Dopo tanti anni alla guida della nazionale Under 23 maschile, Luciano Cardini, allenatore del Centro Sportivo Carabinieri, è ripartito da atleti ancora più giovani. Nel nuovo corso di Alfred Stauder, responsabile del settore giovanile, al carabiniere sudtirolese è stata affidata la nazionale Juniores. Cardini avrà in particolare la responsabilità di allenare il gruppo maschile, composto da Alessandro Chiocchetti, Luca Sclisizzo, Matteo Ferrari, Elia Barp, Andrea Gartner e Nicolò Cusini. Di loro ma di tanto altro abbiamo parlato con l’allenatore azzurro nell’intervista che segue.
Buon pomeriggio Cardini. Quest’anno è arrivato un grande cambiamento per lei, che dopo anni alla guida degli Under 23, allenerà gli Juniores. Cosa ha pensato quando ha ricevuto la chiamata di Stauder?
«Sicuramente mi ha fatto piacere, perché non nascondo che mi era dispiaciuto tanto non essere stato confermato alla guida dell’Under 23. Il fatto che sia rimasto nei quadri federali, seppure alla guida di un’altra squadra, significa che il mio lavoro è stato apprezzato».
Poche settimane fa avete svolto il vostro primo raduno; come ha trovato la squadra?
«Bene. È iniziato tutto piuttosto velocemente, in quanto le squadre giovanili sono state annunciate più tardi, quindi alcuni comitati e gruppi sportivi avevano già organizzato il programma e iniziato la preparazione. Ciò ha complicato un po’ le cose all’inizio, in quanto bisogna incontrare gli allenatori dei diversi comitati, perché vedono questi ragazzi più spesso di noi. Insomma è importante creare un buon rapporto con gli allenatori che li seguono a casa, con i quali dovremo sentirci spesso. Per quanto riguarda i ragazzi, li ho trovati bene. Sono un bel gruppetto, giovani motivati e rispettosi, con tanta voglia di fare. Abbiamo sei ragazze e sei ragazzi, che mi hanno anche sorpreso in positivo su certe cose, evidentemente hanno lavorato bene anche a casa. C’è ovviamente tanto da fare, perché sono atleti giovani e tutti da scoprire».
Cosa cambia rispetto al lavoro che faceva con gli Under 23?
«È un po’ diverso, perché gli Under 23, seppur giovani, sono già dei professionisti. Qui si fa un altro lavoro, perché parliamo di Juniores che hanno bisogno ancora di tanti insegnamenti e indicazioni. Il lato educativo è ancora tanto presente nel nostro lavoro con questi ragazzi, mentre nell’Under 23 si pensa prevalentemente all’allenamento, si parla soprattutto di quello».
Siete tre allenatori per dodici atleti; come vi siete divisi i compiti?
«Io mi occupo principalmente dei maschi, mentre Paolo Rivero e Michela Andreola lavorano con le ragazze. Ovviamente le linee guida le abbiamo preparate assieme, seguendo anche le indicazioni di Stauder. Su certe cose ho portato i miei tanti anni di esperienza in questo ambiente. In ogni caso il nostro sarà un lavoro di squadra, nel quale ognuno di noi cercherà di tirare fuori il massimo, portando le proprie peculiarità, dando il meglio di noi stessi».
Com’è il suo rapporto con Stauder?
«Ha contribuito tanto alla mia crescita da allenatore, da lui ho imparato molto. Le sue idee, quindi, sono anche le mie. Il messaggio che deve passare con i giovani è il seguente: lo sci di fondo è uno sport endurance, di fatica, quindi devono saper soffrire. Nella preparazione bisogna dare un maggior spazio alla corsa, cosa che forse abbiamo un po’ sottovalutato in passato. Bisogna lavorare e faticare tanto, perché hanno scelto loro di fare questo sport e se vogliono salire di livello, il percorso da seguire è questo».
Parliamo ora della squadra maschile, che le è stata affidata.
«In questo primo raduno ho fatto conoscenza con molti di questi atleti, mentre altri li conoscevo già. Sono tutti ragazzi che hanno voglia di fare e ognuno ovviamente ha le sue peculiarità. All’inizio erano tutti un po’ più tranquilli e silenziosi, poi hanno iniziato a scherzare e giocare, sono cambiati, ciò significa che si stanno trovando bene. Non tutti si sono presentati fisicamente allo stesso punto, quacuno era più avanti rispetto agli altri nella preparazione, ma siamo ancora a metà luglio. In questa fase stiamo cercando di conoscerci e creare un rapporto. Ovviamente nei primi dieci giorni di raduno abbiamo lavorato tanto, volevamo mostrare tante cose ai ragazzi, in particolare negli allenamenti, soprattutto quelli in palestra. Dovevamo dargli tante indicazioni, perché il prossimo raduno sarà in programma solo dopo ferragosto, quando dal 18 agosto andremo a Forni Avoltri. Lì faremo tanta potenza e capacità anaerobica. Nel raduno successivo, invece, dovremmo andare ad Isolaccia insieme al Gruppo Atleti di Interesse Nazionale, dove effettueremo anche dei test tutti assieme. È importante cercare un po’ di lavorare assieme ai comitati e fare anche dei confronti tra gli atleti, perché il primo escluso dell’AIN non è certo troppo distante dalla nazionale Juniores».
A proposito di questo: come vi organizzerete in stagione? Ci saranno selezioni per stabilire chi parteciperà alle gare di OPA Cup Junior?
«È tutto aperto, nessuno avrà nulla di diritto, anche se è in squadra. Cercheremo di fare dei test per poi selezionare e portare i migliori in OPA Cup. La nostra idea, almeno sulla carta, è di non portare troppi atleti, ma soltanto chi ha il livello per gareggiare in ambito internazionale. Bisogna guadagnarsi l’OPA Cup, deve essere uno stimolo che dovrebbe spingere questi ragazzi a dare il loro meglio in ogni gara di Coppa Italia. Preferiamo creare un po’ di sana concorrenza, far passare il messaggio che non esiste nulla di regalato, ma in OPA Cup ci va solo chi ha veramente voglia di farlo».
Cosa le ha lasciato la sua lunga esperienza alla guida dell’Under 23?
«Ho avuto la fortuna di accompagnare questi ragazzi per tanti anni e mi hanno regalato tanto. Ho imparato che la cosa più importante è creare un bel gruppo, perché rende le cose più semplici. Se riesci a farlo, hai già compiuto una parte importante del lavoro. Ognuno di loro poi mi ha lasciato dei feedback importanti. Questo è molto utile, una cosa che non va mai sottovalutata, perché se conosci profondamente un tuo atleta, riesci a cogliere al volo ogni eventuale momento di difficoltà e intervenire. Ho imparato tanto anche sull’allenamento, perché in questi cinque anni, grazie ai loro feedback, ho anche cambiato alcune mie idee. È fondamentale oggi avere un bel rapporto con gli atleti, perché rispetto al passato, questa generazione ha maggiore bisogno di parlare e capire le motivazioni che ci portano a proporre un determinato lavoro. Infine, ci tengo a dire quanto mi fa faccia piacere che ancora ci sentiamo, sono felice quando uno di loro mi chiama o mi manda un messaggio».