Rosie Brennan, leader di Coppa del Mondo.
Prima dell’avvio della stagione 2020-21, chi avrebbe mai scommesso sulla veterana della forte squadra americana?
La fondista nata e cresciuta a Park City nello Utah, ma alaskana per vocazione fondistica, è stata la vera grande sorpresa dello sci di fondo del primo mese di Coppa del Mondo.
La sua è una storia a rincorrere, fatta di grandi sacrifici, sin da quando imparò tardivamente a sciare a 14 anni, dopo aver provato la ginnastica, il calcio e un po’ di sci alpino.
Un vero e proprio manifesto da far leggere ai giovani, un’ode alla resilienza alla quale ispirarsi quando gli ostacoli sembrano più alti e minacciosi delle montagne della sua terra adottiva.
A 32 anni è riuscita a entrare nella ristretta cerchia delle fondiste più forti del mondo e lo ha fatto dimostrando di poter competere alla pari con svedesi e russe, facenti parte di quell’agguerrito lotto di atlete che sta provando a scalzare dal trono la leggendaria Therese Johaug, della quale la stessa Rosie è coetanea.
Successivamente sono arrivate le assenze delle scandinave a Davos e Rosie si è librata in volo, forte delle sicurezze e della nuova dimensione raggiunta, vincendo a sorpresa la sprint davanti a pesi massimi come Nadine Fähndrich e Anamarija Lampic. Non appagata ha trionfato il giorno successivo, dominando, sul suo terreno più favorevole nella 10 skating. Tutto ciò l’ha portata a vestire il pettorale giallo e il pettorale rosso, quest’ultimo poi perso in seguito all’assenza di Dresda.
Bachelor in geografia alla Dartmouth University e Master in education, più o meno il nostro scienze della formazione, all’Alaska Pacific University, Rosie si diletta anche come cuoca e nutrizionista, oltre all’impegno concreto in diverse attività non-profit.
Raggiunta durante gli allenamenti di rifinitura a Davos, si è cortesemente raccontata a Fondo Italia.
Al Tour de Ski manca ormai poco. Brennan si presenterà al via da leader di Coppa del Mondo e si augura di vestire il giallo il più a lungo possibile, magari fino in cima al Cermis e oltre.
Ciao Rosie, il tuo inizio di stagione è stato veramente incredibile. Negli ultimi anni le tue prestazioni sono sempre state di alto livello, ma fra Ruka e Davos hai dimostrato di essere attualmente una delle fondiste più forti al mondo. Nonostante le complicazioni del prepararsi durante la pandemia, cosa ti ha permesso di scalare quest’ultimo gradino che ti separava dalle migliori?
Semplicemente mi sento fortunata a fare questo lavoro. Essere una fondista e passare la maggior parte del tempo ad allenarmi all’aria aperta è ciò che amo. Vivo in un posto pieno di spazi aperti dove c’è la possibilità di allenarsi su piste battute fino a metà maggio, grazie alle abbondanti nevicate dell’inverno. Sebbene non avessi accesso a una palestra o la possibilità di allenarmi sulla neve nei mesi estivi, il lavoro a secco è stato molto produttivo, in virtù del confronto con le mie forti compagne di squadra e il supporto del mio allenatore. Inoltre, senza training camp o altri motivi per viaggiare, la preparazione ne ha guadagnato in consistenza. Quest’anno non c’è stata alcuna distrazione con matrimoni e viaggi, così non ho perso neanche un giorno. A novembre sono tornata ad allenarmi sulla neve con molta attenzione sulla tecnica e la forza. In sintesi, più gli allenamenti sono intensi, meglio risponde il mio corpo. Nel complesso la preparazione non è stata molto diversa rispetto agli anni passati. Il risultato è dovuto al continuo impegno dell’ultimo decennio.
Primo podio in carriera nella gundersen in skating di Ruka a pochi secondi da Therese Johaug e Marie Helene Fossesholm, prima vittoria, con doppietta il giorno successivo, in assenza delle nordiche ma con dominio nelle due gare di Davos. Che emozioni hai provato?
Il mio pattinaggio è stato consistente durante tutta l’estate e mi sono caricata a molla. Non vedevo l’ora di mettere tutto in pratica in Coppa del Mondo. Mi sono spinta al limite a Ruka per capire a che livello fossi e le mie condizioni di forma hanno confermato le mie aspettative. La 10 skating di Davos l’avevo cerchiata come obiettivo già in primavera con l’intento di salire sul podio. Il percorso mi si addice e ho pensato di avere proprio lì una delle più grandi chance. Sono molto soddisfatta di aver raggiunto quell’obiettivo e più di ogni altra cosa, sono molto orgogliosa di me stessa per aver tenuto duro in questi anni abbastanza a lungo da raggiungere questi risultati.
A Davos, considerando anche le assenze delle nordiche, eri diventata la donna da battere nella gara distance. Hai dimostrato in questi anni di avere un buon equilibrio fra skating e classico nelle gare lunghe. Ciò che non ci si attendeva, era vederti ottenere prima il miglior tempo in qualificazione e poi vincere la sprint senza aver mai raggiunto nemmeno una semifinale. Hai fatto qualche lavoro specifico in questo senso?
Non credo che ci sia differenza fra il prepararsi per le distance o per le sprint. Si tratta di far valere la propria condizione e sfruttare le proprie qualità in entrambe le gare. Nelle sprint del circuito americano avevo ottenuto ottimi risultati, credo quindi mi mancasse sicurezza per riuscire a fare altrettanto in Coppa del Mondo. Ho sempre dubitato delle mie capacità in questo tipo di gare, ma adesso sono arrivata a un punto dove sento di poter fare bene ovunque.
Classico o skating?
Non lo so, ogni anno la mia preferenza cambia.
Non ti abbiamo vista al via delle gare di Dresda e ciò ti è costato il pettorale rosso di leader delle sprint. Immagino la scelta fosse di guardare subito avanti.
Prima che tutto ciò accadesse, ero d’accordo con il mio allenatore di saltare le gare in Germania per dedicarmi a un buon periodo di allenamento. Dopo la vittoria di Davos ero tentata di cambiare i miei piani, ma i programmi si fanno per un valido motivo e ho ancora molti obiettivi davanti fra Tour de Ski e Campionati Mondiali.
Proprio al via del Tour de Ski, il 1° gennaio in Val Müstair, ti presenterai in partenza con il pettorale giallo di leader di Coppa del Mondo. Senti la responsabilità e la pressione?
Penso solo sia fantastico. Non avrei mai pensato di ritrovarmi in testa alla classifica di Coppa del Mondo e il pettorale giallo mi ricorda che tutto è possibile. Non sento la pressione, anzi, combatterò in pista facendo il meglio possibile per onorarlo.
Qual è l’obiettivo che ti sei posta per il Tour de Ski?
Vorrei ottenere un ottimo risultato nella classifica finale. E’ difficile stabilire un obiettivo poiché può succedere di tutto lungo il percorso. Spero di riuscire a dare il massimo in ogni giorno di gara e vedere ciò che questo porterà.
Molti fondisti in questi anni sono riusciti a raggiungere i vertici della Coppa del Mondo senza soffrire il passaggio da junior o under 23. Per te, il primo podio e la prima vittoria sono arrivati a 32 anni. Cosa significa aver raggiunto questi traguardi dopo una lunga carriera?
Sicuramente il mio percorso non è stato tradizionale, contando che non ho imparato a sciare fino a 14 anni. Ho avuto una serie di infortuni e vicissitudini che mi hanno rallentata e fatto ripensare quale fosse la strada. Alla fine, nel profondo, ho sempre creduto di poter fare di più e non arrendermi alle circostanze. Anno dopo anno, ho lavorato e provato a vedere cosa fosse possibile raggiungere. Qualche volta mi sento in imbarazzo per la mia età e la lentezza dei miei progressi. Ho dovuto imparare a essere paziente con me stessa poiché, avendo iniziato tardi con lo sci, mi sono sempre sentita indietro. Inoltre, è difficile venire dagli Stati Uniti e passare tutto l’inverno lontano dalla famiglia, dagli amici e dal mio allenatore vivendo in una camera d’albergo. E’ una curva di apprendimento che ha richiesto del tempo. Finalmente ora sono felice di vivere e gareggiare qui.
Dato il tuo percorso, che consiglio avresti da dare a quei ragazzi e ragazze che fanno fatica dopo i risultati giovanili?
Il miglior consiglio che posso dare è di affrontare ogni ostacolo che si presenta dinanzi e trasformarlo in un’opportunità per crescere e sfidare se stessi, essere pazienti e non mollare mai.
Sei nata nello Utah per poi trasferirti in Alaska inseguendo i tuoi sogni. Io ho passato un anno negli Stati Uniti per studio parecchi anni fa senza poter scegliere la destinazione. Sinceramente ero terrorizzato all’idea di finire in Alaska. Luogo stupendo e appunto, per me, terrificante. Ci puoi raccontare la tua terra d’adozione?
L’Alaska è un posto incredibile, soprattutto se sei un fondista. Ad Anchorage, dove vivo, abbiamo neve per sciare dall’inizio di novembre fino a metà maggio, inoltre c’è una struttura sul ghiacciaio a disposizione che ci permette, volendo, di allenarci sulla neve anche in estate. In alternativa, c’è modo di allenarsi sugli skiroll con profitto. E’ pieno di sentieri e montagne da scalare. In città ho altre opportunità con la scuola e il lavoro che mi permettono di bilanciare gli allenamenti. Mi alleno con l’Alaska Pacific Nordic Ski Center seguita da Erik Flora, un allenatore incredibile. Le mie compagne di squadra sono davvero forti e mi supportano in tutti i momenti difficili. Trasferirmi in Alaska è stata la decisione migliore che ho preso nella mia vita!
In Europa abbiamo più familiarità con il sistema di reclutamento universitario di altri sport estremamente popolari alle vostre latitudini. Come funzionano le borse di studio per lo sci di fondo?
Ho fatto parte del Dartmouth College per 4 anni e, come hai sottolineato, abbiamo un sistema di borse di studio che ci permette di sciare e studiare senza dover pagare la retta. Sfortunatamente, concluso il percorso universitario, le cose si fanno più complicate. Tutti negli Stati Uniti si allenano con e sono affiliati a dei club e ognuno di essi ha una struttura organizzativa propria per supportare gli atleti. Il mio club, l’Alaska Pacific Nordic Ski Center, mette a mia disposizione l’allenatore e il team con il quale allenarmi. La squadra nazionale garantisce supporto per i training camp collegiali e le competizioni, ma non riceviamo alcuno stipendio. Noi atleti siamo responsabili di sostenere il resto delle spese. Questa può essere una sfida veramente impegnativa, soprattutto se non fai parte della squadra nazionale. Questo è stato il mio caso per molti anni. Ho fatto domanda per sovvenzioni attraverso organizzazioni senza scopo di lucro, ho organizzato raccolte fondi e alcuni sponsor locali mi hanno supportato per sbarcare il lunario. Inutile dire che vivo una vita di basso profilo e faccio del mio meglio per ridurre le spese.