Sandro Pertile è stata una figura essenziale in questo quadriennio olimpico. Ha portato ordine, programmazione attraverso la sua grande esperienza accumulata in questi anni al servizio dello sport. Attento nell’ ascoltare tutti, perché c’è sempre da imparare. Sua l’idea di CASA Italia che ha permesso un notevole risparmio alla FISI per quanto riguarda in particolare i Mondiali di Lahti, ma non solo: Mondiali juniores negli Stati Uniti, Mondiali di skiroll a Solleftea, Ruka in apertura di stagione. Con CASA Italia si è creata una vera famiglia dove tutti gli atleti, tecnici e personale dello staff hanno condiviso esperienze importanti, veri momenti di famiglia, fatti di gioia ma anche condivisione di momenti sportivi più difficili. A volte potrebbe sembrare un sognatore, ma Sandro cerca di guardare oltre, prova ad immaginare le varie discipline a distanza di anni. Quale nuova sfida? In quale direzione è meglio andare? Su quali uomini puntare? Fondoitalia in collaborazione con Universo Nordico, il cui nuovo numero è uscito questi giorni, ha fatto con lui una lunga chiacchierata per ripercorrere insieme questo quadriennio e puntare alle prossime sfide.
Chi è Sandro Pertile?
«A volte guardo indietro e penso a quante cose ho fatto ed è scontato associarlo all’età, il tempo passa anche per me (ride ndr). A parte la battuta, ho fatto tante cose in campi diversi, tante esperienze che mi sono servite in questo quadriennio. Ho fatto studi di tipo amministrativo, per poi passare alla prima esperienza di lavoro in banca. Ho lavorato per la Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto che poi è diventata Unicredit. Ho un’esperienza alle spalle di tipo amministrativo-bancario di circa 12 anni. La mia vita è cambiata con lo sport. Nel 1991 sono stato tra i volontari ai Mondiali della Val di Fiemme, nel 1997 ho iniziato ad avvicinarmi alle gare di Coppa del Mondo di salto da trampolino e combinata nordica. Sono stato nel comitato organizzatore della Val di Fiemme, nel frattempo la banca mi ha concesso un part-time che mi ha accompagnato nei secondi mondiali della Val di Fiemme 2003 e di lì in poi sono stato giudice internazionale ed organizzatore di eventi. Sono stato anche responsabile del settore giovanile della Fisi per il salto e la combinata nordica. Ho fatto un sacco di esperienze che mi hanno portato ad una delle tappe importanti della mia vita, l’esperienza olimpica di Torino 2006, dove ero Competition Manager, praticamente la figura sportiva di riferimento all’interno del sito di gara di Pragelato dei trampolini ed avevo la responsabilità del salto e la combinata nordica. Ho passato tre anni bellissimi in Piemonte, mi sono spostato con la famiglia, è stata un’esperienza che mi ha proiettato in un mondo diverso e mi ha fatto fare il primo cambio di vita. Una volta superato Torino, ho collaborato nella fase post olimpica della gestione degli impianti di Pragelato. Ho poi cominciato nuovamente in Val di Fiemme ed ho lavorato per la candidatura dei Mondiali di sci nordico, prima nel 2011 e poi nel 2013 quando li abbiamo presi. Ho lavorato dal 2008 al 2013. Finiti i Mondiali ho avuto l’occasione di fare un’altra esperienza importante, questa volta all’estero perché sono stato a Falun (SWE) per un anno e mezzo come consulente per la parte salto da trampolino per l’organizzazione dei Mondiali del 2015. In realtà andavo una settimana intera al mese e poi lavoravo da casa. È stata un’esperienza che mi ha aperto i confini. Nel frattempo ho continuato a fare il delegato tecnico in Coppa del Mondo e ho avuto contatti anche con il mondo dello sci di fondo, le esperienze si sono allargate e contemporaneamente è arrivata l’elezione come consigliere federale. Poi il presidente Roda mi ha chiesto, anche su suggerimento di Marco Mapelli e Gabriella Paruzzi, di diventare Direttore Sportivo».
Come nasce la tua candidatura a consigliere?
«Ero già stato Consigliere Federale fra il 2004 e il 2007 con Gaetano Coppi, l’esperienza finì con il commissariamento e da allora mi ero allontanato dal cuore della federazione. Angelo Dalpez, Presidente del Comitato Trentino, mi aveva chiesto di poter collaborare con la federazione per portare energie fresche, la cosa mi ha stuzzicato. Ho sempre pensato che quanto ero riuscito a fare in tanti anni l’avevo imparato grazie alla passione per gli sport invernali e grazie alla Fisi. Mi sembrava importante restituire a Fisi parte delle competenze che avevo maturato in giro per il mondo e per l’Italia a fare tante cose diverse. Ho pensato: forse è il momento giusto per mettere a disposizione della federazione, che è la casa degli sport invernali in Italia, quello che avevo imparato. Potevo anche non essere eletto, in realtà andò molto bene perché sono stato il secondo dopo Beretta e per me fu una grandissima soddisfazione nel 2014».
Nasce una nuova sfida, la macro-area dello sci nordico che ti viene affidata…
«Credo ancora oggi, a quattro anni di distanza, che l’aver creato questa macro-area sia stata una grande intuizione. È un po’ come quando si accorpavano le banche, lo si faceva per creare delle sinergie e per offrire un prodotto migliore. Ho vissuto questa esperienza con la stessa modalità, unire le forze per essere più forti. Fin dal primo giorno ho sposato il progetto e ancora oggi credo sia un progetto innovativo ed importante da portare avanti».
Quali sono state le varie fasi?
«Il Presidente ha spinto per le nuove aree raggruppate: lo sci alpino, l’area nordica, lo snowboard. Subito ci siamo messi all’opera noi Consiglieri, io, Marco Mapelli e Gabriella Paruzzi. Insieme per un mese e mezzo ci siamo trovati costantemente almeno una volta alla settimana a Milano a progettare l’area. Abbiamo incontrato prima i Direttori Agonistici, poi gli Allenatori Responsabili delle varie squadre del quadriennio precedente ed infine abbiamo provato a disegnare noi quello che immaginavamo essere lo scenario. Mancava sempre l’attore principale di riferimento che era il Direttore Sportivo perché cercavamo anche quello. Abbiamo fatto il profilo e l’identikit ed abbiamo immaginato di chi potesse svolgere un compito di quel tipo. Alla fine del primo periodo ho preso io in mano le redini e a fine estate il presidente Roda mi ha chiesto di fare il Direttore Sportivo e rinunciare alla carica di Consigliere Federale. Non è stata una scelta facile perché avevo preso molti voti da persone che credevano in me per il ruolo di Consigliere e mi sembrava abbastanza scorretto rinunciare alla fiducia che mi era stata riposta. Dovevo fare una scelta, ho accettato. Ufficialmente sono diventato Direttore Sportivo dal 1 ottobre 2014. Il primo anno con me c’era anche Fabrizio Curtaz che aveva la responsabilità sul biathlon. Aveva però espresso la volontà di lasciare, questa sua richiesta era stata congelata per avviare l’area nordica. Il primo anno siamo partiti io per il salto, sci di fondo e combinata nordica e Fabrizio per il biathlon».
Quale è stato il primo progetto?
«Il primo progetto è stata la nuova riorganizzazione dell’area nordica. Perché nel nuovo progetto c’erano tre figure chiave che dovevano lavorare in sinergia ed in strettissima collaborazione che erano il Direttore Sportivo, l’Allenatore Responsabile ed il Responsabile del settore giovanile. In questa nuova visione dovevo ricoprire un ruolo prettamente amministrativo ed economico, nonché una parte strategica, tutta la parte amministrativa, mentre la visione tecnica era in mano all’Allenatore Responsabile e poi il terzo perno di questo triangolo era il Responsabile del settore giovanile che ha il compito di portare in quel settore le linee guide e le modalità operative definite dall’Allenatore Responsabile. Questo è stato il primo passaggio al quale abbiamo lavorato maggiormente ed abbiamo scelto le figure che potessero ricoprire questi ruoli in base a delle caratteristiche che ci eravamo dati e così per ogni disciplina abbiamo cercato di mettere ordine. A cascata abbiamo scelto i vari Tecnici, abbiamo fatto la pianificazione che è stata impegnativa, soprattutto il primo e il secondo anno. Sono arrivato quando la Federazione ha fatto, secondo me giustamente, un’importante operazione di pulizia nel proprio bilancio. Ci sono stati due anni chiusi in perdita con una perdita complessiva di 4,2 milioni di Euro che è pesata tantissimo sulla nostra programmazione, ma che ci ha fatto lavorare in maniera molto più precisa ed accurata, ottimizzando molte cose, imparando ad evitare gli sprechi. Questo ancora oggi ritengo sia stato un passaggio importantissimo perché i benefici li abbiamo visti nel secondo biennio e secondo me è stato molto importante e sta proiettando la Federazione su un altro livello rispetto a quattro anni fa».
Partiamo dal salto.
«Abbiamo dovuto affrontare situazioni diverse. Il salto e la combinata nordica per praticità, comodità e tradizioni li uniamo ma in realtà sono tre discipline diverse, perché salto maschile e femminile non hanno mai i calendari che si sovrappongono ad eccezione dei mondiali e quindi fanno percorsi diversi, hanno caratteristiche diverse, con trampolini diversi e sono due discipline che viaggiano indipendenti l’una dall’altra. Nel salto femminile abbiamo avuto le situazioni più delicate. Venivamo da alcuni conflitti interni che ci hanno costretti alla decisione drastica di non comporre all’inizio la squadra femminile e per alcuni mesi le atlete che erano in squadra hanno lavorato presso il proprio gruppo militare. Abbiamo poi ingaggiato Janko Zwitter, che per tanti anni è stato l’allenatore di Sara Takanashi, una delle grandi protagoniste di questa specialità. Con lui abbiamo avviato un percorso negli ultimi due anni e mezzo che ha portato alla maturazione di alcune nuove ragazze e che ci potrebbe proiettare in un altro quadriennio che sarà molto importante soprattutto per le due sorelle Malsiner e per le giovani che si avvicineranno alla disciplina. Nel salto maschile abbiamo iniziato con Paolo Bernardi che rientrava dalla sua importante esperienza in America dove è stato protagonista con Sarah Hendrickson di vittorie importanti come quella ai Mondiali della Val di Fiemme nel 2013. Paolo ha manifestato l’interesse a ritornare in Italia. Per noi è una pedina importante perché è comunque il tecnico con i risultati migliori al nostro interno. A lui è stato affidato all’inizio il salto, poi nella seconda parte del quadriennio è passato alla combinata. Nel secondo biennio c’è stato l’importante ingaggio di Łukasz Kruczek che negli ultimi otto anni era stato l’allenatore della Polonia, che oggi è una delle nazioni leader. Con lui abbiamo iniziato un percorso che ha portato Alex Insam a vincere la medaglia d’argento ai Mondiali juniores negli Stati Uniti (2017). Una ripresa che è stata molto evidente nell’estate 2017 e purtroppo non sono riusciti a confermarsi nell’inverno 2018 per delle ragioni che stiamo valutando in questi giorni. Però la passata estate la ricordo con estremo piacere perché abbiamo avuto tre saltatori diversi nei primi dieci, in una gara di Summer Gran Prix, in cui il livello è come quello invernale perché partecipano gli stessi atleti e quando porti tre atleti nei primi dieci hai fatto sicuramente un bel passo avanti. Nella Combinata nordica abbiamo iniziato il quadriennio con Jochen Strobel e con Kimmo Savolainen, è arrivata la medaglia di Alessandro Pittin a Falun che è stata veramente una grossa sfida vinta dallo staff di allora e anche un grande merito di Alessandro. Strobel ha fatto una scelta professionale diversa ed è andato a lavorare in Austria e abbiamo dovuto riimpostare il settore ed è qui che Paolo Bernardi si è spostato alla combinata nordica. Abbiamo lanciato Samuel Costa che lo scorso anno ha fatto una grande stagione e con lo staff guidato da Paolo ha fatto i migliori risultati della sua carriera. Paolo ha continuato anche quest’anno e con Pittin siamo ritornati sul podio, i risultati nel quadriennio sono sicuramente cresciuti ed è stato un segnale importante. Si affacciano nuovi ragazzi dietro e questo è sicuramente un altro elemento interessante in prospettiva del prossimo quadriennio».
Quali sono i numeri oggi del salto e della combinata nordica in Italia?
«Siamo intorno alle 80 unità. Ti do qualche dato secondo me significativo per capire contro chi competono i nostri atleti. La Slovenia a livello giovanile viaggia sui 500 atleti nel settore giovanile del salto e combinata, quindi il rapporto è presto fatto, più o meno gli stessi numeri li troviamo in Germania. Un altro tema sono le risorse che queste nazioni riescono a mettere in campo, ad esempio la Germania, ma anche la Polonia, soltanto per la squadra di vertice riesce a mettere a disposizione due milioni di budget. Sono cifre lontanissime per noi da raggiungere. Noi abbiamo meno atleti e meno risorse e la combinazione rende il percorso in salita».
Parliamo dello sci di fondo.
«Uscivamo da un biennio delicato nel quale non si erano raccolte medaglie, Fiemme 2013 e Sochi 2014 non avevano portato grandi risultati e c’è stato fin da subito l’esigenza di puntare ad un rilancio della disciplina. L’uomo dal punto di vista tecnico e anche di spessore per questo rilancio era Sepp Chenetti al quale, non lo nascondo, ho fatto una corte spietata cercando di convincerlo in tutte le maniere che era arrivato il momento di ritornare nello sci di fondo e rilanciare insieme la disciplina. Sepp inizialmente era molto titubante, sono poi riuscito a strappargli una promessa per un biennio, poi vedendo come sono andate le cose si è trasformato in un quadriennio. Devo veramente ringraziarlo perché è stato un grande quadriennio. Il primo anno siamo partiti mettendo insieme maschi e femmine con uno staff allargato, qualificato con Pier Luigi Costantin, Paolo Riva, Erik Benedetto ed Einar Prucker che sono i due fisioterapisti. Poi abbiamo impostato anche il settore degli skimen. Con questo staff abbiamo cercato di gestire una compagine molto ampia, cercando di far crescere gli atleti. Non è stato facile perché la riduzione di budget è stata sensibile, il primo anno abbiamo lavorato con il 30% delle risorse in meno rispetto all’anno precedente, ai ragazzi abbiamo chiesto sacrifici importanti, abbiamo fatto un sacco di raduni in caserma. Ci siamo focalizzati sulla qualità del lavoro, tagliando tutti gli sprechi per riuscire a contenere le spese all’interno del budget assegnato. Non è stato facile. Questo l’ho detto anche al Presidente e l’abbiamo condiviso più volte insieme. Credo che alla fine questa nostra organizzazione del lavoro sia stata vincente: più organizzato, più strutturato, più attento all’essenziale e da lì probabilmente sono nati poi i risultati».
Come erano organizzate le squadre?
«Il primo anno ci siamo resi conto che i maschi erano più portati a gestire il sistema di lavoro di Chenetti, mentre le ragazze hanno fatto decisamente fatica. Maschi e femmine sono diversi ed hanno bisogno di attenzioni particolari. Il secondo anno abbiamo un po’ modificato l’impostazione del lavoro dando una maggiore autonomia a Pier Costantin e poi si è trasformato in un percorso completamente autonomo nel terzo anno. I maschi hanno continuato il quadriennio nel solco iniziale, mentre con le ragazze abbiamo cercato diverse impostazioni per gestire le loro esigenze. Siamo arrivati alla decisione molto sofferta dell’ultima stagione di fare una squadra A molto ridotta e di dare la possibilità alla maggior parte delle ragazze di lavorare con il gruppo sportivo di appartenenza per cercare di dare una scossa al settore. Con il senno di poi il quadriennio dice che i maschi sono cresciuti e hanno complessivamente ottenuto un livello molto alto e si può affermare che praticamente tutti gli atleti seguiti hanno raggiunto i massimi risultati personali nel quadriennio. Per le donne onestamente non è stato così, non lo nascondo che questo sarà uno dei punti da affrontare nel prossimo futuro, per cercare di capire cosa fare con tutta onestà ma anche con tutta la delicatezza del tema. Alle volte aspettarsi risultati troppo elevati crea soltanto delle delusioni. Bisogna essere realisti, se il nostro valore non è elevato bisogna rimboccarsi le maniche ed anche saper apprezzare un trentesimo posto se è quello il massimo valore che un atleta può esprimere».
Passiamo ora al biathlon.
«Si è trattato di un percorso con fasi diverse. Il primo anno c’era Fabrizio Curtaz che ha proseguito nella gestione già intrapresa precedentemente. Per motivi familiari ha rinunciato all’incarico e il secondo anno di fatto ho preso la piena regia del settore reimpostandolo, perché ci sono stati alcuni avvicendamenti e lì abbiamo impostato un settore che era sulla falsa riga degli altri con Patrick Oberegger come Allenatore Responsabile e Moreno Montello Responsabile del settore giovanile. L’impostazione è diventata come quella delle altre discipline dell’area nordica. Ci siamo poi resi conto che il lavoro era complesso che si trattava di un’area molto ampia ed insieme al Presidente abbiamo valutato di reinserire un Direttore Tecnico. Abbiamo trovato la piena disponibilità di Fabrizio Curtaz a rientrare e poi da lì il settore ha continuato a crescere come di fatto è successo in tutto il quadriennio. Oggi è sicuramente uno dei fiori all’occhiello della Federazione ed è un settore del quale essere sicuramente orgogliosi».
È stata la tua prima olimpiade da Direttore Sportivo.
«Era la mia quarta Olimpiade nel quarto ruolo diverso. Penso che quando uno vive un’Olimpiade è un fortunato. È stato molto interessante vedere questa grande macchina da punti di vista differenti. Nel 2002 ero a Salt Lake City come osservatore per conto di Torino 2006, ho fatto una settimana e ho cercato di rubare tutti i segreti dall’organizzazione americana. Nel 2006 ero a Torino nel ruolo di organizzatore. Nel 2010 ho avuto l’onore di essere il primo Delegato Tecnico della storia italiana ai Giochi Olimpici nel salto da trampolino. PyeongChang era la quarta Olimpiade e sono stato a strettissimo contatto con gli atleti ed ho vissuto l’esperienza in modo diverso».
Come è stata questa Olimpiade?
«È stata dal punto di vista logistico straordinaria. La Corea è lontana e non ha tradizione nello sci però la disposizione dei siti di gara era straordinaria. In tre minuti a piedi uno riusciva a passare dallo stadio del salto, al biahtlon, allo sci di fondo. In pochi minuti si arrivava alla pista di bob e alla pista di sci alpino per quanto riguarda le prove tecniche. Le uniche discipline un po’ più lontane da noi erano quelle dello snowboard e le discipline veloci dello sci alpino. Tutti gli altri sport della Fisi erano molto concentrati in un fazzoletto di terra. È stata un’Olimpiade a misura d’uomo, dal villaggio i nostri tecnici andavano a piedi al sito di gara perché era poco più di un chilometro e mezzo. Veramente straordinaria dal punto di vista degli spazi e delle distanze. Tutto sommato organizzata bene senza sbavature. Un’Olimpiade contrassegnata dalle condizioni meteo nel primo periodo, perché è stato freddissimo con un vento fastidioso. La seconda settimana è stata all’insegna del bel tempo con temperature più adatte a noi».
Parliamo ora dei risultati.
«Per i risultati il biahtlon ha portato a casa due medaglie importantissime. Ne ha perse per poco altre. È stata forse la disciplina dove erano riposte maggiormente le speranze di medaglia. Un quadriennio con una crescita costante, con atleti che hanno più volte raggiunto il podio ed avevano tutte le carte in regola per giocarsi delle medaglie in ogni gara. Due medaglie il bottino finale, ma tanti risultati importanti, mi viene da ricordare Lisa Vittozzi. Purtroppo non è riuscita a vincere la medaglia individuale, ma ha fatto un’Olimpiade da protagonista e sicuramente sarà una carta importante per il futuro della disciplina. Tutti i ragazzi del biahtlon hanno fatto comunque delle grandi prove. Lo sci di fondo realisticamente aveva una chance di medaglia ed è arrivata. È arrivata dove ce l’aspettavamo un po’ meno e l’abbiamo vista scivolare via dove ce l’aspettavamo. Federico ha fatto una grandissima prova, credo che sia uno degli atleti più affidabili in Federazione, ha un’occasione all’anno e quella la sa centrare in maniera sistematica, professionale. È frutto di tantissimo lavoro che lui per primo e tutto lo staff ha fatto con lui. Lo riconosce anche Federico, tutti i suoi risultati sono il frutto di una meticolosa preparazione sua e di quelli che sono dietro di lui. C’è stata una bellissima staffetta nello sci di fondo maschile, perché per due frazioni e tre quarti siamo stati protagonisti. Vorrei ringraziare i quattro ragazzi che hanno corso, per tre frazioni abbiamo messo il cuore al di là dell’ostacolo e siamo andati oltre le nostre aspettative. Poi c’è stata quella terza frazione fatta a ritmi folli con Salvadori che è stato eccezionale. Credo che abbia fatto la sua miglior gara in termini assoluti. Aveva di fronte due atleti fortissimi, il campione olimpico skiathlon che ha fatto un ritmo indiavolato e lui per sette chilometri e mezzo gli ha tenuto testa. Di lui bisogna essere orgogliosi, ha dimostrato quanto siano importanti l’impegno e la determinazione. Poi è andato fuori giri e bisogna prenderne atto che gli altri quel giorno avevano un’altra marcia. Pellegrino quel giorno non era in condizioni ottimali ed alla fine siamo un po’ scivolati. La team sprint è stata una gara molto più difficile delle aspettative, perché il percorso era davvero impegnativo. Siamo andati subito in difficoltà ed alla fine abbiamo comunque portato a casa il miglior risultato di sempre ai giochi olimpici per quanto riguarda la team sprint e questo rimarrà negli annali. Per le ragazze è stata un’olimpiade complessa. È stata particolarmente difficile la 30 km finale, abbiamo sbagliato i materiali, per il resto abbiamo cercato di lottare, consci del livello che abbiamo attualmente. Bisogna essere onesti e guardare in faccia la realtà, non possiamo illuderci e sperare nel risultato. Per quanto riguarda il salto e la combinata, sono contento per gli Under 23 che abbiamo convocato. In realtà sono stati bravi anche nelle altre discipline. La nostra scelta è stata quella di portare gli atleti più maturi, che si erano guadagnati i Giochi Olimpici ed una serie di atleti Under 23 per fargli fare le giuste esperienze in prospettiva del prossimo quadriennio. Devo dire che tutti gli Under 23 che abbiamo portato, hanno affrontato le gare senza timore reverenziale con la giusta sfrontatezza, cercando di fare il massimo risultato nonostante la loro giovane età. Di loro sono estremamente contento e questo vale per tutta l’area nordica. Abbiamo fatto più fatica con gli atleti di esperienza, non possiamo nascondercelo».
Sandro, ci spieghi cos’è CASA Italia dell’Area Nordica?
«E’ stata un’intuizione che nasce dall’esperienza del biathlon unita all’esigenza di alloggiare 60 persone insieme durante i Mondiali di Sci Nordico. Aiuta a creare il giusto spirito di squadra. Il biathon già da tanti anni utilizza gli appartamenti per contenere i costi e per creare un profondo spirito di squadra tra gli atleti. Gli atleti passano più tempo insieme, collaborano insieme per la gestione della propria sistemazione, sia durante gli allenamenti che nelle gare. E’ un modo utile per unire le persone ed allentare la tensione. Il biathlon lo organizzava per 15/20 persone. La prima esperienza mia è stata a Falun (SWE). Avevamo 60 persone da sistemare tra fondo (32), salto maschile/femminile (13), combinata (12) e figure di supporto (3). Abbiamo affittato una struttura ed alcuni appartamenti, portato i prodotti dei produttori “Food for Win” dall’Italia, portato i cuochi e gestito la struttura come se fosse un’albergo ma non un albergo qualunque. Era il nostro albergo, anzi la nostra casa. Da qui è nato il nome “CASA” Italia. Lo strumento si è poi evoluto e lo utilizziamo anche con i giovani ai Mondiali Juniores. Ormai abbiamo una certa esperienza perché lo abbiamo proposto poi anche a Lahti (FIN), Park City (USA), Kandesteg e Goms (SUI). Gli atleti ed i tecnici lo apprezzano perché regala quel clima di casa, che purtroppo loro possono vivere pochi giorni all’anno, visto che sono in giro per tanti giorni per allenamenti e gare. Direi che è diventato un valore positivo per le nostre squadre. Ed un valore positivo per il nostro budget perché ci consente di risparmiare risorse importanti che possiamo reinvestire per supportare gli atleti. Un’ottima intuizione».
Il tuo mandato finisce quando?
«Il 30 aprile, ormai siamo in scadenza di mandato. Adesso arriva la parte che ritengo molto importante nel mio ruolo. Devo raccogliere e fare la sintesi del quadriennio, preparare per il Presidente un dossier dove ci saranno alcune indicazioni di quello che è stato fatto. Saranno anche indicati gli errori fatti e delle idee per rilanciare l’attività dei prossimi quattro anni. Questo è doveroso e professionale e sarà il lavoro di fine marzo con tutti i tecnici di tutte le discipline. L’obiettivo è di arrivare ad avere in mano una piccola sintesi del lavoro per mettere nelle giuste condizioni chi ci sarà nel prossimo quadriennio. Ripartire evitando alcuni errori e focalizzando subito l’attenzione su quelle che sono le aree di massima priorità».
Quale nuova sfida attende Sandro Pertile per il futuro?
«È una bella domanda. È dai Giochi Olimpici che ci sto pensando. Da un lato mi piacerebbe continuare. Sono partito quattro anni fa senza conoscere nulla o quasi delle dinamiche della Federazione ed è stato un quadriennio dal mio punto di vista personale di grandissimo arricchimento. Ho avuto la fortuna di lavorare con tante persone che mi hanno insegnato tanto con le quali abbiamo condiviso un percorso importante. Oggi con quattro anni alle spalle saprei meglio indirizzare gli interventi per il futuro. Sicuramente sarà importante rilanciare il progetto dei Centri Federali. Era una delle cose che avremmo voluto realizzare nel quadriennio e che poi non siamo riusciti a costruire. D’altro lato non lo nascondo, è stato un quadriennio difficile, pieno di sacrifici per me e per la mia famiglia. Credo di aver dato il massimo, sono stato in media 180 giornate fuori casa per ogni anno. Spesso la giornata lavorativa arrivava a 10/12 ore piene, mi sono reso disponibile 24h su 24. Un dispendio di energie elevatissimo, un lavoro che alle volte non viene apprezzato da chi pensa che sia tutto facile e tutto maturi da solo. È stato un periodo di grandi sacrifici, però di soddisfazioni legate ai risultati ottenuti ma anche per i rapporti di amicizia e di collaborazione professionale che ci sono stati. Da un lato mi piacerebbe prendermi 6 mesi per me, per regalare a me e alla mia famiglia quella tranquillità che ci è mancata nei quattro anni. Mi rendo anche conto che Sandro Pertile ha nel suo sangue questa grandissima passione per lo sport e difficilmente riuscirà a stare fermo. Mi prendo un pochino il tempo di fare il giro di chiusura con tutte le discipline per capire bene che cosa voglio fare da grande e soprattutto se l’ambiente è ancora pronto a lavorare con me. Una cosa che assolutamente non voglio, è dover lavorare con persone che mi sopportano e che non lavorano con me con piacere. Il lavoro, soprattutto nell’alto livello deve essere condito da professionalità, ma anche da valori umani e un gruppo che crede in quello che fa. Queste per me sono le condizioni per rimettermi in gioco. Nell’arco di un paio di settimane scioglierò il dubbio per quanto riguarda me stesso e poi bisognerà vedere che cosa la Federazione intende fare con la mia eventuale disponibilità».
Ripensando al quadriennio mi vengono in mente alcuni momenti del tuo mandato. Se dovessi ripensare a questi quattro anni quali cose rifaresti?
«Sicuramente lo staff, perché se tornassi indietro ripartirei con gli stessi uomini che ho avuto a disposizione. Ognuno di loro per me è stato un uomo, un professionista importante. Gli uomini che ho scelto sono stati un esempio importante. L’organizzazione che abbiamo dato al settore, l’idea dell’area nordica. Abbiamo investito energie, abbiamo fatto una gestione professionale di altissimo profilo, sia della pianificazione che nel controllo delle spese, nella gestione dei contratti con i tecnici. Siamo stati costretti a lavorare in condizioni difficili, ma è stato fatto davvero un grande lavoro. CASA Italia è stata un’altra intuizione molto felice e sicuramente sarà un valore da riproporre nei prossimi anni in tutti i settori. Credo sia la modalità migliore per affrontare eventi importanti come Mondiali ed Olimpiadi. Quando parlo di CASA Italia penso ai cuochi che ci danno una mano, penso a Walter, Stefano, Maurizio, Arturo e Michele. Sono cinque nomi che conoscono in pochi, ma sono persone chiave che vengono e collaborano con noi a titolo completamente gratuito e ai quali non finirò mai di dire grazie. C’è un progetto Food for win, con quelle aziende che ci hanno dato una mano importante per reperire, in forma gratuita prodotti di altissima qualità, penso al Pastificio Felicetti, al Salumificio S.A.P di Pavullo, La Sorgente del Benessere e al Caseificio Casello. Queste aziende ci hanno messo a disposizione gratuitamente i loro prodotti, per noi sono molte risorse risparmiate e per gli atleti è la garanzia di prodotti di alta qualità».
Vuoi dire qualcosa sullo skiroll?
«Nel panorama delle discipline che ho seguito dal 1 aprile 2016 è arrivato lo skiroll. Sono stati due anni bellissimi. In una disciplina che è forse la più piccola del nostro mondo. Anche lì ho trovato grandissimi collaboratori ed ho ritrovato con loro degli stimoli nuovi e la volontà di fare dei passi avanti. Lo skiroll crescerà ancora nella Federazione perché sicuramente ci sarà quell’attenzione che può far crescere la disciplina e farla diventare volano anche per le discipline prettamente invernali perché lo skiroll si può praticare in tutta Italia ed a qualsiasi altitudine e può essere un volano per lo sci di fondo ed il biathlon».
Hai qualche ringraziamento da fare?
«Sono tante le persone da ringraziare. Cerco di non dimenticare nessuno. Ringrazio innanzi tutto il Presidente Roda, anche se a volte ci siamo trovati su posizioni diverse, fra noi c’è sempre stato un rapporto di reciproca stima e di confronto molto aperto. Ho avuto la possibilità di trovare un uomo al quale ho potuto dire tutto quello che pensavo e lui con me ha fatto lo stesso. È stato un confronto molto sano, molto aperto ed ho trovato una persona che mi ha stimolato a tirare fuori il meglio, mi ha dato una mano importante quando abbiamo avuto necessità di avere più risorse per migliorare la qualità. Ringrazio Gabriella Paruzzi e Marco Mapelli perché sono stati fondamentali nella prima parte del nostro lavoro. In loro ho sempre trovato dei partner importanti per confrontarmi sull’impostazione delle cose e devo dire grazie per quello che hanno fatto. Ringrazio tutte le persone degli staff. Un grazie particolare va sicuramente agli Allenatori Responsabili e ai Responsabili dei settori giovanili con i quali abbiamo quotidianamente condiviso il lavoro. Ringrazio gli Atleti per l’impegno che ci hanno messo, per i risultati e le emozioni che ci hanno regalato perché alla fine con ognuno di loro c’è stato un percorso condiviso. Un grazie a Flavio Becchis perché ci è stato vicinissimo all’area nordica con la rivista Universo Nordico e per il lavoro che ha svolto con la Coppa Italia. In questi quattro anni la Coppa Italia ha fatto fare un salto di qualità allo sci di fondo nazionale pur in un momento dove non è facile essere visibili. Ringrazio i cuochi e le aziende che ci hanno dato una mano. Inoltre coloro che ci sono venuti incontro, chi con una gratuità, chi con delle strutture. Sono tanti i soggetti che ci hanno consentito soprattutto nel primo biennio di superare una fase delicatissima della Federazione. Chiudo con un grazie a chi non l’ha pensata come me o come noi e chi nel quadriennio ha colto l’occasione per vedere le cose che non sono andate bene soprattutto con l’ottica di segnalarle e fare una critica costruttiva. Chi l’ha fatto con questo spirito ci ha dato l’opportunità di crescere e di migliorare. Ci aspetta un futuro molto impegnativo, le sfide non mancheranno, ma come sempre vicino ad una sfida c’è anche un’opportunità per cui, viva le opportunità e avanti decisi per il bene dello sport e della Fisi».