Nelle stagioni 2012-2013-2014 ho fatto parte dello staff della Squadra Nazionale Italiana di sci di fondo e ho potuto lavorare con la squadra femminile in particolare applicando il sistema di preparazione fisica conosciuto come FMS, Functional Movement System.
Non fu facile far passare il concetti che caratterizzano questo modo di approcciarsi al movimento per migliorare la performance sportiva concentrandosi sulle debolezze del movimento in nome dell’alta qualità e specificità della proposta condizionante. Scardinare i punti di forza di atleti erranti e performanti (e anche dei tecnici) è stato qualche volta come entrare in una arena e affrontare il toro con il canapo rosso. Ma, grazie alla fiducia e lungimiranza di alcuni tecnici, in primis Gianfranco Pizio e poi Freddy Stauder, affrontammo insieme la sfida di proporre un programma di lavoro partendo dalla squadra femminile e poi a seguire provammo anche con i “maschietti” (tipicamenti “più gnucchi”, machi e diffidenti). Credo di poter dire di aver aperto la strada in questo sport all’idea di applicazione FMS, ad un’idea molto esaustiva di miglioramento delle capacità di movimento di base che aiuta lo sviluppo e la costruzione della performance.
In quelle stagioni ebbi la possibilità di testare anche la Nazionale femminile di biathlon, grazie all’interessamento del tecnico Alex Inderst che mi volle coinvolgere. Ad oggi abbiamo raccolto una cospicua quantità di dati ed esistono le Base-line dei profili FMS di molti fondisti/e e biathlete, nonchè di alcuni atleti del settore discesa. Spero che questi dati possano continuare a crescere, perchè nel resto del mondo, in ogni disciplina sportiva, il Functional Movement System, rappresenta il più moderno, scientifico e completo approccio per la salvaguardia e sviluppo delle qualità atletiche dei più blasonati team professionistici.
1. Cosa è questo ormai famoso Functional Movement System FMS? 2. Rivoluzionario e innovativo o ritorno a concetti arcaici? 3. In cosa si consiste pratica il sistema di lavoro FMS? 4. Funzionale: nel mondo dello sport e del fitness, oggi tutti usano questa parola, e tutti lo praticano. Ma cosa vuol dire allenamento funzionale? 5. Come si fa? 6. Che vantaggi ha l’atleta che si sottopone ad uno screening e poi ad un programma FMS? 7. Cosa insegna la metodica FMS? 8. Esistono persone che si muovono in modo funzionale? 9. Come si fa a capire se una persona si muove in modo disfunzionale? 10. “No pain no game” è un motto molto di moda tra gli atleti. Cosa implica questo atteggiamento?
1. Semplicemente è un modo di valutare il movimento di una persona. Si esegue uno screening (insieme di 7 test) e si cercano le assimmetrie, i punti deboli delle catene dei diversi movimenti di base. Si considerano e si indagano gli schemi dei movimenti fondamentali che coinvolgono entrambi i lati del corpo e dovrebbero essere simmetrici.
2. Semplice ma non banale. I concetti che “sono in ballo, sono quelli che conoscono tutti: mobilità, stabilità statica e dinamica, controllo posturale, equilibrio, coordinazione e percezione dello spazio. Ma come spesso accade in ogni campo lavorativo, conoscere il termine non significa sapere cosa è in pratica e non significa che lo si sappia applicare. Si lavora sull’anello debole. Concetto semplice, ma che sfugge ai più. Per “comodità”, per una scelta dettata dall’istinto (qualcuno parlerebbe di zona di confort) l’atleta è sempre portato a rinforzare i suoi punti di forza nella pratica dell’allenamento, della preparazione e della gara. Nel lavoro con metodo FMS si fa sempre fatica a far capire che il segreto del miglioramento del movimento sta nel concentrarsi a rinforzare “l’anello debole” della catena. Se eseguendo affondi e contraffondi per il rinforzo della catena estensoria dell’arto inferiore, il ginocchio dell’atleta devia verso l’interno in valgismo, questo è un elemento che mi fa pensare alla presenza di un “anello debole” lungo la catena di movimento in questione. E con queste basi di movimento, le cose non miglioreranno quando l’atleta andrà a cercare la performance. Con un aumento del carico, del volume o dell’intensità di allenamento, molto probabile sarà il presentarsi dell’infortunio.
3. Una volta creata la “Baseline” che è un numero fisso di indicazione che lo screening ci restituisce, si prepara una progressione di esercizi correttivi specifici che prevede aumento di carico e difficoltà, a seconda del livello di qualità di movimento dell’atleta testato. La parola d’ordine però è: stare sempre pronti a tornare in dietro! Se la funzionalità dell’esercizio viene persa perchè il carico è troppo elevato stiamo commettendo un errore grave. E quando si lavora con atleti che hanno fatto dell’agonismo la loro vita, questo concetto non è facile da far passare. L’attenzione dell’atleta è sempre verso la sfida più difficile. Più è difficile la proposta e più è facile che accetti il lavoro richiesto dal programma. Una volta ricordo un’atleta della squadra nazionale di discesa che, incuriosita, mi chiese se il test che stava eseguendo la sua compagna fosse così difficile, come la fatica che emergeva dal viso della sua amica faceva pensare. Io risposi che no, non era difficile e per prenderla in giro le dissi che alla prova successiva avrebbe dovuto eseguirlo a testa in giù su una mano. Io continuai l’assistenza alla prova che si svolgeva nel laboratorio. Provate ad immaginare cosa stava succedendo alle mie spalle, quando sentendo imprecazioni mi girai: un animale da competizione digrignando i denti stava tenendosi su una mano a corpo rovesciato sostenuto, per fortuna, da dietro, dal muro della stanza. C’è mancato poco che si accasciasse sulla testa al cedere del braccio. Quindi altra regola dell’FMS è: l’esercitazione proposta dal trainer deve essere sempre sfidante, ma la sfida la deve sempre vincere l’atleta secondo un regolamento ben codificato.
4. Quando una persona al bar mi dice che in palestra sta facendo il training funzionale a me viene da sorridere, perchè nessuno di fatto sa di cosa sta parlano o cosa sta facendo. Bisogna scomodare un concetto tanto antico quanto moderno: l’engramma. L’engramma è un ipotetico elemento neurobiologico che consentirebbe alla memoria di ricordare fatti e sensazioni immagazzinandoli come variazioni biofisiche o biochimiche nel tessuto del cervello. Richard Semon, che nel 1904 usò il termine nel suo libro “Die mneme” per riferirsi alla rappresentazione neurale di una memoria. L’engramma era per l’autore un cambiamento permanente nel sistema nervoso, la traccia mnestica che conserva gli effetti dell’esperienza nel tempo. Quindi oggi sono io che mi domando cosa vogliano dire i prodotti pubblicizzati in TV come i cosmetici o gli alimenti che sono diventati tutti funzionali.
5. Concettualmente bisogna riuscire con esercizi fisici proposti secondo strategie basate sul funzionamento della fisiologia del Sistema Nevoso a portare un Movimento disfunzionale INCONSCIO ad essere “sentito” dalla persona che lo esegue che piano piano lo percepisce e sentendolo se ne rende conto e diventa CONSCiO. Poi, raggiunto il movimento funzionale, possiamo metterci carico, pesi, elastici, instabilità, abilità (skills), acrobazie etc…Un esempio che rende bene l’idea: lo squat. Tutte le persone che vogliono aumentare la loro forza (non solo delle gambe) conoscono questo grande esercizio. Lo squat (che vuol dire letteralmente accovacciarsi) rappresenta da sempre per tutti una grande sfida. Quando dici squat dici bilanciere, dici grandi e pesanti dischi di ghisa. Il pensiero di tutti è: lo squat è lo squat! Si, ma… allenarsi a fare squat per migliorare la tecnica dello squat è fuorviante se voglio correggere gli errori di esecuzione dello squat. E’ un pensiero che non è intuitivo. Anzi, è proprio contro-intuitivo. Eseguire lo squat per migliorarne la tecnica è simile a sbattere la testa contro il muro!
6. L’atleta che conosce le proprie disfunzioni inizia a muoversi meglio. Il movimento esaminato deve arrivare ad essere naturale o automatico. Senza la ripetizione periodica, continua, programmata, l’atleta è a rischio di ricadere nelle abitudini e nei vecchi schemi motori scorretti. La scelta di quale e quanta ginnastica correttiva che può essere effettuata si basa sulle progressioni. L’operatore abile è colui che trova il giusto livello di partenza per correggere il movimento permettendo al soggetto di imparare a modificare il proprio movimento errato. L’atleta non è più a rischio perché il movimento corretto è fatto senza pensarci, è automatico e anche naturale, come deve essere. Così si può aumentare i livello di performance grazie ad una base di movimento migliorato dal programma FMS. A performance superiori entrano in gioco nuovi automatismi di qualità prima impensabile e così si possono sviluppare nuove abilità “skill”. Lo sanno bene gli atleti delle nazionali norvegesi e statiunitensi che da più di 10 anni lavorano in questo modo. C’è anche un altro aspetto importantissimo: questo virtuoso percorso fa si che gli infortuni da trauma indiretto (tendiniti, lombalgie e strappi muscolari) diventino remote circostanze.
7. "Fai le cose in modo più semplice possibile…Ma non troppo!" Sappiamo oggi dagli studi scientifici che il sistema motorio funziona come entità unica. Le neuroscienze ci dicono che il cervello non riconosce un muscolo, ma riconosce il movimento. Alta qualità di movimento. Schemi motori. Respirazione. Core Stability.
8. Un movimento disfunzionale può essere determinato da un problema strutturale (deformità) dello scheletro o di alcuni muscoli, e te lo prendi alla nascita. L’esempio è la dismetria degli arti inferiori dove di fatto, se la natura ti ha scelto, nasci con una gamba più lunga, e la causa è un osso chiamato femore che ha deciso di crescere di più del suo controlaterale. Più normalmente, nell’infanzia e nell’adolescenza, si cade, o si sbatte. Quando le conseguenze sono poche, è più semplice correggere il movimento che diventa alterato. Poi con l’età adulta non ci si accorge che i traumi diretti, vecchi di cadute, o incidenti, o anche forti stress emotivi hanno determinato il modo in cui ci muoviamo oggi. Il movimento ripetuto che è diventato disfunzionale porta ad un certo punto alla comparsa di dolore. Il più facile da ricordare è il mal di schiena. L’espressione massima del movimento funzionale è da sempre il bambino piccolo che per alzare un peso da terra si piega flettendo le anche e poi si accoscia, se necessario, per fare lo sforzo. Quindi usa la potenza dei muscoli glutei e non quelli della colonna vertebrale che rimangono rigidi per dare stabilità. E’ un movimento naturale, autentico ed efficiente, troppo spesso, ahimè, destinato a scomparire negli anni successivi.
9. Dalla sua facilità di movimento. Dalla stabilità del corpo quando esegue movimenti complessi o sotto carichi pesanti. L’armonia del movimento e la facilità poi si leggono sul viso dell’atleta, basti pensare alle immagini della corsa di Usain Bolt.
Con l’FMS abbiamo in mano uno strumento convalidato scientificamente, che ci indica il livello funzionale (un numero puro) dell’atleta che si sottopone ad una valutazione facile da eseguire e da ripetere nel tempo
10. "No pain no game” è un motto molto di moda tra gli atleti. Cosa implica questo atteggiamento? Niente di più sbagliato. quando ci si approccia all’FMS il motto è: "Pain changes evertyhing!" Il dolore altera il controllo motorio. Troppo spesso e troppe persone si allenano nell’attività sportiva con un compagno che non li porta sempre sulla strada sbagliata. Se poi ci si prepara all’attività sportiva dedicandosi “alla palestra” che “mi irrobustisce”… allora la frittata è fatta! La presenza del dolore in un movimento va assolutamente e preventivamente indagata. Non si considerano mai funzionali i movimenti complessi in presenza di dolore.
Functional Movement System – FMS: alla ricerca dell’anello (debole)
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