La nuova nazionale Under 23 maschile si è radunata per la prima volta in stagione dal 5 al 13 giugno scorsi, insieme alla Squadra A e Under 23 femminili. In gruppo Daniele Serra, Paolo Ventura, Stefan Zelger, Lorenzo Romano e Simone Daprà, insieme ai due che formano l’Under 23 Sprint, neonato gruppo in seno alle nazionali azzurre, composto da Giacomo Gabrielli e Michael Hellweger. Luciano Cardini, allenatore responsabile dell’Under 23 maschile, ha avuto così modo di ritrovare parte degli atleti già allenati nella passata stagione, ai quali si sono aggiunti i giovani Lorenzo Romano e Simone Daprà, appena saliti dalla categoria junior, più Michael Hellweger, molto stimato da Chenetti, che ha esordito già lo scorso anno in Coppa del Mondo. Di questa nuova nazionale e delle aspettative per la prossima stagione abbiamo parlato proprio con l’allenatore responsabile degli Under 23 azzurri.
Buongiorno Cardini. Come ha trovato i sette giovani azzurri al primo raduno stagionale?
«Sono rimasto felicemente sorpreso, perché gli avevo dato delle linee guida da seguire per fine aprile e maggio, che sono state pienamente rispettate, anzi li ho trovati più preparati del previsto, perché qualcuno di loro ha fatto anche qualche ora di allenamento in più rispetto a quanto richiesto. Sono subito partiti euforici e carichi dal primo all’ultimo, con grande volontà di fare bene. I due nuovi arrivati, Lorenzo Romano e Simone Daprà, si sono presentati in condizioni atletiche eccellenti, grazie anche all’ottimo lavoro che hanno fatto con la squadra junior in questi anni. Ciò dimostra che stiamo lavorando bene, perché c’è una linea di continuità a cominciare da sci club e comitati, fino ad arrivare alle diverse nazionali. Vogliamo che i nostri atleti vengano accompagnati nel loro percorso di crescita senza particolari sconvolgimenti a livello tecnico e di allenamento fisico».
In questa stagione c’è anche la novità della squadra sprint.
«Al gruppo dei cinque ragazzi della squadra Under 23, abbiamo questi due atleti che formano il gruppo sprint. Gabrielli era con me già lo scorso anno, ha vissuto una stagione difficile, ma ha avuto il merito di non perdersi mai d’animo. Lui non ha mai perso fiducia nel nostro lavoro, si è fidato. Purtroppo capita spesso che quando si fa una bellissima ultima stagione da junior, si faccia molta fatica nel cambio di categoria, perché si può perdere un po’ di fiducia quando non arrivano i risultati. Inoltre quando si passa a senior cambia la mole e la qualità del lavoro, un fattore che incide non poco. Hellweger, invece, viene da una stagione discreta. È un ottimo sprinter, ha una bella sparata, è bravissimo in qualifica, ma manca ancora qualcosa in resistenza. Su questo punto dovremo lavorare. Con loro faremo un allenamento leggermente diverso, perché sono degli sprinter, ma non lo sconvolgeremo, in quanto per essere competitivo in una sprint un atleta deve avere delle grandi qualità aerobiche».
Cosa ha detto agli esordienti Daprà e Romano?
«Ho chiesto innanzitutto quali fossero i loro obiettivi e come siano intenzionati a raggiungerli. Li ho avvertiti che salendo di categoria troveranno maggior concorrenza, perché se da Junior sbagliavano una gara, arrivavano al traguardo tra il sedicesimo e il ventesimo posto, mentre oggi potrebbero finire in quarta pagina al sessantesimo posto. Non dovranno spaventarsi se ciò dovesse accadere, né perdersi d’animo. Sono due ragazzi che, facendo una buona gara, possono anche entrare tra i quindici o addirittura dieci. Da adesso in poi avranno una mole di lavoro maggiore da affrontare, ritmi più alti in allenamento e in gara. Sono fiducioso, perché li vedo belli motivati e ben preparati, hanno già sopportato i primi carichi importanti, lavorando sulle 25 ore. Lo faranno anche questa settimana, sono due ragazzi abituati a lavorare molto e questo facilita tutti noi, perché non dobbiamo dividere i gruppi negli allenamenti».
Passiamo ai più grandi del gruppo.
«Le cose e le aspettative cambiano se un atleta è al primo anno da senior, oppure al secondo, come Serra, Gabrielli, Hellweger e Ventura, o addirittura al terzo come Zelger. Gli atleti al secondo anno, essendo più maturi, devono essere più incisivi. Un po’ tutti loro, nella passata stagione, hanno avuto delle carenze nel modo in cui hanno affrontato alcune gare, soprattutto dal punto di vista mentale. Anche ai Mondiali hanno avuto un approccio sbagliato. Ora sono cresciuti, hanno maggiore esperienza e mi aspetto facciano da traino ai più giovani. Zelger, essendo all’ultimo anno da under 23, è il nonnino del gruppo, anche se ha appena 23 anni (ride ndr). Lui è sempre molto preciso negli allenamenti, motivato, esegue alla lettera quello che diciamo. Inoltre è un atleta trainante per i compagni, perché è bello lavorarci, fa molto gruppo, sa quando è il momento di scherzare e quello di lavorare. In generale hanno tutti una gran voglia di lavorare. Sono rimasto, poi, particolarmente colpito da Hellweger, che si è rivelato una sorpresa per noi, lasciandoci tutti entusiasti. È come una spugna, tutto quello che gli dici lo applica e poi ti ringrazia per il consiglio o l’insegnamento. È bello avere in gruppo un ragazzo così, sempre entusiasta. A proposito di gruppo, voglio spendere due parole sullo staff tecnico, perché siamo molto affiatati tra noi. Con Pietro Piller Cottrer, Marco Selle e Claudio Saba collaboriamo moltissimo, con quest’ultimo che, oltre a essere massaggiatore e fisioterapista, è anche un motivatore, dall’alto della sua esperienza. Un esempio della nostra collaborazione? Per esempio Pietro allena le ragazze, ma condividiamo tutto, a volte mischiamo anche i gruppi, qualche ragazza si allena con noi e viceversa. C’è un clima positivo».
Lavorate con gli atleti in un periodo per loro molto particolare, perché qualcuno è entrato da poco in un gruppo sportivo, mentre qualcun altro ancora non ha raggiunto questo obiettivo e si gioca tutto.
«Al giorno d’oggi è molto difficile entrare in un gruppo sportivo, perché ci sono meno arruolamenti. Vedo i ragazzi che sono ancora fuori con un fuoco che arde dentro di loro, una voglia enorme, un motore che li spinge ad andare più forte. Quando si entra, però, non ci si deve rilassare, in quanto è proprio in quel momento che inizia il lavoro, perché si ha finalmente la tranquillità di concentrarsi solo sulle gare, si è professionista a tutti gli effetti. L’importante è non sedersi e accontentarsi, perché quello è solo un punto di partenza. L’arruolamento è una fortuna riservata a pochi, così come il talento, che però conta per un 5%, mentre la differenza la fanno gli allenamenti».
Come si possono gestire la tensione e le preoccupazioni di chi non è ancora riuscito a entrare?
«Negli allenamenti non te ne accorgi, i ragazzi sono concentrati unicamente sul lavoro da eseguire. Anch’io entrai tardi nel gruppo sportivo, so come ci si sente. Soffri sempre un attimo, perché vedi i tuoi compagni che non devono pensare ad altro, non hanno l’esigenza di fare un altro lavoro oltre all’allenamento. Diciamo che, come ho detto prima, la voglia di entrare è uno stimolo in più per andare forte, un vero e proprio motore. Il problema, però, si presenta dopo una gara andata male, perché in quel momento ti sembra quasi di vedere sfumare il tuo sogno un pezzo alla volta. A quel punto noi allenatori dobbiamo essere bravi a fare un ottimo lavoro mentale. Per fortuna abbiamo in squadra uno psicologo, che si occupa anche di questo, oltre ad avere una persona esperta come Saba che ci aiuta».
Oltre a questo gruppo ci sono anche gli atleti di interesse nazionale.
«Loro hanno un sostegno economico della federazione, compresi i materiali. Non conosciamo tutti gli atleti di persona, ma li valuteremo nel corso della stagione, anche perché abbiamo la fortuna che la maggior parte di loro sono aggregati nei gruppi sportivi, così possiamo interpellare i loro allenatori. Non facciamo dei raduni, perché in passato ho visto che la cosa non funziona moltissimo, in quanto gli atleti possono trovarsi in una fase diversa della preparazione, qualcuno in carico e altri in scarico. Di loro se ne occupano i rispettivi gruppi sportivi o comitati, poi noi faremo delle selezioni, perché la concorrenza è sempre positiva, alza il livello della squadra, in quanto ognuno è costretto a dare il massimo».