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Sci di fondo

Fondo – Stella Francescato, nuova fisioterapista della squadra A femminile: “Le atlete devono sentirsi sempre seguite”

Una delle novità dell’estate nella rinata squadra femminile di fondo è la presenza di una nuova fisioterapista, Stella Francescato. Giovanissima, non ancora trentenne (compirà gli anni il prossimo 25 novembre, ndr), la piemontese di Scopello in Valsesia, ha già tanta esperienza. Da sempre appassionata di fondo, vincitrice anche della Minisgambeda nel 2005 nella categoria “aspiranti” (nella stessa edizione Gaia Vuerich vinse tra gli “allievi” e Laura Dahlmeier tra i “ragazzi”), una volta lasciata l’attività agonistica Stella Francescato è diventata maestra di fondo e successivamente ha iniziato il suo percorso nella fisioterapia, fino ad entrare tre anni fa come fisioterapista nella Squadra B femminile di sci alpino. In estate, poi, la chiamata di Marco Selle e l’irrinunciabile ritorno allo sci di fondo passando per la porta principale, la Squadra A. L’abbiamo contattata nel corso dell’ultimo ritiro azzurro per conoscerla meglio e farci descrivere l’importante lavoro di chi vive dietro le quinte.
Ciao Stella. Dopo alcuni anni sei tornata allo sci di fondo, il tuo primo amore, visto che in passato sei stata anche una fondista.
«Non chiamatemi fondista (ride, ndr), ho fatto solo qualche gara, non mi sono mai avvicinata ai livelli delle atlete con cui sto ora lavorando. Mi sono però tolta la soddisfazione di vincere la Minisgambeda nel 2005. Ho poi scelto un altro percorso, a diciotto anni ho messo da parte l’agonismo e sono diventata maestra di sci di fondo. Successivamente ho poi iniziato a studiare fisioterapia».
Come è nata la tua passione per la fisioterapia?
«Un po’ casualmente. Da giovane andavo spesso in montagna insieme a un gruppo di alpinismo giovanile. Al termine di una di queste camminate, una volta arrivati al rifugio, uno dei nostri responsabili aveva mal di schiena, così mi sono proposta per un massaggio. Dopo venti minuti era felicissimo, si sentiva bene e ha iniziato a dirmi che avevo le mani magiche e avrei dovuto fare la fisioterapista. In quel momento mi si è accesa la lampadina, quindi mi sono appassionata a questo lavoro che mi avrebbe anche permesso di restare attorno all’ambito sportivo. Mi piace poter avere dei risultati oggettivi e tangibili del lavoro che faccio ricercando sempre l’eccellenza».
Poi è arrivato il tuo primo lavoro per la Federazione, quando sei diventata fisioterapista della Squadra B femminile di sci alpino.
«Ho fatto tre anni di Fisioterapia laureandomi con una tesi sugli infortuni nello sci alpino. In quell’occasione ho conosciuto un medico della Federazione con cui ho fatto la tesi di laurea, introducendomi nel mondo fin lì a me sconosciuto dello sci alpino. Mi ha subito appassionato, tanto che ho anche iniziato a sciare e fare discesa. Ho scelto di rimettermi in gioco, così ho iniziato a studiare “osteopatia” al Soma di Milano. La scuola ha un progetto di collaborazione con la FISI e ai fisioterapisti che studiano da osteopati può venir richiesto di seguire le squadre giovanili dello sci alpino. Così ho iniziato a occuparmi della squadra di Coppa Europa femminile di sci alpino, anche se non partecipavo a ogni raduno come oggi. Una volta finita la scuola, lo scorso novembre, sono rimasta in squadra e pensavo che l’avrei fatto anche nella nuova stagione».
Invece è arrivata la chiamata dal tuo primo amore, lo sci di fondo.
«In estate Roberto Manzoni, che coordinava il progetto di collaborazione tra Soma e FISI, sapeva che Marco Selle stava cercando una persona da inserire nei quadri della Squadra A femminile di fondo e ha fatto il mio nome. Nel frattempo ero in vacanza e la chiamata di Marco (Selle, ndr) per offrirmi il ruolo di fisioterapista della nazionale di fondo era l’ultima cosa che mi sarei mai aspettata. Sono rimasta stupita ma allo stesso tempo molto felice, perché sarei finalmente tornata nel mio mondo, quello che ho sempre amato. Sia chiaro, mi è dispiaciuto lasciare la squadra di sci alpino perché in questi anni si erano creati dei bellissimi rapporti con tecnici, atlete e dirigenti, ma questa nuova sfida era troppo stimolante per non accettarla, anche perché rientrerò nello sci di fondo dalla porta principale».  
Quando gareggiavi, hai mai avuto l’opportunità di incontrare una delle atlete che sono oggi con te in squadra?
«No, anche perché ho sempre gareggiato a livello regionale. Quando vinsi la Minisgambeda da aspirante, però, nella stessa giornata si impose anche Gaia Vuerich tra le allieve. Anni dopo, mentre studiavo fisioterapia, vidi che lei era in nazionale e pensai al fatto che quel giorno avessimo vinto entrambe ma, a differenza mia, lei era riuscita ad arrivare fino alla Coppa del Mondo. Nonostante ciò, ero ben felice del percorso che avevo fatto, una scelta ben ponderata. Non ho mai avuto occasione di conoscerla e non so se lei si ricordi».
È così iniziata la tua nuova avventura: come sei stata accolta dalla squadra?
«Mi sono trovata subito molto bene, l’intesa e la fiducia con le ragazze sono state immediate. Ho subito legato sia con loro sia con Simone Paredi».
A proposito di questo, nell’intervista che ci ha rilasciato a Forni Avoltri quasi due mesi fa, Paredi ha sottolineato la tua importanza nel creare un gruppo unito.
«Fa piacere ricevere i complimenti da lui e nemmeno me li aspettavo. Posso quindi soltanto ringraziarlo, non soltanto per le sue belle parole, ma soprattutto per come sta andando questa nostra collaborazione nel segno del sostegno e la fiducia reciproche. Per quanto mi riguarda ho soltanto seguito i suoi consigli, ho cercato di far sentire queste ragazze il più possibile parte del gruppo. Il momento del trattamento è sempre molto riservato e ogni atleta lo vive a modo suo. C’è chi vuole rilassarsi parlando del più o del meno, magari qualche volta alcune di loro si aprono di più e parlano del privato. Quello di cui parliamo, però, resta sempre tra noi. È un momento in cui creiamo sintonia. A me piace essere collaborativa, cerco di non limitarmi al mio lavoro ma essere sempre presente al fianco delle atlete anche quando si allenano, per fargli recepire il messaggio che non sono mai sole ma seguite sempre nel modo giusto».
Puoi descriverci la giornata tipo?
«A volte si fanno dei bendaggi prima dell’allenamento, poi ognuna segue il proprio programma, quindi dopo il rientro iniziano i primi trattamenti. Qui dipende molto anche dalle sensazioni dell’atleta stessa. Magari c’è chi preferisce riposarsi in camera, oppure fare il trattamento dopo pranzo, altre invece possono scegliere di farlo dopo l’allenamento pomeridiano. Non è obbligatorio fare un trattamento al giorno, ognuna ha le sue esigenze. Ci sono giorni in cui vedo tutte le atlete, altri in cui invece preferiscono riposare qualche minuto in più. Diciamo che il programma viene stabilito insieme, così quotidianamente mi faccio un’idea di cosa fare. Poi magari se si verifica un problema si cambia».
A novembre farai quindi il tuo ingresso nell’ambiente della Coppa del Mondo. Da ex atleta sei curiosa di scoprirlo?
«Sicuramente c’è tanta curiosità di vedere questo ambiente, anche se dall’altra parte un po’ temo quel momento (ride, ndr). Insomma all’esordio c’è sempre un po’ di tensione, in quanto si vedrà se il lavoro fatto in tutti questi mesi porterà i frutti sperati. Aspetto con trepidazione quel giorno».
Hai lavorato per tre anni nello sci alpino. Cosa cambia rispetto allo sci di fondo?
«Cambia molto. Innanzitutto a livello personale c’è una grande differenza, perché quando seguivo la squadra di sci alpino non ero presente con la continuità di oggi. Inoltre quel gruppo era formato da dieci-dodici atleti, un numero ben più ampio rispetto alle sei-sette di oggi. Quindi nel primo caso avevo dei tempi limitati, non potevo mai sgarrare, mentre oggi ho tutto il tempo che voglio per dedicarmi alle atlete e questo mi permette di lavorare meglio.  Per il resto parliamo di due sport completamente diversi. Nell’alpino è molto maggiore la parte traumatica, mentre nel fondo ci sono problematiche diverse. La discesa ha traumi e carichi in un tempo molto più breve che portano problemi di un determinato tipo. Nel fondo ci sono carichi più leggeri su gesti che vengono però ripetuti per tanto tempo, quindi possono portare problemi di natura diversa da gestire in un’altra maniera. Inoltre i problemi si verificano in parti del corpo differenti. Per esempio uno sciatore ha i piedi nello scarpone e meno problematiche rispetto al fondista, per il quale il piede è fondamentale nel movimento. Sono due mondi diversi, a parte l’aspetto traumatico, nel fondo sono tutte forze più delicate che si ripetono nel tempo. Vi faccio due esempi banali: un movimento sbagliato nello sci alpino, può portare a sovraccaricare il ginocchio nel corso di una mattina. Dopo tre discese inizia a darti fastidio. Nel fondo, invece, un movimento sbagliato a livello della spalla, può portare un sovraccarico dopo tre settimane e a quel punto è più complicato risolverlo. Nell’alpino, quindi, non puoi prevedere il problema che ti si presenta, mentre nel fondo si cerca di non arrivare al problema ma di prenderlo sul nascere o ancora prima. La sfida, quindi, è evitare che si presentino i problemi, prevenirli anziché curarli».
Cosa hai imparato in questi primi mesi?
«Proprio quanto ho appena detto, sto cercando di imparare a prevenire i problemi prima che si manifestino e far stare le atlete nelle migliori condizioni di salute possibili. È una sfida difficile che mi sono posta per imparare a fare sempre meglio questo lavoro»

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