L’antidoping continua a evolversi. Dallo scorso autunno la WADA ha iniziato a lavorare, insieme alle organizzazioni antidoping di Svizzera, Australia, Cina, CIO, Italia, Giappone e Stati Uniti, per lo sviluppo del dried-blood-spot testing, le analisi sulle goccie di sangue essiccato.
In parole povere, il test consiste nel prelevare una goccia di sangue fresco, depositarla su un apposito cartoncino, sul quale vengono inseriti gli estremi dell’atleta. Il foglio a quel punto viene imbustato, sigillato e spedito in laboratorio.
Il test ha il vantaggio di essere meno invasivo per l’atleta, in quanto si tratta di una semplice puntura al dito e non prevede il prelievo di molto sangue, genera un risparmio economico nel trasporto dei campioni e anche nei prelievi, necessita di minor spazio per la loro conservazione. Inoltre i campioni si degradano meno e restano più stabili. In questa maniera potrebbero essere effettuati più controlli a parità di costi.
Evidentemente questi primi mesi di test stanno dando dei riscontri positivi, dal momento che lunedì pomeriggio il presidente della WADA, Witold Banka, ha elogiato su twitter questo nuovo sistema: «Il Dried Blood Spot (DBS) ha il potenziale per essere una vera rivoluzione nell’antidoping! La WADA e i partner stanno lavorando a questo progetto da un po’ di tempo. DBS consiste nel raccogliere alcune gocce di sague su un pezzo di carta per l’analisi antidoping. Ne abbiamo bisogno al più presto, ma in conformità con il codice».