Interessante servizio giornalistico dell’Expressen (per leggerlo in lingua originale clicca qui), che ha raggiunto l’Austria dove ha incontrato Max Hauke, l’atleta simbolo dello scandalo doping del Mondiale di Seefeld, per il video girato dalla Polizia mentre stava effettuando la trasfusione prima della 15km in classico. L’ormai ex fondista austriaco (ha dichiarato che non tornerà a mettere gli sci, ndr) ha accettato di incontrare il giornalista svedese Tomas Petterson, rilasciando dichiarazioni molto interessanti. Vi abbiamo tradotto buona parte del bel servizio del giornalista svedese.
«Penso che prima di quel video tutti mi vedessero come un bravo ragazzo – ha esordito Hauke – dopo di esso molte persone mi giudicano un mostro del doping. Questo è uno dei motivi che mi spingono a raccontare la mia versione dei fatti, perché c’è qualcosa in più dell’immagine di me seduto sul divano».
PERCHÈ L’HA FATTO E l’ORGANIZZAZIONE DEL "SISTEMA SCHMIDT"
L’austriaco è quindi partito dalle discussioni particolari che si facevano spesso all’interno della squadra austriaca: «Quando un atleta in campo internazionale faceva una gara inaspettatamente buona, qualcuno diceva sempre cose tipo “possiamo immaginare cosa abbia preso a colazione”. Allo stesso tempo era sempre scritto di casi di doping sui media. Così ho iniziato a pensarci ed avere quella sensazione che molti si dopassero. Poi arrivarono le Olimpiadi di Sochi, quando uno dei miei compagni venne fermato per doping dell’Epo». Il riferimento è a Johannes Dürr.
Sorprendentemente proprio quel fatto lo spinse a iniziare anch’egli a doparsi: «Ho fatto l’errore della mia vita. Johannes (Dürr, ndr) era al mio livello e raggiunse il top. Era dopato. Così per me divenne una verità: la sola chance per essere al top era attraverso il doping. E quello è stato il primo passo su questa “strada scivolosa”. Avrei dovuto pensare in un modo diverso, capire che c’erano altri modi e possibilità (per raggiungere il top, ndr) ma non l’ho fatto».
Hauke, quindi, ricevette proprio da Dürr il contatto del dottore tedesco Mark Schmidt: «Sapevo che era sbagliato e rischiavo tutto, ma allo stesso tempo dovevo farlo perché volevo raggiungere l’elite mondiale». Iniziò così una seconda vita per Hauke, nell’ombra, nella quale prese il nome in codice di Moritz, che avrebbe usato in ogni comunicazione: «Ricevetti un secondo telefono, del quale nessuno era a conoscenza, nemmeno la mia ragazza. Nella tariffa, Schmidt mi chiedeva 10mila euro a stagione. È stato facile nascondere tutto in una squadra come l’Austria dove ognuno si allena da solo per lunghi periodi. Ho tolto il sangue ad aprile, ma nessuno l’ha notato, perché in quel periodo mi sono allenato da solo sei-sette settimane. Ho cominciato ad andare anche 40” più veloce in una 15km. Il team medico che mi seguiva prenotava sempre una camera nel mio stesso hotel. Quindi ricevevo un messaggio sull’orario in cui raggiungerli ed era tutto pronto. Dopo la gara venivo chiamato per tornare lì. A volte, invece, come a Lillehammer, i medici affittavano un’intera casa. Presto mi sono accorto che c’erano coinvolti anche altri atleti oltre me e Dominik (Baldauf, ndr), perché i medici non potevano certo costruire una cosa del genere solo per noi due. Non sapevamo però chi fossero gli altri atleti coinvolti, anche se lo sospettavamo. I dottori ci dissero di non chiedere mai nulla e francamente non volevamo sapere troppo. Era meglio se meno persone possibili fossero a conoscenza di ciò che stava accadendo».
L’obiettivo fu da sempre la 15km in classico del Mondiale di Seefeld, al punto che Hauke a volte si trovò quasi a rallentare volontariamente per non creare alcun sospetto: «Qualche volta aveva una giornata veramente buona, come a Davos nel 2017, quando mi sentivo in grande forma. Quando mi comunicarono che avevo il quinto tempo all’intermedio, mi spaventai e mi bloccai. Non volevo destare alcun sospetto, il piano era di fare la mia grande prestazione a Seefeld. Iniziai quindi a rallentare chiudendo quindicesimo. Per me in quel periodo era come vivere in un film».
IL MONDIALE DI SEEFELD
Quindi arrivò il Mondiale di Seefeld, il giorno della 15km in classico che tanto sognava, con la consapevolezza che il doping stava funzionando. «Ero a un alto livello – ha affermato – l’avevo capito nella team sprint». In quel periodo però Hauke non sapeva di essere già sotto la sorveglianza della Polizia, in quanto proprio Dürr aveva confessato agli inquirenti che Mark Schmidt stava operando a Seefeld avendo affittato lì un appartamento. «Nel giorno della team sprint hanno capito che stavo lavorando con Schmidt – ha spiegato Hauke – stavano controllando l’appartamento e hanno visto che lo stavo frequentando».
La Polizia sapeva che nel giorno della 15km in classico, proprio la gara tanto sognata da Hauke, l’atleta austriaco avrebbe fatto visita all’appartamento per una trasfusione. Lo videro entrare, aspettarono qualche minuto e fecero quindi la famosa irruzione, cogliendo il fondista sul fatto e documentandolo con il video che ha fatto il giro del mondo. «Ogni volta che vedo quell’immagine – ha ammesso con grande dolore – sento il rumore della Polizia che apre la porta, ricordo il secondo in cui mi resi conto che tutto era finito. È stato il secondo più difficile della mia vita. La mia famiglia non sapeva nulla, loro addirittura erano allo stadio di Seefeld ad aspettare l’inizio della gara, quando hanno ricevuto una telefonata nella quale gli è stato comunicato il mio arresto. Quando sono stato scarcerato erano lì, tutti hanno iniziato a piangere, mia mamma in particolare. È stato un momento difficile. Cosa mi ha detto? Che ho sbagliato, ma sarò sempre suo figlio».
IL POST ARRESTO
Hauke ha poi svelato che tanta gente in Austria ha reagito al video prendendo le sue parti ma pensa che i compagni lo eviterebbero se lo incontrassero: «La gente che ho incontrato mi ha sempre detto che la Polizia aveva sbagliato e non era stato giusto far uscire quel video. Più quello che condannarmi per il doping. I miei compagni? Non ho più avuto alcun contatto con loro, probabilmente se mi vedessero per strada prenderebbero una direzione diversa. Sicuramente questo mi renderebbe triste. Ma capisco che non vogliano più avere nulla a che fare con me».
Dal giorno successivo all’arresto Hauke ha iniziato a collaborare con la Polizia e la WADA: «Ho deciso immediatamente di raccontare tutto. Era la mia unica possibilità, è stato come liberarmi di un grande peso. Non dovevo più mentire. Ho informato la WADA di tutto quello che ho fatto, ciò che Schmidt ha fatto e detto».
COME INGANNARE I CONTROLLI
Nonostante fosse dopato, Hauke non fu mai pescato in un controllo antidoping: «Se non fosse stato per la Polizia oggi non sarei qui, ma ancora in giro da dopato. Mark Schmidt mi dava la sensazione che tutto fosse tranquillo. Ovviamente ero nervoso quando feci i primi test, ma essi non mostrarono nulla. Schmidt aveva ragione su ogni cosa e la mia fiducia in lui crebbe. Alla fine non ero nemmeno più nervoso, perché avere un’organizzazione come quella di Schmidt attorno rendeva tutto facile. Come potevo farla franca nei controlli? Per esempio ci sono degli orari in cui non vieni testato, quindi prendi l’ormone della crescita prima di andare al letto ed è sparito quando ti svegli. Per le trasfusioni basta bere acqua salata e i livelli di sangue tornano alla normalità».
L’ex fondista austriaco è convinto che nel mondo ci siano tanti medici come Schmidt: «Ce ne sono altri lì fuori, era ovvio che parlasse con altri dottori ottenendo informazioni su come nascondere tutto. Se fuori c’è una rete di medici dopanti? Si ed è a loro che dovrebbe essere data la caccia. L’atleta è solo l’ultimo anello della catena, perché senza un medico che ti aiuta non hai l’opportunità di doparti. Questi dottori vanno fatti fuori dal mondo dello sport, è l’unico modo per renderlo pulito. Penso di averlo fatto capire alla WADA».
COSA L’HA SPINTO A DOPARSI E I SOSPETTI SUI COLLEGHI
Hauke è quindi tornato all’origine, alle motivazioni che l’hanno spinto a doparsi. «Quando sono andato alle mie prime competizioni internazionali, ho visto i camion di nazioni come Norvegia, Russia e Svezia e ho pensato: “dovrei competere contro questi?”. Poi quando ho preso la decisione, sono stato spinto dal pensiero che queste grandi nazioni, oltre alle grandi risorse, avessero anche dei piccoli segreti. Abbiamo tutti letto dei casi russi, quindi allora pensavo si dopassero. Allo stesso tempo ne avevo la sensazione anche su Svezia e Norvegia, ma non avevo la certezza, era solo una mia sensazione. Mi sono fidato di questa e ho commesso il mio errore, la cosa più idiota che ho fatto nella mia vita».
Poi l’austriaco capì che si stava sbagliando, quando nella squadra austriaca iniziò a lavorare anche il norvegese Trond Nystad, che fece comprendere a Hauke quanto il modo di lavorare in Norvegia sia il segreto dei loro successi: «Quando, attraverso Trond, sono venuto a conoscenza di come gli atleti norvegesi vivono, si allenano, di come riescono a ottenere il massimo dai loro materiali, ho capito che è possibile andare forte anche senza doping, se hai una grande squadra attorno a te, dove tutti lavorano per lo stesso obiettivo. Trond non ha mai saputo nulla di quello che stavo facendo».
Nonostante ciò Hauke è convinto che ci siano ancora in giro atleti che stanno barando: «Ci sono ancora delle pecore nere. Penso lo sport sia più pulito, ma nessuno può dire che lo sia completamente. Non so se al via di Ruka ci siano atleti che stanno barando, ma non credo che tutti siano completamente puliti».
L’ASSENZA DI RISULTATI NONOSTANTE IL DOPING
Hauke ha quindi concluso parlando del suo grande sogno infranto, la 15km di Seefeld e dei risultati mai ottenuti nonostante questo sistema doping: «Dovete capire due cose. Prima di tutto l’obiettivo è stato sempre essere al top per la 15km dei Mondiali di Seefeld. Lungo la strada verso questo appuntamento dovevo essere bravo a non destare alcun sospetto, come feci a Davos. La seconda è che la squadra austriaca pensa soltanto alla nostra star Teresa Stadlober. Tutte le nostre risorse vengono investite su di lei nel corso della Coppa del Mondo, per far sì che abbia i migliori materiali possibili. Tutti gli altri hanno quasi sempre problemi con gli sci, non importa se sei dopato o meno, non hai comunque alcuna chance».
CONCLUSIONE
Nel giorno della 15km non erano in programma gare femminili, Teresa Stadlober non avrebbe gareggiato e le cose sarebbero andate in maniera diversa: «Io credo che avrei potuto concludere la gara nelle prime dieci posizioni. Se avessi vinto l’oro? In un primo momento sarei stato al settimo cielo, poi avrei probabilmente iniziato a preoccuparmi».
Doping – Parla Max Hauke: “Vi racconto cosa c’è dietro a quel video”
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