Lo sport di fatica va sempre rispettato: tanto di cappello al vincitore, Petter Eliassen, e ai 7500 che hanno preso parte alla Marcialonga. Al norvegese perché ha saputo fare una gara di testa dall’inizio alla fine dimostrando una superiorità impressionante, a tutti gli altri per aver portato a termine la granfondo che, non per la prima volta purtroppo, si è svolta su un tappeto di neve artificiale per tutti i suoi 70 km di lunghezza da Moena a Cavalese, fra i prati delle valli di Fassa e Fiemme. Un ambiente deprimente dal punto vista dello spettacolo, ma in assoluta regolarità per quanto riguarda il percorso, che ancora una volta ha dimostrato la bravura degli organizzatori nel far fronte alla carenza di neve naturale. A rimetterci, ovviamente, gli appassionati di questo sport che hanno seguito la gara sulla TV. E’ mancata la spettacolarità del paesaggio e della gara. Sempre e soltanto la lunga fila indiana e l’assoluta assenza di ”tecnica”: dei tanti passi che il manuale dello sci di fondo comporta per un razionale adeguamento al terreno, si è evidenziata solo la spinta di braccia. Per essere più veloci si è addirittura corso con sci da skating e non da classico.
“Double poling” la definizione, in inglese, di questo gesto tecnico che, per essere redditizio, richiede forza e allenamento specifici della muscolatura della parte superiore del corpo, mentre l’uso delle gambe passa del tutto in secondo piano. Dei due passi essenziali, l’alternato e la spinta, praticamente si è vista solo la seconda. Che è sicuramente la più efficace dal punto di vista della velocità che se ne ricava, ma anche la meno spettacolare. Tutti in fila con la schiena piegata, pattinando solo nei cambi di direzione, quando c’era da passare da un binario all’altro. Passo di giro, triplo, finlandese restano un lontano ricordo di quando il fondo richiedeva movenze come una danza poiché le piste si battevano con gli sci e restavano irregolarità e dislivelli mentre i “gatti” attuali le rendono compatte e più lisce di un tavolo da biliardo.
I migliori, donne comprese, vanno di sola spinta anche in salita e sono brutti da vedere. Goffi in questa spinta forzata. Purtroppo anche i “bisonti” si adattano a questa situazione ed è uno spettacolo deprimente vederli procedere con una fatica boia quando sarebbe più efficace e più veloce fermarsi un attimo e dare una passata di sciolina di tenuta all’attacco della salita che porta al traguardo di Cavalese. Cosa che va fatta con le proprie mani, senza interventi esterni: non c’è nessun regolamento che lo proibisce. Nelle prime edizioni della Marcialonga c’era addirittura un apposito punto di sciolinatura con tavole impregnate di klister su cui far scorrere lo sci oppure pennelli con cui si pescava in un pentolone e non si capisce perché questo tipo di servizio sia stato accantonato. Ci sono bombolette spray per questo: perché non servirsene? Eravamo fessi noi o troppo furbi quelli di adesso?
Fondo – Giorgio Brusadelli: “Il double poling ha rovinato lo spettacolo della Marcialonga”
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