Home > Notizie
Biathlon , Interviste , Pianeta Italia

Fabrizio Curtaz: “Il mio bilancio su questo quadrienno del biathlon italiano”

La stagione 2017/18 è stata memorabile per il biathlon italiano. Oltre alle due medaglie olimpiche arrivate nella staffetta mista e con Dominik Windisch nella sprint, l’Italia ha anche vinto la Coppa del Mondo delle staffette miste, è giunta terza nella classifica per nazioni al femminile e quinta al maschile, ha piazzato due donne nelle prime sei posizioni della classifica generale di Coppa del Mondo, con Wierer che è diventata la prima italiana a chiudere per tre anni consecutivi nella top five, e infine ha visto Lukas Hofer terminare in quinta piazza nella classifica generale maschile, un risultato che tra gli uomini mancava addirittura dalla stagione 1995/96! Sono tanti, quindi, i motivi di orgoglio per il responsabile del biathlon azzurro Fabrizio Curtaz, tanto che alcuni allenatori azzurri (Favre e Oberegger, ndr) sono stati richiesti da nazioni molto importanti nel panorama del biathlon internazionale perché, mentre in Italia è tutto fermo in attesa delle elezioni federali, all’estero vanno avanti e già si organizzano per la prossima stagione. Di tutte queste tematiche abbiamo parlato con Fabrizio Curtaz, che non si è tirato indietro nemmeno di fronte alle domande sullo schieramento delle staffette e sulle motivazioni che lo spingono a non sfruttare tutti i pettorali a disposizione in Coppa del Mondo.
Buongiorno Curtaz: la stagione 2017/18 ha regalato diverse soddisfazioni all’Italia.
«È stata una stagione molto positiva perché sono arrivati risultati sia in campo femminile sia in quello maschile, riuscendo a cogliere in entrambi i casi podi individuali e di squadra. Anche due anni fa avevamo fatto tanti podi ma praticamente li otteneva tutti Dorothea, invece nell’ultima stagione siamo saliti sul podio con quattro atleti diversi oltre che con le tre staffette. Le donne hanno ottenuto un grande risultato con il terzo posto nella classifica per nazioni, una conferma del loro valore. Il quinto posto degli uomini, però, è stato immenso perché siamo finiti davanti a nazioni sulla carta di un livello più alto e con tanti più atleti rispetto a noi. Anche la coppa di specialità nelle staffette miste è stata importantissima perché non l’avevamo mai vinta».
Poi ci sono le due medaglie olimpiche.
«Siamo soddisfatti ma sappiamo che avremmo avuto nelle corde anche qualcosa più nella quantità e nel colore, però ovviamente va molto bene così. Ci è sempre mancato un qualcosina per ottenere un colore ancora più bello oppure, come accaduto alle ragazze più volte, ottenere una medaglia a livello individuale. Va detto, però, che questi ragionamenti nel biathlon possono farli tutti, soprattutto nelle Olimpiadi di PyeongChang, dove abbiamo trovato delle condizioni particolari che hanno reso il tutto più complicato, facendo raggiungere a tutti il limite sotto l’aspetto dello stress mentale. Il clima cambiava di continuo, bisognava reagire in poco tempo ed è stato quindi complicato per gli atleti al poligono e per i tecnici con i materiali».
Partiamo da Lisa Vittozzi e Lukas Hofer; la prima ha fatto quel salto di qualità che molti attendevano, il secondo ha raggiunto i suoi livelli più alti.
«Nel corso della preparazione avevamo visto Lisa fare un salto in avanti sia fisicamente sia sotto l’aspetto del tiro, dove aveva avuto qualche problema fino a novembre. Lei ha un potenziale molto alto e sinceramente dopo l’estate eravamo consapevoli che se tutto fosse filato liscio potevamo aspettarci ottime cose, perché nel biathlon non bisogna mai esagerare nelle aspettative in quanto ci sono tanti piccoli fattori che possono condizionare in un senso o nell’altro la stagione. Per quanto riguarda Lukas, finalmente è maturato diventando un vero biatleta e non più, fatemi passare il termine, un fondista con la carabina sulle spalle che scommetteva troppo al tiro. Ora ha raggiunto il giusto equilibrio, gestisce bene le situazioni al poligono, ha dimostrato cosa è capace di fare e sotto questo aspetto è un nuovo atleta. Ha trovato costanza di rendimento, è riuscito a restare concentrato tutto l’anno su ciò che doveva fare. Ha ottenuto un risultato storico entrando nella top five della Coppa del Mondo. L’ultima volta che un italiano ci era riuscito avevamo un biathlon diverso perché questo sport oggi ha raggiunto un livello più alto di concorrenza».
Ancora una volta Dorothea Wierer ha chiuso la stagione tra le prime cinque della Coppa del Mondo; nonostante ciò c’è ancora chi la critica, come mai?
«Dorothea ha fatto un’ottima stagione, le è mancata la medaglia individuale alle Olimpiadi, cosi come per Lisa, ma entrambe hanno lottato in tutte le gare olimpiche per conquistarla, non riuscendoci per diverse ragioni. Nella mass start, per esempio, Wierer non ce l’ha fatta perché quella sera gli sci non erano all’altezza della situazione. La gente vorrebbe che lei salisse sul podio in ogni gara ma in questo sport è molto difficile. Le alte aspettative nei suoi confronti le hanno messo un po’ di pressione, una novità che lei ha dovuto imparare a gestire in questi ultimi due anni e l’hanno messa un po’ in difficoltà nel tiro. Nel finale di stagione, però, è riuscita di nuovo ad andare all’attacco in modo molto positivo. Quest’anno è anche tornata alla vittoria. Tutti sappiamo che lei avrebbe in canna il colpo per il podio in ogni gara ma nelle donne c’è tanto equilibrio ed è una cosa praticamente impossibile come ha confermato anche l’ultima stagione. In fin dei conti, nel biathlon, l’unica persona capace a salire sempre sul podio è Martin Fourcade».
Dominik Windisch, invece, non ha avuto la continuità della passata stagione ma allo stesso tempo è riuscito a cogliere il massimo proprio nell’appuntamento più importante dell’anno.
«Si. Nella prima parte della stagione ha fatto fatica a causa del modo in cui ha preparato le gare, non è riuscito a fare le cose come doveva. I problemi avuti, però, l’hanno fatto crescere, così è arrivato alle Olimpiadi consapevole dei propri mezzi e molto concentrato. Doveva fare tutto giusto per poter trovare l’acuto ed è stato bravissimo a riuscirci. Non è da tutti entrare a pieno regime proprio nell’appuntamento più importante. Questa sua capacità di prepararsi benissimo mentalmente per il grande evento mi ha addirittura sorpreso».
Il resto del gruppo?
«In linea generale è cresciuto, anche se qualcuno ha fatto più fatica. Nonostante i problemi fisici avuti da Montello, siamo riusciti a raggiungere il grande obiettivo di fare delle belle staffette e creare dei quartetti pronti per le Olimpiadi. Chenal, salito dalla squadra B, ci ha dato una grandissima mano, disputando delle ottime gare. Il nostro obiettivo era portare un atleta che non ambisse a chissà cosa nelle gare individuali ma si facesse trovare pronto per quella gara lì. Siamo riusciti a fare il massimo che si poteva. Magari ho un po’ di amaro in bocca per la squadra femminile, perché alle Olimpiadi abbiamo avuto due volte la possibilità di concorrere per il podio, senza riuscirci. Peccato perché avevamo un potenziale importante ma sono venute a tremare un po’ le gambe quando non doveva accadere. Insomma qualcosa di positivo l’abbiamo raccolto anche con il resto del gruppo. Peccato che Chenal sia arrivato in Corea del Sud ormai stanco mentalmente, dopo aver bruciato tante energie nervose nelle sue prime gare di Coppa del Mondo. È giovane e non ha ancora l’abitudine a tenere la concentrazione alta per un periodo così lungo».
A proposito della squadra femminile: da una parte avete recuperato Nicole Gontier, mentre Alexia Runggaldier non è riuscita a ripetere gli ottimi risultati dello scorso anno.
«Alexia ha avuto una stagione difficile perché si è sempre ritrovata a combattere con dei problemi che non le hanno permesso di lavorare tranquillamento. Purtroppo ciò è accaduto nell’anno olimpico e mi dispiace non si sia espressa ai suoi livelli, soprattutto dopo quanto aveva fatto nella stagione precedente. Siamo per fortuna riusciti a recuperare Nicole Gontier, preparandola per le gare olimpiche e di Coppa del Mondo. È un segnale molto positivo anche in ottica futura. Purtroppo, infine, Federica (Sanfilippo, ndr) ha avuto una stagione con più ombre che luci. Analizzeremo insieme a lei cosa è successo e ciò che le è mancato per capire dove intervenire e migliorare».
Soprattutto sui social, ma non solo, in molti hanno contestato la formazione schierata nella staffetta femminile: come mai preferite schierare le due biatlete migliori nelle prime due frazioni?
«Capisco benissimo che tutti vogliano fare la loro formazione, è un bel gioco e ci sta. Mi fa piacere spiegare come nascono certe scelte perché noi vediamo gli atleti e le atlete tutti i giorni a partire dal primo maggio. Prima di una gara olimpica bisogna considerare tanti aspetti: lo stato di forma, che puoi vedere fino al giorno prima della gara, il momento mentale dell’atleta e di conseguenza del tiro. Ci sono periodi in cui viene tutto facile, altri in cui un atleta fa fatica ed è insicuro. Noi teniamo conto di tutti questi aspetti e facciamo quindi le nostre valutazioni. La frazione di lancio, a differenza di quanto molti credono, è molto difficile, ci sono tante pressioni e non tutti sono pronti a farla. Se per esempio inserissi Nicole al lancio, la metterei in grande difficoltà e probabilmente renderebbe la metà. Dobbiamo valutare ogni aspetto sia tecnico sia fisiologico, dare grande importanza allo stato mentale dell’atleta. Se mettiamo i due atleti più forti nelle prime frazioni è perché in questo momento riteniamo sia meglio fare una squadra a trazione anteriore, che metta in condizione gli altri due atleti di partire davanti. In questa maniera possono fare una gara diversa, attivarsi sul proprio lavoro, anziché rincorrere e rischiare di più al poligono rischiando di sbagliare. Federica (Sanfilippo, ndr) non aveva la condizione per fare il lancio, mentre in questo momento Nicole non è ancora pronta per questa frazione. Abbiamo la fortuna, invece, di avere Lisa (Vittozzi, ndr) che è una lancista naturale, le piace tanto la prima frazione e riesce sempre a dare il massimo. Dopo di lei possiamo far partire Doro (Wierer, ndr), che è in grado di mettere ancora maggior margine tra sé e le altre, mettendo poi le compagne nelle condizioni migliori per tirare fuori il meglio da se stesse. A guardare la tv sembra facile fare la prima frazione, perché vedi come si comporta Lisa e appare tutto scontato, ma non è affatto così. Non è nemmeno vero che le donne vanno piano in prima frazione, cosa che accade invece negli uomini, perché le gare femminili sono meno tattiche. Il lancista, comunque, deve essere quello più in forma nel tiro. Magari, se avessi avuto a disposizione la miglior Alexia Runggaldier, avrei anche potuto tenere in considerazione altre ipotesi. Abbiamo però visto che anche lei, quando l’abbiamo provata in prima frazione, è andata in difficoltà. Non è detto che un atleta bravo al tiro possa essere un buon lancista perché assicuro che il lancio è la frazione più complicata da far digerire a un atleta. Lisa Vittozzi ama la prima frazione e siamo fortunati. A lei piacerebbe una volta provare l’ultima frazione, però devi portarla lì tra le prime per farla rendere al massimo perché se deve recuperare, è poi costretta a correre molti rischi».
Un’altra critica che vi è stata posta riguarda l’utilizzo dei pettorali di Coppa del Mondo; in particolare ci si aspettava la presenza di Karin Oberhofer ad Anterselva e magari di qualche atleta più maturo tra gli uomini.
«Per me la questione sull’utilizzo dei pettorali non esiste. Noi partecipiamo alla Coppa del Mondo per fare risultati oppure per far crescere qualcuno che ha bisogno. Per esempio Karin (Oberhofer, ndr) veniva dalla gravidanza e con lei avevamo impostato un percorso condiviso. L’obiettivo erano gli Europei e l’IBU Cup per vedere quale sarebbe stato il suo livello. Un’atleta con la storia di Karin Oberhofer non posso certo portarla ad Anterselva tanto per farla partecipare, secondo noi lei non era ancora pronta per tornare in Coppa del Mondo. La miglior Oberhofer vincerebbe le gare di IBU Cup con le mani in tasca, invece stava facendo fatica ad esprimersi sui suoi livelli precedenti. Quello che dovevamo vedere, quindi, l’avevamo visto già in IBU Cup, non c’era bisogno di portarla in Coppa del Mondo per fare nuovi test. Al maschile, invece, non abbiamo atleti che in IBU Cup hanno fatto vedere grandi cose. Mandare in Coppa del Mondo un atleta che ha fatto bene una gara di IBU Cup la trovo una cosa insensata. Voi dite che abbiamo i pettorali liberi da utilizzare ma dovete capire che un conto è gestire quattro atleti, un altro gestirne sei. Se vado in Coppa del Mondo portando due atleti che sono lì tanto per partecipare ci rimettono poi quelli che invece possono ottenere risultati. Perché nella gestione degli atleti devo penalizzare Hofer e Windisch, che possono anche portarmi sul podio, per gestire un atleta ormai trentenne che al massimo gareggia per qualificarsi all’inseguimento? Ad Anterselva, ultima gara prima delle Olimpiadi, non mi sono messo a fare dei test quando le decisioni le avevo già prese. La riserva scelta era Chenal, perché aveva fatto delle staffette straordinarie, mentre ad Anterselva abbiamo testato Montello che ha recuperato proprio in extremis».
Come vede il settore giovanile?
«Parlo della squadra juniores e del progetto giovani. Abbiamo dei buoni atleti che fanno ben sperare. È presto però per dirlo, ovviamente, ma hanno un potenziale di base che poche volte abbiamo visto da noi. Ho molta fiducia sotto questo punto di vista. Ad Oslo, dal momento che Montello aveva male a un dente, ho anche fatto esordire uno di loro, Daniele Cappellari. Purtroppo non potevamo permetterci di non fare la staffetta, se volevamo tenere il quinto posto nella classifica per nazioni, così abbiamo aspettato la gara di Coppa Italia, vinta proprio da Cappellari davanti ai Senior. A quel punto non ho avuto dubbi nel convocarlo ed è stato bravissimo, impeccabile. Insomma sotto abbiamo un bel gruppo e il prossimo anno alcuni di loro passeranno tra i senior. Dovremo partire quindi da questo gruppo e lavorare sodo perché questi ragazzi tra qualche hanno entreranno nelle squadre superiori. Con questo quadriennio si chiude una porta e bisogna aprirne una nuova su un panorama proiettato sui prossimi quattro anni in modo diverso rispetto agli ultimi. Si dovrebbe partire secondo me con un progetto che consideri questi ragazzi e li faccia crescere bene, continuando a sostenere ovviamente il gruppo che abbiamo attualmente in squadra. Purtroppo quelli che stanno nel mezzo, invece, hanno dimostrato in questi anni di faticare non poco».  
Qual è il suo giudizio sul quadriennio che si è concluso, anche se per un anno è rimasto lontano dalla squadra?
«Possiamo valutarlo come un quadriennio intero perché, anche se ho saltato una stagione, il progetto era partito un anno prima ed era stato portato avanti benissimo da chi era lì al posto mio. È stato molto positivo perché siamo riusciti addirittura a bruciare anche delle tappe rispetto a quanto ci aspettassimo. Abbiamo dei buoni atleti e tecnici bravissimi che hanno fatto un lavoro davvero straordinario riuscendo a far esprimere gli atleti al loro massimo potenziale».
Quale sarà il futuro? Pensa di restare altri quattro anni?
«Quando ci sono le elezioni, purtroppo, anche la parte tecnica si ferma e deve aspettare per vedere se ci saranno conferme o novità, una cosa che non accade nelle altre nazioni, dove i risultati elettorali non influenzano anche i quadri tecnici dandogli così una maggior continuità. A questo punto possiamo solo aspettare, vedremo cosa accadrà. Questo gruppo ha fatto una grande esperienza, ha seguito due bellissimi progetti e ha tutte le capacità di proseguire questo percorso. Non sta però a noi decidere, vedremo cosa diranno gli altri. Sul futuro non posso dire altro. Nel frattempo alcuni nostri tecnici hanno ricevuto delle offerte di primo piano da altre nazioni, è inutile nasconderlo. Sotto un certo punto di vista questo ci mette grande orgoglio, perché quando i nostri tecnici vengono cercati da nazioni come Norvegia e Francia, significa che evidentemente non lavoriamo male, ci osservano e ci stimano. Mi auguro che i nostri tecnici non ci lascino, perché sono preziosi per il biathlon italiano. Starà però a loro decidere perché dal punto di vista professionale potrebbe anche rappresentare un passo avanti, una nuova esperienza da riportare poi un giorno in Italia. Sicuramente se la scuola di tiro francese, non l’ultima arrivata, contatta un tecnico italiano, non posso che essere fiero di quanto abbiamo fatto. Purtroppo in campo nazionale non siamo apprezzati quanto all’estero».
Se le chiedessero di continuare cosa farebbe?
«Se mi venisse proposto accetterei perché abbiamo già idee e progetti da proporre, in quanto ci siamo già organizzati per farci trovare pronti in caso di chiamata. Se invece si riterrà di dover cambiare, per me non ci sarebbe alcun problema, lo accetterei perché a volte i cambi sono positivi e portano a fare lo step successivo. L’importante è che ogni cambiamento venga fatto soltanto per migliorare ulteriormente il biathlon italiano, anziché voler solo sistemare qualcuno, in quanto ci vogliono anni per far crescere un movimento ma bastano appena due giorni per disfare un lavoro che ha portato grandi frutti al biathlon italiano. Mi dispiacerebbe un giorno ritrovarlo nelle condizioni in cui era quando sono arrivato. La cosa più importante sarà mettere al centro gli atleti perché lo spirito deve essere quello di voler fare sempre meglio. Io sono pronto a fare il passaggio di consegne perché voglio bene al biathlon e sarei anche disposto a dare una mano al nuovo arrivato. Alla fine tutti siamo utili e nessuno è indispensabile, quindi se dovesse arrivare un nuovo progetto atto a crescere ancora, sarei felicissimo. In fin dei conti guarda la Juve: quando è andato via Conte che aveva vinto tre scudetti consecutivi, è arrivato Allegri e ha fatto anche meglio».

Share:

Ti potrebbe interessare

Image
Image
Image