ha fatto. Quindi penso che ci diamo grandi motivazioni a vicenda. Condividere tutto questo con lui è veramente speciale».
Hai un idolo o punto di riferimento nel mondo del biathlon o dello sport in generale? Se si, chi è?
«Ho sempre ammirato Martin Fourcade. Era un atleta fantastico. Pieno di talento ed anche una brava persona. Di lui ho apprezzato particolarmente il fatto che avesse sempre il coraggio di fare e dire quello che pensava, senza preoccuparsi di cosa facessero gli altri».
Sei completamente concentrato sul biathlon, oppure hai anche altri obiettivi al di là dello sport?
«Il mio obiettivo principale è assolutamente il biathlon, ma sto anche frequentando una scuola dove studio legge. Penso che sia la cosa più intelligente approfittare dei primi anni di carriera per continuare anche a studiare. Tornerà utile nel giorno in cui mi ritirerò».
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
«Ovviamente il mio sogno nel cassetto è rappresentato dalle Olimpiadi e da vincere una medaglia olimpica. Inoltre spero di essere in grado di vincere un oro ai Mondiali e vincere un giorno la Coppa del Mondo generale».
So che hai un bel rapporto di amicizia con l’azzurro Tommaso Giacomel. Com’è nato? È quindi possibile essere contemporaneamente amici e rivali?
«Io e Tommaso ci siamo incontrati la prima volta ai Mondiali Giovanili del 2018 e da allora siamo diventati buoni amici. Mi ha anche fatto compagnia durante il periodo di riabilitazione, facendo dei lavori con me in bicicletta attraverso Zwift. Anche durante il lockdown per il covid, è stato un ottimo amico da avere. La tecnologia è fantastica e ci aiuta ad allenarci assieme anche se siamo in paesi diversi. Sicuramente penso sia bello essere amici ed avversari allo stesso tempo. È solo nel corso dei 20-50 minuti di gara che siamo avversari, quando ognuno è un avversario, anche mio fratello. Non è divertente perdere da lui, ma siamo buoni amici quando la gara finisce».