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Olimpiadi

L’Italia dello sci alpino maschile mai così male da 37 anni

Volenti o nolenti, in Italia la disciplina invernale dove vengono concentrate più risorse è lo sci alpino, che fa per forza di cose anche da traino mediatico per tutti gli sport della neve.
Proprio per questo, con lo slalom di Madonna di Campiglio andato in archivio, balza agli occhi un dato eclatante. Nella stagione in corso in campo maschile gli azzurri non sono ancora saliti sul podio nonostante siano già andate in scena ben 13 gare.
Siamo allora andati a controllare da quanto non si verificava una situazione del genere e abbiamo scoperto che si tratta di una rarità storica. Infatti bisogna tornare indietro di 37 anni per trovare una sequenza negativa di questo tipo a inizio inverno.
L’annata in questione è il 1980-’81, quando anche l’onda lunga della fu “Valanga azzurra” venne meno (Gustav Thöni si era appena ritirato, Piero Gros aveva imboccato la parabola discendente) e la nuova generazione di sciatori italiani sembrava essere stata colpita da un’autentica maledizione.
Il talentuosissimo e sfortunatissimo Leonardo David era ormai in stato vegetativo, Paolo De Chiesa era ancora sulla strada del pieno recupero dopo l’incidente con arma da fuoco dell’ottobre del 1978 che gli era costato la perdita di un’intera stagione, inoltre le promettenti carriere di Roberto Burini e Bruno Gattai erano state stroncate sul nascere.
All’epoca fu Herbert Plank a interrompere il digiuno. Si dovette aspettare la ventitreesima competizione stagionale, ovvero la combinata di Sankt Anton, andata in scena tra il 31 gennaio e l’1 febbraio 1981. L’allora ventiseienne altoatesino concluse in seconda posizione, alle spalle di Phil Mahre.
A quei tempi però si era verificata una situazione di “tempesta perfetta” con il declino di una generazione e la penuria di ricambi all’altezza dovuta  a eventi drammatici o tragici. Fatto che non può essere assimilato al presente.
Vero che quasi tutti gli azzurri più competitivi dell’ultimo decennio hanno ormai ampiamente superato le trenta primavere (Peter Fill e Manfred Mölgg sono a quota 35, Christof Innerhofer e Giuliano Razzoli sono a 33, Werner Heel e Christian Deville a 36), oppure si sono già ritirati (Max Blardone e Davide Simoncelli). Chi è nel suo prime sono Dominik Paris e Stefano Gross, che di anni ne hanno rispettivamente 28 e 31, ma sinora in stagione non sono ancora riusciti a chiudere nei primi tre.
Però il buco alle spalle di questa generazione, ovvero l’attuale assenza pressoché totale di sciatori azzurri competitivi in Coppa del Mondo al di sotto dei 26 anni, non è stato causato da terribili incidenti agonistici e non. È questo il campanello d’allarme lanciato in ottica futura da questa prima parte di stagione.   
La speranza è che in questo 2017-’18 l’Italia dello sci alpino maschile possa interrompere molto prima del 1980-’81 il digiuno in tema di podi, magari già dalla discesa di Bormio del 28 dicembre, senza dover aspettare un altro mese, evitando così di avvicinare il record negativo di 22 competizioni iniziali di fila prive di top-three.
Il primato assoluto è invece lontanissimo. Le 59 gare senza podi tra la nascita della Coppa del Mondo e la vittoria di Gustav Thöni nel gigante della Val d’Isere del dicembre 1969 non dovrebbe essere intaccato.

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