Nonostante il biathlon italiano abbia molta tradizione nel Nord Est e in Valle d’Aosta, negli ultimi anni sta crescendo un bel movimento anche in Piemonte, con diversi atleti che fanno parte delle squadre nazionali (Ghiglione, Rocchia e Vigna) ed altri che si allenano con i rispettivi centri sportivi, come Dutto e Baretto, i quali vogliono riprendersi la tuta azzurra, in particolare il primo, che sogna un pettorale per la Coppa del Mondo. Il movimento piemontese conta anche diversi giovani che promettono molto bene, non soltanto nel piccolo calibro, ma anche nell’aria compressa. A guidare la squadra del Comitato AOC, dalla stagione 2012/13, è Alessandro Fiandino, fratello della Roberta che da due anni ha chiuso la sua carriera agonistica, dopo aver fatto parte della spedizione azzurra del biathlon alle Olimpiadi di Vancouver.
A 37 anni l’allenatore responsabile del Comitato Alpi Occidentali ha già grande esperienza. Dopo una breve carriera da atleta, è presto diventato tecnico partendo dal CS Esercito, prima di una lunga esperienza nella nazionale italiana. Con lui abbiamo parlato del biathlon piemontese, di un presente florido e un futuro che promette molto bene, ma anche delle difficoltà a emergere per tanti giovani, costretti ad abbandonare.
Buongiorno Alessandro Fiandino, a 37 anni ha già grande esperienza come allenatore.
«Ho avuto una breve carriera da atleta, nella quale ho anche fatto molto bene in un Mondiale Giovanile a Hochfilzen nel 2000, arrivando 14° in sprint, 15° individuale e 18° nell’inseguimento. Purtroppo, per diversi motivi, mi sono fermato e presto mi sono iscritto al corso allenatori, quindi ho lavorato nella squadra dell’Esercito e per sei anni nella squadra B della nazionale, con il ruolo di aiuto allenatore in estate e skiman in inverno. Ho collaborato con tecnici di alto valore come Inderst, Montello e Pallhuber».
Qual è lo stato di salute del biathlon in Piemonte?
«Buono, come dimostrano i risultati che stiamo ottenendo da alcune stagioni a questa parte. Riusciamo spesso a piazzare atleti nelle posizioni più alte delle gare nazionali e internazionali, molti di loro entrano nelle diverse nazionali ed altri hanno anche la fortuna e il merito di venire arruolati nei corpi sportivi, vedi Pietro Dutto, Luca Ghiglione e Andrea Baretto. Il fiore all’occhiello della stagione è stata probabilmente la medaglia mondiale di Martina Vigna nella staffetta femminile ai Mondiali Giovanili, quando ha lasciato tutti a bocca aperta con quell’ultima serie che ha consentito a lei e le sue compagne di salire sul podio. Siamo coscienti della sua bravura ed è riuscita a dimostrare il suo valore in una situazione difficile da gestire a livello emotivo. Il suo risultato è segno dell’ottimo lavoro sia del comitato sia degli sci club, con i quali lavoriamo a stretto contratto».
Inoltre sono arrivati diversi titoli nazionali.
«Ci siamo tolti diverse soddisfazioni anche in Italia, vincendo tanti titoli e medaglie partendo dagli Under 23 fino ai più giovani. Un aspetto importante del nostro comitato è la grande mole di lavoro che facciamo con gli atleti dell’aria compressa, coloro che rappresentano il ricambio generazionale. Abbiamo un gruppo molto ampio, sul quale stiamo lavorando con serietà».
Può descriverci il lavoro che avete fatto in questi anni?
«Abbiamo formato le nostre squadre regionali, lavorando sempre in condivisione con le società del territorio, con le quali abbiamo degli obiettivi comuni. Ogni anno vogliamo migliorare sotto tanti aspetti, quelle piccole lacune che ovviamente ci sono, ponendoci determinati obiettivi tecnici, trovando una metodologia d’allenamento comune e puntando soprattutto a limitare gli errori al tiro. Inoltre è fondamentale aumentare il numero di praticanti, perché allargando la base ci sono maggiori possibilità di fare risultati e avere ragazzi di talento. Quando sono entrato nel comitato, avevamo il settore aria compressa in crisi, mentre oggi partecipiamo agli Italiani di categoria con un contingente di oltre quaranta atleti, conquistando diversi podi e trovandoci alle spalle soltanto di mostri sacri come Alto Adige e Valle d’Aosta. Merito di un progetto che abbiamo sviluppato con le società locali, che prevede la mia presenza settimanale nel corso degli allenamenti dei singoli sci club, per aiutare i giovani a sviluppare le loro capacità al tiro. Per questo motivo ci tengo a ringraziare il Colonnello Mosso e il Centro Sportivo Esercito, che mi offre l’opportunità di fare ciò da diversi anni, distaccandomi dalla sede».
Per quanto riguarda gli impianti?
«Si concentrano tutti nella provincia di Cuneo. Abbiamo tre importanti strutture per il periodo invernale, attorno alle quali ruota la nostra attività: lo “Sci Club Entracque Alpi Marittime" ad Entracque, il “Valle Pesio” a Chiusa di Pesio e il “Valle Stura” a Bergemolo. Nelle ultime stagioni abbiamo sofferto un po’ l’assenza di neve, anche se fortunatamente a Entracque hanno l’innevamento programmato e temperature rigide, che ci aiutano a mettere su un anello adeguato per gli allenamenti. Purtroppo, invece, in Piemonte mancano piste da skiroll, una problematica che ci auguriamo venga risolta in futuro, anche perché vorremmo evitare di mandare i nostri ragazzi ad allenarsi per strada, dove corrono maggiori rischi. A volte siamo costretti a spostarci in altre località, in relazione ovviamente anche ai soldi: magari si va in Francia, oppure ad Anterselva o Forni Avoltri».
È complicato lavorare con i ragazzi nel periodo dell’adolescenza?
«Sicuramente è difficile, perché i giovani in questa fascia d’età sono spesso soggetti a qualche distrazione in più. Noi cerchiamo sempre di motivarli, stimolarli, fargli capire quanto sia importante per ottenere degli ottimi risultati essere concentrati e lucidi, non soltanto in gara, ma anche negli allenamenti. Anche perché da questa età in avanti avranno avversari sempre più competitivi e dovranno lavorare tanto, soprattutto al tiro, per fare bene».
Cosa provi quando un’atleta di valore, come per esempio Rachele Fanesi, vincitrice anche di un titolo italiano nell’ultima stagione, deve fermarsi perché non è riuscita a entrare in un corpo sportivo?
«Provo sempre un dispiacere enorme, perché so quanto sia brutto per un atleta dover dire basta. Da parte nostra abbiamo il compito di stargli sempre vicino, sostenere questi giovani in una fascia d’età critica nella quale se non sono in nazionale o in un centro sportivo devono probabilmente smettere. Noi proviamo con ogni mezzo a farli proseguire un altro anno, cercando di supportarli e invitarli a giocarsela ancora un anno. Non sempre ci riusciamo. Nel caso di Rachele, ci auguravamo che venisse inserita nella squadra B, perché eravamo convinti che avesse i numeri per provarci ancora. Così non è stato, quindi lei si è trovata di fronte alle necessità, soprattutto economiche, che la vita ti chiede tutti i giorni e ha deciso di smettere, giudicato anche il fatto che il biathlon è uno sport costoso. Per fortuna so che non si è allontanata dal biathlon e sta già collaborando con lo Sci Club Alpi Marittime, aiutando i giovani dell’aria compressa. Chissà che, come accaduto a me, la vita non le riservi qualche bella sorpresa: magari diventerà maestra di sci, poi allenatrice e chissà che un giorno non possa trovarsi ad allenare il Comitato».
Anche Ginevra Rocchia stava per fermarsi, invece è stata inserita nella squadra B: le hai consigliato qualcosa?
«La sento molto spesso, anche se non fa più parte della nostra squadra regionale ed è entrata tra i senior. Con lei saremo sempre disponibili per consigli o allenamenti quando sarà a casa, ovviamente seguendo il programma della nazionale. Al termine della passata stagione, quando stava pensando di smettere in caso di mancata convocazione nella squadra B, le dissi di tenere duro e continuare un altro anno per dimostrare le proprie qualità e doti. Quando ho saputo che è entrata nella squadra B, ci siamo sentiti subito e le ho detto di giocarsi bene tutte le carte, lavorando con impegno e serietà, ascoltando tutti i consigli che le verranno dati e affrontando sempre le gare a testa alta per ottenere risultati».
Invece cosa dici agli atleti che lasciano il comitato ed entrano in un corpo militare o squadra nazionale?
«Dico sempre che non è un traguardo, ma un punto di partenza per diventare un atleta di altissimo livello. Bisogna puntare in alto, a entrare nella Squadra A, partecipare alla Coppa del Mondo, fare Mondiali e Olimpiadi, raggiungere sempre il massimo obiettivo. Non devono mai perdere lucidità e continuare a lavorare come hanno sempre fatto, perché il corpo militare è soltanto un nuovo inizio».