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Biathlon – Verso Pokljuka, Andrea Zattoni: “Il gruppo è sereno e tranquillo, il raduno premondiale ci ha fatto bene”

Sta per vivere il suo terzo Mondiale da allenatore della nazionale azzurra di biathlon, ruolo che ricopre al fianco del responsabile Andreas Zingerle, di Nicola Pozzi e Klaus Höllrigl. Nelle ultime due stagioni Andrea Zattoni si è tolto tante soddisfazioni grazie agli atleti da lui preparati. Nella mente dei tifosi italiani scorrono sempre le immagini dell’allenatore delle Fiamme Gialle che corre al fianco di Dorothea Wierer, urlando per incoraggiarla e spingerla a tirare fuori ogni residua energia in corpo, in occasione dell’individuale di Anterselva dello scorso anno. Un’immagine che si è ripetuta tante volte in questi anni, perché un allenatore deve essere anche motivatore.

A pochi giorni dalla partenza dell’evento iridato che si terrà in Slovenia a partire da mercoledì prossimo, abbiamo fatto con Zattoni il punto della situazione sulle condizioni in cui gli azzurri arrivano al Mondiale di Pokljuka.

Buonasera Zattoni. Siamo alla vigilia dell’appuntamento più importante della stagione. Nelle settimana passata, i dieci convocati per Pokljuka si sono allenati assieme ad Anterselva. A che punto sono?
«Già alla tappa di Coppa del Mondo di Anterselva i ragazzi erano arrivati quasi tutti in buone condizioni, anche se è difficile generalizzare. Il livello era buono, tenendo anche in considerazione che si veniva dalle due tappe di Oberhof che erano state molto impegnative per tutti su quel tipo di pista. Dopo la tappa italiana, i nostri atleti sono tornati a casa e hanno riposato, poi a metà della settimana hanno ripreso l’attività dapprima a casa e poi in raduno ad Anterselva. Nel gruppo c’è un bel clima, li ho visti sereni, tranquilli e uniti. Ritengo che questi raduni siano molto importanti, non tanto per la preparazione fisica nello specifico, in quanto non si possono fare miracoli in così pochi giorni, ma proprio perché si sta insieme in un clima più rilassato rispetto a quando ci sono le competizioni, quando ad esempio, è già un’utopia riuscire a mangiare tutti assieme o chiacchierare dopo cena perché si hanno orari diversi. I raduni ci permettono invece di vivere in maniera più armoniosa il contesto della squadra».

Nello specifico che tipo di lavoro avete svolto?
«Preparare un evento sportivo dal punto di vista dell’allenamento non è mai semplice. Dopo tante competizioni in poche settimane, l’obbiettivo principale è quello di recuperare energie fisiche e mentali in modo da poter approcciare la successiva preparazione nel migliore dei modi. Successivamente si lavora in maniera estensiva sulla resistenza e sulla forza, per poi richiamare le qualità già allenate durante la fase preparatoria estivo-autunnale. Verso la fine dello stage abbiamo effettuato dei lavori di qualità per stimolare la vera e propria prestazione di biathlon. In questi giorni stiamo usando le piste del mondiale di Pokljuka per ricercare gli ultimi adattamenti positivi della preparazione».

Dopo la mass start di Anterselva, ci siamo un po’ spaventati quando Hofer ha svelato di aver avuto un riacutizzarsi del problema accusato lo scorso anno. Come sta? Siete preoccupati?
«Ovviamente quella problematica ha fatto tremare un po’ anche noi e l’atleta stesso. Dopo l’ultima gara di Oberhof, Lukas ha sentito il riacutizzarsi del fastidio accusato già lo scorso anno. Lo staff medico ci riporta che non è propriamente un problema alla schiena, ma quasi un’irradiazione del nervo sciatico che “intorpidisce” l’arto. Ad Anterselva non era al cento per cento e non lo è ancora. In ogni caso sente meno dolore rispetto allo scorso anno, anche se il problema sembrerebbe essere lo stesso, seppur meno grave. Ciò non gli permette di esprimersi al 101% come vorrebbe fare lui. Oggi però non possiamo sapere come uscirebbe fisicamente dal Mondiale nell’ipotesi in cui prendesse parte a tutte le sette gare in programma. Questo è un bel punto di domanda. Lui però ci spera e ci crede, è un guerriero. Proprio per i problemi fisici ad Anterselva non ha preso parte alla staffetta, in quanto l’individuale era stata molto impegnativa, corsa tutta al limite e mancava ancora la mass start da correre. Ma lo conoscete, non avrebbe mai rinunciato alla staffetta se fosse stato bene, mai si sarebbe tirato indietro dopo Oberhof».

Passiamo a Dorothea Wierer. La campionessa del mondo ha più volte dichiarato di non essere ancora al top della forma. Nelle prime gare del 2021 è però sembrata in crescita. Dall’interno che impressioni avete?
«Se dovessi valutare il trend dalla prima settimana di gare a Kontiolahti fino ad Antholz, mediamente è andata in crescendo con continuità. Nelle prime uscite stagionali ha messo in campo le sue qualità al tiro, riuscendo così a colmare il gap atletico rispetto alle altre atlete, imponendosi ad esempio nell’individuale di Kontiolahti. Forse in qualche gara le è mancato qualcosina per chiudere perfettamente il cerchio, come ad esempio nelle mass start di Oberhof oppure Antholz, ma il suo livello è in crescita. La scorsa settimana abbiamo lavorato bene. Lei è tranquilla, forse anche perché conscia di quanto fatto negli ultimi due anni. Sa di essere umana e non si arrende mai, conosce il suo valore. L’augurio è che riesca a fare quel piccolo step nella condizione, perché sicuramente scenderà in pista per giocarsi le sue carte con la grinta e quella voglia di vincere che la contraddistinguono».

Anche perché, pur non essendo stata fin qui al top come negli ultimi anni, è sempre lì ai vertici.
«Infatti. Anche quest’anno è nella top five della Coppa del Mondo, come ha fatto nelle cinque stagioni precedenti. Lei sa che può anche starci una stagione nella quale non riesce ad esprimersi al cento per cento come fatto nelle due precedenti. Non dimentichiamoci poi che esistono le avversarie, nessuna dorme. Rispetto al passato, ritengo che il livello si sia alzato notevolmente dal punto di vista atletico e continui a farlo, tanto che anche atlete forti sugli sci come Herrmann e Davidova fanno più fatica a dominare. Tutte vengono messe in discussione dalle nuove leve come Elvira Öberg, oppure da altre più esperte che sono in netta crescita come Preuss o Hauser, che hanno fatto un bel salto di qualità».

Molto attesa è ovviamente Lisa Vittozzi. L’inizio di stagione per lei è stato ulteriormente complicato dal covid. In alcuni momenti della stagione ha dato però l’idea di essere in ripresa, ma fatica a trovare continuità. Crede che riusciremo a rivedere presto la vera Lisa?
«Ci spero ogni giorno, perché lavorandoci quotidianamente assieme un allenatore si rende conto dell’enorme potenziale di un’atleta come lei. Ecco, la sua stagione attuale è proprio l’esempio di quando si dice che un atleta “non riesce a portare in gara quanto fa in allenamento”. Ha grandi qualità, non ci sono dubbi, l’ha dimostrato non una o due volte, ma in tante occasioni. Lisa ha classe, talento, voglia di fare ed arrivare. Ha tutte le carte in regola per raggiungere gli obiettivi che si è prefissata. Spero per lei e per le persone che con lei lavorano, che ce la faccia presto. Posso però dirvi che fisicamente lei si sente bene».

Quanto può avere inciso su di lei l’infezione al covid che l’ha costretta a fermarsi a fine ottobre?
«Molto. Il covid è una malattia nuova, che nessuno ancora conosce profondamente. Come tante altre malattie non attacca ogni persona ed organismo alla stessa maniera. Per esempio, nella nostra squadra Lukas (Hofer, ndr) e Tommy (Giacomel, ndr) si sono ammalati nello stesso periodo, ma a dieci giorni dalla guarigione, uno già andava fortissimo mentre l’altro era in difficoltà. Per questo motivo la situazione in cui era incappata Lisa alla vigilia della stagione non era facile da raddrizzare, in quel momento non si potevano conoscere i risvolti di questa malattia. Diversi atleti una volta guariti si sentivano bene, ma entrati in pista non riuscivano ad avere una risposta ottimale dal loro fisico, soprattutto nei confronti del cronometro. Nell’ultimo periodo, lei ha dato l’impressione di essere cresciuta di condizione; ad Oberhof aveva già fatto vedere delle buone prestazioni, mentre nella staffetta femminile di Anterselva al tiro e in pista abbiamo visto una prova degna del suo profilo. Speriamo che le cose si stiano incastrando bene affinché possa esprimersi al 100%».

Proprio perché non si conoscevano le possibili conseguenze del covid sugli atleti, si è spaventato ad ottobre quando all’interno della squadra alcuni si sono ammalati? Cosa ha pensato?
«La cosa che più mi ha spaventato è stato sentire i racconti prima di Luki e successivamente di Tommaso, che mi rapportavano la loro sensazione di oppressione e dolore al torace durante le fasi della respirazione. Sinceramente ho capito che la cosa era grave quando due atleti di 20 e 30 anni, con un fisico molto forte ed allenato, hanno problemi del genere. Ciò significa che questa malattia non è una banalità. Dal punto di vista dell’allenamento, abbiamo invece gestito le cose come una “comune malattia”. In accordo con lo staff medico, una volta spariti i sintomi e i problemi fisici, ed avendo effettuato tutti gli accertamenti clinici del caso, abbiamo ripreso gli allenamenti (indoor). Poi quando finalmente hanno potuto nuovamente uscire, hanno fatto una micro preparazione adattata a loro, per poi rientrare successivamente a regime».

Nelle prime gare della stagione abbiamo visto dei risultati particolari, alcune nazioni, come l’Italia o la stessa Francia, hanno fatto fatica. Secondo lei quanto ha inciso l’emergenza covid in questo? Mi riferisco già alla scorsa primavera quando in Italia si era in pieno lockdown mentre al Nord si sciava, oppure al fatto che a novembre non avete potuto finalizzare la preparazione in Scandinavia.
«Non credo che il primo lockdown abbia inciso molto. Abbiamo saltato una decina di giorni di competizioni e non credo che l’essere stati a casa nel mese di aprile abbia poi intaccato le prestazioni degli atleti. Anzi, paradossalmente, ritengo che ciò abbia ceato il vantaggio di avere atleti più motivati nel momento della ripartenza. Al contrario, credo che invece ci sia mancato il raduno in Scandinavia nella fase conclusiva della preparazione. Quando ti alleni due settimane a quote basse, fai un grande volume di allenamento sulla neve che qui non puoi svolgere. È una valutazione che abbiamo anche fatto assieme agli altri tecnici in occasione della tappa di Kontiolahti. Ad Obertilliach ci siamo allenati bene ma in una situazione diversa, neve dura ed artificiale ad una quota media. In Scandinavia riusciamo ad allenarci su tipi di neve diversa, si può variare molto l’allenamento. Credo che lo stesso problema l’abbia avuto anche la squadra francese, che ha svolto l’ultimo raduno a Bessan addirittura a 1800 metri. Per tutti è stata una situazione nuova che ci ha insegnato tanto, perché quando ti trovi di fronte a una situazione mutevole, come quella che stiamo tutt’ora vivendo, bisogna essere sempre pronti a cambiare le cose in corsa, saper reagire».

In questa prima parte di stagione ha impressionato positivamente il miglioramento complessivo della squadra maschile. Il mix tra giovani ed esperti sembra aver portato dei benefici.
«Sicuramente c’è più competitività rispetto allo scorso anno e quando è così nel 99% dei casi aumenta il livello degli atleti, come successo anche ad altre nazioni. In ogni gara vuoi dimostrare il tuo valore al massimo per poterti guadagnare anche quella successiva, un po’ come avviene nel calcio tra riserve e titolari (quando scendi in campo dai il massimo per essere titolare anche nella partita successiva). Gli atleti sanno di doversi guadagnare i quattro posti del Mondiale in ogni allenamento o gara, ma anche i cinque della Coppa del Mondo, in quanto quest’anno anche il gruppo di ragazzi che ha partecipato al circuito di IBU Cup ha dimostrato di non stare lì a guardare e ha ottenuto degli ottimi risultati. Tutti hanno “drizzato le orecchie” e sono riusciti a crescere. È una bella situazione, perché oggi non ci troviamo a dover cercare quasi il quinto per riempire il contingente, ma abbiamo un gruppo di livello medio alto nel quale tutti sono stimolati a dare il meglio in ogni contesto».

A questo ha contribuito anche l’arrivo in squadra di due giovani emergenti come Bionaz e Giacomel. Che tipo di lavoro avete svolto con loro due, essendo entrambi al primo anno in Squadra A?
«Entrambi venivano da un percorso biennale fatto molto bene con la squadra junior, dove avevano svolto un lavoro che è in forte assonanza con il nostro. Ho un buonissimo rapporto con Mirco (Romanin, allenatore della nazionale Juniores, ndr), ci confrontiamo spesso sulle dinamiche dell’allenamento e c’è un filo che lega la preparazione delle nostre squadre. Quindi dal punto di vista dell’allenamento sapevamo che sarebbero entrati in gruppo molto bene. Ciò che per noi era più importante è che si adattassero altrettanto bene alle nuove dinamiche, in quanto non era semplice passare dalla squadra juniores ad un gruppo di altissimo livello come il nostro. Non volevamo buttarli nella fossa dei leoni, ma accompagnarli vicino a loro, affinché questi li aiutassero a crescere; e così è stato, grazie anche all’empatia degli atleti più evoluti. Entrambi hanno avuto il merito di crearsi un bel rapporto con i compagni più esperti, fatto di rispetto e stimoli. La loro voglia di crescere è stata utile a tutti. Ovviamente li abbiamo seguiti molto, non potevamo permetterci che bruciassero le tappe. Volevamo che non avessero troppa fretta di arrivare e che questa loro estrema voglia di emergere diventasse controproducente. Loro hanno risposto nel modo migliore e si sono dimostrati più che all’altezza della situazione. Di questo ne ha giovato l’intera squadra, come ho già affermato in precedenza».

Abbiamo parlato di Wierer e Vittozzi. A che punto sono le altre tre azzurre?
«Federica (Sanfilippo, ndr), Michela (Carrara, ndr) ed Irene (Lardschneider, ndr) si sono trovate a lavorare assieme per la prima volta, in quanto la prima ha seguito quest’anno un percorso diverso. Si sono impegnate molto nel corso di tutto il raduno sia nella parte atletica che al tiro, come mi hanno confermato Klaus ed Andreas che seguono più da vicino l’aspetto del tiro. Mi sembra che stiano abbastanza bene, anche se bisogna tornare a disputare delle gare individuali per comprendere appieno la situazione. Ad Antholz, Federica e Michela hanno fatto una buonissima prestazione in staffetta riscattando l’individuale nella quale qualcosa non aveva funzionato. Irene, dopo le tante difficoltà di Oberhof, è tornata a casa e ha svolto anche degli accertamenti per comprendere meglio la situazione. Dopo un periodo di riposo, ha ripreso una preparazione individualizzata su un percorso di graduale reinserimento all’attività. Nell’ultima settimana si è allineata al programma del resto della squadra e ha dato buoni segnali. Saranno le gare a dirci la verità. Al Mondiale, grazie a Dorothea (campione del mondo in carica dell’inseguimento e dell’individuale), abbiamo il vantaggio di avere un pettorale in più nella sprint e nell’individuale. Avremo quindi almeno due possibilità di valutazione per mettere le migliori atlete nella staffetta femminile».

Peccato non avere i cinque pettorali anche al maschile, dove scegliere non sarà affatto facile.
«Questa volta sarebbe stato fin troppo facile così… non saranno scelte facili, ma cercheremo di fare il bene della squadra e dei singoli atleti, cercando di mettere ognuno nelle migliori condizioni di esprimersi al meglio nel momento in cui verrà chiamato in causa. Certo, è meglio avere questo problema, anziché dover scegliere atleta solo per riempire il contingente».

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