Da questa stagione è subentrato a Walter Hofer nel ruolo di race director della Coppa del Mondo di salto con gli sci. L’avventura di Sandro Pertile in questo nuovo importantissimo ruolo non poteva certo iniziare in un momento più impegnativo rispetto a quello che lo sport sta vivendo a causa di tutte le difficoltà derivanti dall’emergenza covid-19. Una vera e propria sfida per il dirigente italiano, che forte della sua grandissima passione, oltre alle capacità ovviamente, non si è mai tirato indietro, nemmeno quando egli stesso è stato alle prese con il covid-19. «È stata una mazzata. Sono rimasto due settimane da solo in una stanza ad Innsbruck – ha affermato Pertile a Fondo Italia – pur non avendo alcun sintomo, se non quello di perdita dell’appetito. Ho perso ben sette chili, il covid è una cosa seria. In quel periodo, pur stando a distanza, ho comunque lavorato per il Mondiale di Volo di Planica, una scelta coraggiosa e un compito tutt’altro che semplice da svolgere non trovandomi sul posto. Quando finalmente sono risultato negativo e sono tornato a Engelberg ho notato però che ero fiacco, mi mancava il respiro e faticavo anche a fare le scale. Soltanto adesso posso dire di essermi effettivamente ripreso, dopo essere tornato in famiglia qualche giorno ed ora anche per l’eccitazione del mio primo Torneo dei Quattro Trampolini in questa veste».
Il Vierschanzentournee è iniziato subito con una gara molto emozionante, che ha reso orgoglioso Pertile del lavoro che si sta facendo: «Nonostante le difficoltà siamo riusciti a far disputare tutte le gare, gli ascolti televisivi sono in crescita, così come l’interesse dei media. Martedì abbiamo organizzato una video conferenza stampa per chiarire quanto stava accadendo con la nazionale polacca ed erano collegati oltre cento giornalisti. Anche le gare sono state fin qui bellissime e posso assicurarvi che per noi è emozionante essere qui alla Tournee, si respira tutta la storia di questa magnifica competizione».
Pertile è quindi tornato su quanto accaduto alla vigilia della gara di Oberstdorf, nella quale era arrivata l’iniziale esclusione della squadra polacca in quanto l’intero team era stato ritenuto un contatto stretto di Muranka, inizialmente risultato positivo al covid. «Come da protocollo, all’arrivo si è svolto il giro di tamponi previsto – ha spiegato – e sono state riscontrate 4 positività su 760 tamponi effettuati. Si trattava di un volontario del comitato organizzatore, un operatore televisivo internazionale, il fisioterapista della squadra tedesca e l’atleta Muranka. Le autorità locali hanno svolto le loro ricerche ed è emerso che altri quattro atleti polacchi avevano viaggiato assieme a lui nel pulmino per dieci ore, venendo così ritenuti “close contact”. Inoltre, dal momento che gli atleti mangiavano assieme si è scelto di isolare completamente tutto il blocco. Si è quindi valutato di rifare il test e l’esito è stato negativo per tutti, compreso Muranka. A questo punto ci siamo trovati con due test dai risultati contrastanti, così le autorità hanno optato per un terzo esame che se fosse stato positivo avrebbe portato alla quarantena di tutta la squadra, altrimenti avremmo potuto riammetterla. Questo test è stato effettuato mentre era in corso la qualificazione e il suo risultato sarebbe arrivato martedì mattina. A quel punto, il lunedì sera nel briefing serale con i capi squadra abbiamo informato tutti della situazione, chiarendo che se gli atleti polacchi fossero risultati negativi non ci sarebbe stato alcun motivo per tenerli fuori. Le squadre hanno capito ed è stata accettata la proposta».
Nessun team quindi si è detto contrario alla decisione: «Non c’era motivo per farlo. Si è soltanto deciso di ripartire riammettendo tutti, senza fare gli scontri diretti, così da non penalizzare nessuno. Ovviamente il fatto che tutte le squadre abbiano appoggiato questa decisione l’ha resa certamente più forte e questo fa personalmente molto piacere. Insieme si è soltanto deciso se rifare la qualificazione, ma alla fine si è optato per ammettere tutti alla gara perché ripetere la qualificazione sarebbe stato ingiusto nei confronti di chi si era qualificato e avrebbe corso il rischio di restare poi fuori dalla competizione. Non ho alcun dubbio sul fatto che sia stata presa la decisione migliore».
Si è parlato tanto nella giornata di martedì anche delle pressioni che lo stesso governo polacco avrebbe fatto per riammettere la sua squadra: «Il Consolato Polacco ha inviato una lettera – ha chiarito Pertile – ma tutta la decisione è stata presta dalle autorità sportive su indicazione di quelle sanitarie. Alla fine avevamo degli atleti negativi al covid, che le autorità sanitarie locali ci avevano permesso di riammettere alla gara. Una volta che la parte medica è arrivata alla conclusione che questi atleti potevano gareggiare, noi abbiamo solo preso la decisione sportivamente più giusta».
Noi stessi ci eravamo posti la domanda se si sarebbe giunti alla stessa conclusione anche con un team meno importante della Polonia. Pertile è convinto che sarebbe stato così perché a vincere è stato lo sport. «Ogni squadra contesta la possibilità che con un positivo bisogna escludere tutti per il concetto di close contact. È vero, si possono prendere delle misure di sicurezza, ma non è nemmeno facile non avere contatti quando sei un team con 20-25 persone come quello polacco. Noi ci siamo trovati con il paradosso di avere lì degli atleti con quattro test PCR negativi, che avrebbero dovuto guardare la gara in tv dalla camera dell’albergo. Non è una cosa accettabile, al di là della bandiera della nazione interessata. Soprattutto in una competizione come questa, che rappresenta il sogno di ogni saltatore, non puoi lasciar fuori atleti con quattro test negativi. Per altro nei test successivi, oltre Muranka, sono risultati negativi anche le altre tre persone inizialmente positive al primo tampone. Sono cose che possono succedere anche se non dovrebbero. Noi abbiamo però preso la decisione che sportivamente era la più corretta possibile. Chiaro, forse qualcuno può essere rimasto penalizzato dalla situazione, ma alla fine questa era la soluzione in assoluto più corretta dal punto di vista sportivo».