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Combinata Nordica, il bilancio di Paolo Bernardi: “Da gennaio in poi non è arrivato nulla di buono”

È stata una stagione di alti e bassi per la combinata nordica italiana. Buoni risultati nella prima parte della stagione grazie a Pittin, tornato anche sul podio, ma da gennaio in poi tante difficoltà con pochi risultati degni di nota e alcuni atleti che sono apparsi lontano dalla forma migliore. Un anno nel quale non è mancata nemmeno qualche polemica di troppo, come quella lanciata da Samuel Costa in un’intervista nella quale ha attaccato tutto lo staff tecnico azzurro proprio nello scorso gennaio. Tanti argomenti, quindi, da affrontare insieme a Paolo Bernardi, fino al prossimo 30 aprile responsabile della combinata nordica italiana, arrivato al termine di un quadriennio che l’ha visto anche dirigere per una stagione il salto.

Buongiorno Bernardi. È stata una stagione dai due volti per voi, molto positiva fino a gennaio prima di un calo nella seconda parte.
«La stagione stava andando bene con Alessandro (Pittin, ndr) fino a Natale, stava rispettando le nostre previsioni avendo concluso il 2017 anche con il podio di Ramsau. Gli allenamenti natalizi sono stati eccellenti così come quelli di inizio anno, confermando il suo trend in crescita. Poi, dopo l’annullamento della tappa di Otepae, siamo andati in Val di Fiemme, dove ci sono stati alcuni problemi legati alla preparazione del trampolino che hanno risvegliato in lui alcune insicurezze. Non era colpa del trampolino, sia chiaro, altri riuscivano a saltare 130 metri, ma ha creato delle problematiche legate al suo modo di saltare, che hanno in qualche modo fatto regredire tutto il lavoro fatto in precedenza per stabilizzare la sua situazione emotiva sul trampolino. In quel momento, purtroppo, si sono anche aggiunte delle situazioni poco simpatiche generate da qualche compagno di squadra che l’ha criticato sui media, non creando dei presupposti idilliaci per il prosieguo della stagione».  

E il resto della squadra?
«L’andamento è stato identico. Avendo Samuel Costa fuori per infortunio, i risultati erano al di sotto della nostra media, ma ci stavamo comunque avvicinando. Poi purtroppo c’è stato il calo da gennaio in poi, dovuto anche ad alcuni inquinamenti ambientali che hanno condizionato tutta la squadra. Aggiungiamoci poi la pressione delle Olimpiadi imminenti e della qualificazione che non ha certo aiutato. Ho provato un po’ ad alleggerire la pressione ma non è servito. Ricapitolando abbiamo avuto un buon inizio con Pittin e appena al di sotto della media con gli altri, poi da gennaio in poi non è arrivato nulla di buono. Certo alcuni atleti hanno ottenuto qualche risultato in Continental Cup, ma in Coppa del Mondo non riescono mai a qualificarsi. Questo perché nella “continentale” non c’è il taglio del PCR e partono tanti giovani che nel fondo sono acerbi e i nostri essendo molto più maturi riescono ad andare molto più di loro».

A PyeongChang si aspettava qualcosa in più?
«Anche a PyeongChang le cose non sono andate come speravamo, nonostante il trend di Alessandro fosse in crescita, perché eravamo riusciti a sistemare qualcosa prima della partenza e aveva fatto dei buoni salti in allenamento. Purtroppo lì abbiamo trovato un clima particolare che gli ha tolto un po’ di tranquillità sul trampolino. Nel corso della prima settimana c’era sempre vento, che magari non andava a impattare sulla pericolosità del trampolino ma causava quelle continue interruzioni negli allenamenti, costringendo gli atleti a fare avanti e indietro sulla stanga di partenza, una cosa che li ha consumati mentalmente. Ovviamente questo problema lo avevano anche gli altri, ma coloro che vanno forte nel salto o sono più stabili tecnicamente lo subiscono meno, mentre noi questa situazione l’abbiamo subita troppo, è una nostra lacuna ed evidentemente è stata anche una mia carenza perché a livello di salto non ho portato la squadra dove vuole la combinata attuale. Quando poi il tempo è migliorato, quelle problematiche mentali si sono trascinate. A parte Kostner, venuto lì con degli obiettivi che ha pienamente raggiunto, perché è riuscito a fare esperienza con una figura più che dignitosa vista la giovane età. Penso che Buzzi sia riuscito a esprimersi al meglio soltanto nel salto della gara a squadre, permettendoci di arrivare all’ottavo posto risultando decisivo nel salto e nel fondo. Peccato non sia riuscito a fare altrettanto anche nella gara individuale, gli avrebbe permesso di entrare tra i primi venti. Come aspettative di inizio anno ambivamo a una medaglia olimpica ma dopo quanto accaduto a gennaio eravamo consci di essere fuori dai giochi per un risultato del genere ma di avere nelle corde una top ten individuale. Siamo tornati invece a casa con un 18° posto di Alessandro che non rispecchia il suo valore. Nel finale di stagione, però, sono arrivati risultati confortanti da Pittin, che ha ritrovato stabilità sul trampolino e maggiore confidenza, rimettendosi in carreggiata. Per quanto riguarda il resto della squadra, invece, la stagione è finita male, gli atleti sono stati troppo lontani nel salto».

Come mai Pittin non riesce a ritrovare la stabilità necessaria per tornare ad altissimi livelli?
«Ha una posizione di lancio incredibilmente aggressiva da sempre, anche quando otteneva grandi risultati dal 2009 al 2012 saltando molto forte. Il suo salto è sempre molto estremo e l’equilibrio piuttosto labile, quindi ci vorrà ancora un po’ di tempo per ritrovare stabilità. Ha lavorato moltissimo per correggere alcuni particolari del suo salto, ancora non è riuscito a trovare con continuità una stabilità tale da non creargli dei patemi d’animo se cambiano le condizioni sul trampolino come accaduto a Predazzo. Va aggiunto che tutto è stato reso ancora più complicato dall’evoluzione che il nostro sport ha avuto in questi anni. Lui doveva recuperare tanto e l’ha fatto ma nel frattempo l’asticella si è alzata ancora. Per me, visto come ha gestito gli anni brutti post Falun, può proporsi ancora ai suoi livelli. Tutti si ricordano le sue medaglie ma in nove anni di Coppa del Mondo ha ottenuto tredici podi individuali e due nella team sprint, quindi una media di poco superiore a un podio l’anno. In questa stagione è tornato sul podio dopo due anni e mezzo, quindi possiamo considerarlo un dato molto positivo che l’ha riavvicinato alla sua media. Diciamo che rispetto al passato è mancato il risultato nel grande appuntamento, che in passato non mancava mai. Per varie motivazioni non ha centrato l’obiettivo olimpico, si è ritrovato a rincorrere in ambo le gare, così non era soddisfatto e nemmeno lo staff perché non siamo riusciti ad aiutarlo a fare meglio. Sono convinto che Alessandro abbia tutte le qualità per tornare ai suoi livelli ma sarà un processo ancora lungo e chi lo sta banalizzando da fuori non sa di cosa parla. Sono però convinto che potrà tornare a lottare ancora per il podio in Coppa del Mondo, come ha fatto già quest’anno, e anche in combattere per una medaglia. Già salire sul podio in questa stagione, però, era una cosa tutt’altro che scontata».

Quando ha parlato di inquinamento ambientale, si riferiva anche alle dichiarazioni rilasciate da Samuel Costa a gennaio? Le hanno fatto male quelle parole?
«Personalmente no perché sono cose che mi aveva già detto in altre occasioni, anche davanti ad altre persone. Per quanto io possa essere d’accordo o meno sul fatto che come allenatore, insieme al mio staff, gli abbia dato poco o nulla, la cosa è poco importante. Mi dà fastidio, però, che un atleta infortunato, per catturare un barlume di attenzione su se stesso e spostare gli equilibri all’interno della squadra, si sia trovato dal divano di casa sua a parlare di situazioni che in quel momento non lo toccavano. Avrebbe avuto più senso dire quelle cose ad agosto quando era ancora in gioco, o al massimo a marzo, dopo le Olimpiadi anziché a gennaio, proprio a ridosso di PyeongChang. L’ho trovato un intervento fuori tempo e poco simpatico, che sicuramente non ha fatto bene ai suoi compagni di squadra, allo staff che lavorava per loro, né alla nostra punta di diamante Alessandro Pittin. Ognuno affronta alcuni passaggi della propria vita come meglio crede, lui ha pensato di scaricare sugli altri la sua personale frustrazione. Per il resto sul fatto che non mi stimi come allenatore già lo sapevo, è una sua opinione. Io sicuramente posso pensarla diversamente, ma se lui parla così dell’allenatore e lo staff sotto la cui guida ha ottenuto i migliori risultati della sua carriera, allora avrà ragione. Mi auguro che incontri un allenatore migliore, visto che con uno scadente come me è riuscito a salire sul podio individuale della Coppa del Mondo, evidentemente potrà ottenere risultati ancora più grandi».

Siamo arrivati al termine di un quadriennio olimpico che l’ha visto anche alla guida del salto: qual è il suo bilancio?
«È stato molto impegnativo ma mi ha accresciuto sul lato personale, mi ha insegnato tante cose. L’esperienza con il salto maschile, dal punto di vista dei risultati, la reputo positiva nonostante ci fossero stati alcuni problemi. Avrei proseguito volentieri perché all’orizzonte vedevo dei giovani interessanti come Alex Insam, che era davvero un ottimo prospetto. Per delle necessità che aveva la federazione, visto che la combinata nordica era rimasta orfana di tecnici, ho accettato di essere dirottato su quest’ultima. Ho lavorato tre anni con lo staff dei miei sogni perché siamo tutte persone intercambiabili, abbiamo un livello di conoscenza elevato nelle nostre aree di competenza. Abbiamo ottenuto in questi anni alcuni risultati interessanti, anche se ovviamente si poteva fare meglio. Ho dovuto anche gestire la situazione particolare di Alessandro (Pittin, ndr) che aveva scelto di allenarsi con un suo staff personale e gestire quindi i suoi movimenti e monitorare il suo lavoro. Dalla passata stagione è tornato con noi stato ed è stata la nostra miglior stagione perché abbiamo avuto l’esplosione di Samuel (Costa, ndr) che ha ottenuto ottimi risultati fino a gennaio, poi dai Mondiali in poi c’è stato il ritorno di Alessandro a buoni livelli. Dell’ultima stagione abbiamo già parlato, siamo saliti ancora sul podio, ottenuto poche top ten, siamo sempre settimi nella classifica per nazioni, che è la posizione dell’Italia in questo decennio.  Anche i punti sono sempre quelli che l’Italia ha ottenuto anche quando Alessandro o Lukas (Runggaldier, ndr) erano ai massimi splendori. Posso quindi essere soddisfatto. A Lahti, nella passata stagione, ci è mancata la gioia della medaglia nella gara a squadre, nella quale credevamo tantissimo su un trampolino a noi favorevole. L’abbiamo mancata per appena 14” e forse quella gara è stata la madre di tutte le problematiche ambientali che sono poi nate perché in questo paese non si può mai mettere di fronte alle proprie responsabilità certi atleti anche quando con delle prestazioni al di sotto delle loro possibilità ti costano una medaglia, in quanto hanno chi li protegge sempre anche contro ogni logica e obiettività. Purtroppo qui è più facile parlare male dei tecnici, affermare che sono sopravvalutati e fare piazza pulita di uno staff che si impegna al massimo per consentire anche ad atleti che ormai hanno fatto il loro tempo di essere competitivi, piuttosto che a questi ultimi di fare i cambiamenti necessari per migliorare. Tornando al mio bilancio, posso dire che è positivo negli interi quattro anni. La mia stagione alla guida del salto maschile è stata la più positiva del quadriennio, nella Coppa per nazioni abbiamo probabilmente fatto più punti in quella stagione che nelle successive tre e siamo riusciti per l’ultima volta a entrare negli otto di una gara a squadre. Nella combinata abbiamo ottenuto dei discreti risultati in un periodo nel quale questo sport sta avendo una sua evoluzione. Per questo motivo ci tengo a fare un applauso e ringraziare Sandro Pertile, direttore sportivo dell’area nordica, perché abbiamo avuto a disposizione tutto quello che ci serviva per fare il meglio, siamo stati supportati in tutto e per tutto. A noi e agli atleti serviva un supporto di livello e non è mai mancato».

Quale sarà il suo futuro?
«La settimana prossima andrò a Zurigo per una importante riunione FIS, dal momento che faccio parte del sottocomitato che si occupa delle regole della combinata nordica. Discuteremo le diverse proposte che saranno avanzate dalle federazioni internazionali. Fino al 30 aprile, poi, resto l’allenatore responsabile della nazionale italiana di combinata nordica, quindi resterò alla finestra. Sono aperto a tutte le opzioni ma sarò molto severo nel valutare cosa mi verrà eventualmente proposto. Sinceramente sono anche disposto a ricominciare la mia vita restando fuori dallo sport, posso mettermi in gioco anche in altri ambiti e godermi la famiglia».

Al di là del suo futuro: cosa serve alla combinata nordica italiana per crescere e fare un salto di qualità?
«Avrebbe bisogno di un numero più alto di atleti o meglio avere un determinato numero di atleti con delle caratteristiche ben precise, perché la combinata nordica è in continua evoluzione, il salto è sempre più predominante e questo in Italia non la fa da padrone. Secondo me non ci manca nemmeno così tanto perché vedo tanti ragazzi con grandi qualità. A me piacerebbe che questi atleti venissero costruiti in funzione delle proprie caratteristiche con l’obiettivo però di prepararli al futuro e renderli pronti a eventuali cambi regolamentari o dei trampolini. Non bisogna specializzarli subito su qualcosa per dimostrarsi dei tecnici bravi ottenendo risultati immediati. Non a caso i nostri atleti fino ai vent’anni sono bravissimi e ottengono dei grandi risultati che poi non confermano da senior. Questo è il nostro limite legato a un sistema che non prepara gli atleti ai cambiamenti, rendendo difficile poi fare delle modifiche in corsa. Noi dobbiamo dare ai nostri giovani atleti tutti i mezzi necessari per poter poi fare bene anche da senior in tutte le circostanze».

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