Nella giornata di ieri ha dato il suo addio al biathlon, ad appena 28 anni, mettendo fine ad una carriera nella quale si è tolta anche la grande soddisfazione di vincere una medaglia mondiale, lo splendido bronzo nell’individuale di Hochfilzen del 2017. Il giorno dopo aver annunciato il suo ritiro, Alexia Runggaldier è ancora emozionata e commossa perché uno splendido capitolo della sua vita si è definitivamente concluso.
Nell’intervista rilasciata questa mattina a Fondo Italia, la gardenese delle Fiamme Oro ha descritto le proprie emozioni, ripercorso la sua carriera e parlato di sé.
Ciao Alexia, cosa stai provando nel giorno successivo all’annuncio del tuo ritiro?
«Ho la consapevolezza che adesso è veramente finita, perché fino a ieri, pur avendo già preso questa decisione, non l’avevo ancora resa ufficiale. Non nascondo che mi è anche scesa qualche lacrima nel vedere tutti i messaggi che ho ricevuto. Da una parte provo anche un senso di sollievo, perché so che adesso potrà partire una nuova fase della mia vita, ma ciò non toglie quel velo di nostalgia e tristezza, che sono inevitabili quando chiudi un bellissimo capitolo che hai vissuto».
Quando hai preso la decisione di porre fine tua carriera?
«È maturata già durante l’inverno, quando mi sono accorta che in gara mi mettevo sempre troppa pressione e non riuscivo a dare ciò che potevo, pur venendo da un’estate molto positiva, nella quale mi ero allenata bene stupendo quasi me stessa. D’inverno non sono però riuscita a mantenere la stessa tranquillità, perché le gare mi mettevano ansia. Questo mi ha fatto pensare tanto, in quanto mi sono detta che alla mia età non era certo una cosa positiva vivere la competizione in questa maniera. Con l’esperienza maturata negli anni, avrei dovuto godermi di più ciò che stavo facendo ed essere maggiormente consapevole dei miei mezzi. Da lì ho iniziato a pensare al ritiro, anche perché nel corso della stagione il corpo ha cominciato a non aiutarmi più e anche di testa ero sempre meno convinta. Insomma la decisione è stata sempre più chiara, anche perché i risultati non stavano arrivando. Avevo troppi alti e bassi».
In occasione della tappa di IBU Cup a Minsk eri quindi consapevole che fosse il tuo ultimo tuo weekend di gare internazionali?
«Si e avevo delle sensazioni molto strane nel lasciarmi tutto alle spalle. Quella settimana ero particolarmente triste, ma ancora peggio è stato quando sono tornata. Non appena ho messo piede a casa, ho pianto per un’ora. In quel momento mi sono resta conto che stavo lasciando un ambiente in cui ho conosciuto tante persone e stavo cambiando anche il mio stile di vita, visto che sono sempre stata abituata a viaggiare tanto, a non stare mai ferma in casa, andando in giro per il mondo sempre con le stesse persone. Per questo sono un po’ crollata in quel momento, anche perché sono una persona molto emotiva».
Nel saluto sui social, mi ha colpito molto il passaggio in cui ringrazi le tue compagne di squadra perché ti hanno fatto capire cosa non andava in te.
«È una cosa molto personale. Diciamo che in questo lungo periodo sono molto cambiata. Negli anni scorsi, quando non stavo tanto bene con me stessa, le mie compagne cercavano di farmi capire che c’era qualcosa che non andava. Sai, subito certe cose non lo vedi, poi quando inizi a guardare molto approfonditamente dentro te stessa, capisci che avevano ragione nel farti notare certe cose. Per esempio ero molto competitiva, non riuscivo mai a mostrare me stessa, tenevo il sorriso anche quando dentro non stavo bene. Per questo motivo sono stata molto contenta di aver fatto le ultime gare della mia carriera insieme a Nicole (Gontier, ndr), anche se sarei stata più felice per lei se fosse stata in Coppa del Mondo. È stato bello ritrovarsi, ci siamo riavvicinate, probabilmente anche come persone diverse rispetto al passato».
Ci hai detto di aver ricevuto tanti messaggi. Immaginiamo che negli anni hai fatto amicizia anche con diverse atlete straniere.
«Si. Per esempio Ingela Andersson posso considerarla a tutti gli effetti una delle mie migliori amiche. Durante l’estate non è facile frequentarsi, ma siamo sempre state in contatto. Anni fa abbiamo anche fatto una vacanza assieme e ne stavamo organizzando un’altra per questo aprile, coinvolgendo anche la mia migliore amica di qui, ma purtroppo l’emergenza coronavirus ha fatto saltare tutto. Un’altra amicizia importante che ho fatto in questi anni è stata con Elisa Gasparin. Oltre loro due, ho un ottimo rapporto anche con tante altre biatlete».
Passiamo alla tua stagione più bella, il 2016/17.
«È stato un anno straordinario, nemmeno io me l’aspettavo, perché non pensavo di fare un salto di qualità così rapido. In un mese mi sono ritrovata ad aver ottenuto due podi individuali e disputato un Mondiale bellissimo, che ha sorpreso anche me. A ripensarci oggi è stata una figata».
Riguardando la foto del podio di Hochfilzen con due grandissime campionesse come Gabriela Koukalova e Laura Dahlmeier, cosa provi?
«Ciò che provo da quando ho guardato quella foto per la prima volta. Ogni volta che mi rivedo vicino a quelle due campionesse, penso che allora qualcosa di buono l’ho fatto anch’io. Quella foto significa tanto per me, sono orgogliosa di aver condiviso il podio con due atlete del genere».
È stato quello il momento più bello della tua carriera?
«Si, ma insieme alla vittoria ottenuta in staffetta a Hochfilzen nel dicembre 2018. Per me quella è stata una gara speciale, in quanto solo un anno e mezzo prima, sempre sulla stessa pista, ai Mondiali non avevamo conquistato la medaglia ed io non ero riuscita a dare il meglio di me stessa. Ciò mi aveva sempre infastidito, perché tenevo tantissimo a quella gara e non ero riuscita a tirare fuori quello che avrei potuto dare in quel momento. Il fatto di essere quindi salite sul podio un anno e mezzo dopo sulla stessa pista, addirittura vincendo, mi ha dato tanta soddisfazione, anche se pure in quell’occasione non ho disputato certo la mia miglior gara. Purtroppo ho sempre fatto molta fatica in staffetta».
Come mai?
«Ho sempre sentito troppo queste gare, mettendomi una pressione esagerata. Per esempio nel 2017, il mio anno migliore, quando partivo per le gare individuali ero più tranquilla, perché gareggiavo soltanto per me. In staffetta, invece, ero consapevole che un mio errore avrebbe fatto perdere tutta la squadra e ciò mi ha sempre messo maggiore pressione addosso, portandomi a non sparare bene come avrei potuto e dovuto».
Dopo il tuo grande 2017 non sei riuscita a ripeterti. Su questo hanno influito anche alcuni problemi fisici che hai avuto?
«Fino a quel momento non avevo mai riscontrato grandi problemi fisici, avevo avuto pochi malanni. Da lì in poi hanno iniziato ad arrivare e non capivo da dove venissero, in particolare quello strappo muscolare nel corso della preparazione della stagione 2018/19 che proprio non riuscivamo a spiegarci. A rallentarmi, però, non sono stati solo questi problemi fisici ma anche la componente mentale, mi sono messa più pressione addosso. Insomma è stato tutto un insieme di cose».
La scorsa estate ti sei allenata insieme alle fondiste della squadra di sede delle Fiamme Oro. Ilaria Debertolis ce l’ha descritta come una grande famiglia.
«É vero che siamo come una grande famiglia. Ognuno cerca di aiutarsi a vicenda e anche se siamo tutti molto diversi ci siamo sempre rispettati. É stato molto bello condividere la stanza con Erica (Antoniol, ndr), Ilaria (Debertolis, ndr) e Sara (Pellegrini, ndr). Ci siamo divertite un sacco e a un certo punto sembravamo come sorelle che litigano per chi non pulisce per terra o chi lascia in giro le bottigliette d’acqua. Anche in allenamento ci siamo sempre divertite e più di una volta mi hanno tirato il collo».
Nel nuovo capitolo della tua vita, cosa porterai dietro di ciò che hai imparato nel biathlon?
«Sicuramente sarà molto utile la disciplina. Il biathlon, poi, ti insegna che sei tu ad avere in mano le cose, perché quando ti poni un obiettivo puoi raggiungerlo se ci metti tanto impegno. Dall’altra parte, però, negli ultimi anni mi ha anche insegnato ad accettare me stessa, i miei limiti e ad ascoltare il mio corpo. Ho capito di essere una persona molto sensibile, che fa fatica a gestire le emozioni, mentre in questo sport bisognerebbe essere più freddi e lasciarsi scivolare le cose. Insomma ho scoperto tanto di me stessa. Per questo dico che il biathlon è stato una scuola di vita e sono felice di aver avuto l’opportunità di fare questa esperienza. Senza il percorso seguito non sarei la persona di oggi».
Cosa ti mancherà di più?
«Le persone che ho conosciuto in questi anni e il brivido della gara, l’adrenalina di quando sei in forma e arrivi all’ultimo giro che ti giochi un bel risultato».
Quale consiglio dai ai giovani che hanno deciso di praticare il biathlon a livello agonistico?
«A loro consiglio di credere in se stessi, tenere duro quando si è stanchi in allenamento e si fa fatica, perché questo sport li ricompenserà in tante cose. È un’esperienza unica che non tutti hanno la fortuna di fare».