Al termine di una stagione ricca di emozioni abbiamo contattato Massimiliano Ambesi, voce tecnica e opinionista di Eurosport per salto, combinata nordica, pattinaggio di figura e biathlon. Con lui abbiamo affrontato le diverse tematiche offerte dalla stagione appena conclusa nello sci nordico e nel biathlon.
Ciao Massimiliano e grazie per la disponibilità. Partiamo dal biathlon, dove abbiamo avuto il dominio di Martin Fourcade e Laura Dahlmeier. Ti aspettavi che la tedesca avrebbe vinto con questa facilità?
«Non mi ha sorpreso, perché il livello del biathlon femminile non era alto negli ultimi due anni, quindi era chiaro che alcune giovani, salendo di livello, potessero fare la differenza. Lei ha raggiunto il top della forma proprio nel momento clou della stagione, facendo registrare spesso il miglior tempo sugli sci, una cosa non scontata quando in pista c’è Makarainen, ma ha anche velocizzato i tempi di rilascio colpi. Ha avuto la capacità di mantenere una forma costante da fine novembre fino a marzo, raggiungendo il picco quando contava, a Hochfilzen. In questo momento è ingiocabile se ha questa costanza di forma per tutto l’anno, a meno che non si ammali o una delle avversarie non inizi a sparare con il 95%. Ha battuto la migliore Koukalova di sempre, Makarainen è tornata competitiva e anche altre di tanto in tanto hanno fatto bene. La tedesca, però, è stata senza eguali, ha saltato pure due gare. Anche in passato ha fatto la scelta strategica di saltare alcune tappe, perché, quando hai quel motore, te lo puoi permettere. È di un’altra categoria rispetto alla concorrenza attuale, un’atleta costruita passo dopo passo dal sistema tedesco, se si pensa che da piccolina non sapeva sparare a terra. Lei sa salire di livello quando conta, raggiungere il top della forma nel grande evento. Non mi stupirei se facesse lo stesso anche nella prossima stagione in vista delle Olimpiadi, perché, secondo me, quest’anno il suo staff ha preso il rischio di fare una sorta di esperimento, farle saltare alcune gare per farla entrare in forma ai Mondiali, che si sono disputati più o meno nelle date in cui nella prossima stagione cadranno le Olimpiadi. La prova generale ha dato riscontri eccezionali».
All’altro dominatore assoluto, Martin Fourcade, è però mancato l’acuto al Mondiale.
«La spiegazione è semplice: in campo maschile, appena cali un po’ la percentuale al tiro, puoi perdere le gare. Non a caso al Mondiale ha trovato Bailey che ha sparato con delle percentuali eclatanti. Fourcade ha disputato una stagione fantastica, ha dominato dall’inizio alla fine, ha mantenuto costantemente la forma per tutta la stagione, anche se per vincere al Mondiale, nella singola gara, devi essere al cento per cento. Tra lui e gli altri, oggi, c’è troppo margine, perché Fourcade spara con il 90% ed è anche il più veloce sugli sci. Johannes Thingnes Boe, nonostante abbia sparato con ottime percentuali, non è mai riuscito a impensierirlo per la classifica generale, perché Fourcade è troppo superiore di testa, è in grado di prendere 20” all’ultimo giro sugli sci, per tenersi il margine di un errore al poligono. È un fuoriclasse come pochi, l’ha confermato anche a Oslo, quando sapeva di aver fatto un’irregolarità e avrebbe rischiato la squalifica, così ha tirato fuori una gara storica, lo specchio di quello che è il suo dominio dal 2011 a oggi. Ha numeri impressionanti, ha fatto quello che voleva e chissà, se in ambito maschile, troveremo in futuro un altro capace di sparare con il 90% ed essere anche il più veloce sugli sci. Ecco, il parallelismo con Dahlmeier regge anche in questo, con la differenza che in ambito maschile non abbiamo mai avuto un atleta così, capace di dominare sugli sci e al poligono, mentre in quello femminile, prima di Dahlmeier, c’è stata Magdalena Forsberg. Spesso la Dahlmeier viene paragonata alla connazionale Neuner, quando in realtà anche tecnicamente è molto più simile alla svedese proprio nel modo di affrontare e gestire la gara».
Come giudichi la stagione dell’Italia?
«Direi che è stata una stagione di consolidamento. All’interno del quadriennio olimpico si sono visti progressi importanti e in questa stagione si è mantenuto il livello dell’anno precedente. Sono mancate vittorie, ma non si può sempre pensare di vincere, perché crescono anche gli altri. In campo maschile si sono viste delle buone cose, abbiamo avuto un Hofer migliore, mentre Windisch è molto più competitivo al tiro, migliorando in quella che è sempre stata una mancanza sua e del biathlon italiano al maschile. Bisognerebbe trovare delle alternative a questi due atleti, perché Montello e Bormolini in alcuni contesti si sono ben comportati, ma da qui all’avere una squadra competitiva ne passa un po’. Anche nel biathlon femminile abbiamo avuto delle conferme, perché se un anno fa ci sono stati dei grandi risultati con Wierer, quest’anno l’Italia ha portato sul podio tre atlete diverse. È mancato il successo, ma abbiamo mantenuto in generale il livello di un anno fa e soprattutto le ragazze si sono confermate tra le migliori cinque nazioni al mondo, una cosa non banale per l’Italia».
Passiamo al salto: Peter Prevc ha vissuto una stagione difficile, mentre Kraft è stato autore di una seconda parte straordinaria.
«La stagione di Peter Prevc si è decisa a Kuusamo, al secondo salto della prima gara, quando lo sloveno, anziché vincere come sembrava ormai ovvio, è caduto facendosi anche male. Da lì si è smarrito, perché in uno sport come questo, se perdi fluidità diventa dura. Per tutta la stagione non ha avuto la capacità di mantenere alta la velocità in fase di volo e ha pagato dazio. Nel corso della stagione si stava anche riprendendo, ma è nuovamente caduto e da lì è andato in crisi, facendo qualche buon salto, ma mai della qualità dello scorso anno. Kraft era in credito con la sorte, perché avrebbe già fatto sua la Tournee dei Quattro Trampolini, se non fosse stato bloccato da un malanno prima della prova di Innsburck, che ha reso molto molli le sue gambe. Si è ammalato nuovamente prima di Zakopane, ma da lì in poi è stato superiore a tutti in ogni contesto, large o normal hill che fosse, poi sul trampolino di volo. Non è uno che spacca il dente sullo stacco e trova quote incredibili, lui ha sensibilità e lavora bene con la velocità, ha un’ottima aerodinamica, ha un feeling assoluto con i materiali. È semplicemente spettacolare. Ha stabilito numerosi record, ha fatto numeri che parlano da soli. La sua superiorità è in linea con quella avuta da Prevc un anno fa, con la differenza che lo sloveno aveva dominato così dall’inizio, lui soltanto nella seconda parte di stagione».
Insieme all’austriaco, anche Wellinger ha fatto un’ottima seconda parte di stagione, arrivando però quasi sempre secondo.
«Wellinger ha ritrovato quella stabilità tecnica, che gli era mancata nella passata stagione e nella prima parte di quest’ultima, ma che fosse un atleta di talento si sapeva. Rispetto a Kraft ha più verticalità, è un saltatore più in linea con il salto dell’ultimo decennio, ha una grande spinta e ha dimostrato di difendersi bene in ogni componente della disciplina. Il suo punto debole è la gestione della pressione nei momenti delicati e decisivi delle gare. Ogni volta che ha chiuso la prima serie davanti a Kraft, si è poi fatto superare nella seconda, non eseguendo mai un salto al top. Detto ciò, è stato protagonista di una grande stagione».
Passiamo all’Italia: la cura Kruczek sta funzionando?
«Se guardiamo al recente passato si, c’è stata una crescita di prestazioni, non tanto in Coppa del Mondo, che non rappresentava un obiettivo, ma in quella continentale. All’inizio della stagione si era detto che bisognava trovare una continuità di risultati di un certo livello partendo in Continentale, dove questi ragazzi sono da prime dieci posizioni. Per quanto riguarda Alex Insam è un discorso diverso, perché sapevamo che poteva puntare a un risultato di peso ai Mondiali Giovanili e così ha fatto, essendo arrivato secondo dietro a un ottimo atleta come Polasek e davanti al bravissimo tedesco Schmid. Ora bisognerà vedere se Insam crescerà sugli aspetti dove è più in difficoltà. Ha però dimostrato una grande attitudine per il volo, una cosa positiva, perché in futuro saranno sempre di più le gare di volo e anche i nuovi impianti saranno large hill sempre più estremi e più adatti a lui. Il salto è comunque una disciplina delicata, nella quale la crescita va seguita passo per passo da tecnici competenti. Kruczek è l’uomo giusto, perché ha già visto crescere grande atleti in passato, ha un’esperienza che sarà utile. Si tratta di un tecnico prestigioso, che ha fatto bene all’estero e potrà formare nuovi tecnici nel nostro paese, sviluppare una “cantera” di allenatori. Guardando al futuro, però, è vitale che in Italia arrivi finalmente un trampolino da 60. So che a Pellizzano e Predazzo ci stanno lavorando».
Passiamo alla combinata nordica: dopo il Mondiale sembrava la stagione di Rydzek, invece, con un grande colpo di coda, Frenzel si è preso la Coppa del Mondo.
«La combinata nordica ha equilibri molto labili, basta qualcosa in più o in meno sul trampolino e cambia tutto. Personalmente ritengo Frenzel superiore, migliore sul trampolino dal punto di vista tecnico. Quest’anno, però, non ha saltato al 100% praticamente da Seefeld fino a Oslo, ma anche a Schonach, quando ha vinto la coppa, non era comunque quello di inizio gennaio. Rydzek ha perso qualcosina sul trampolino nel finale, poi ha rovinato tutto con quell’errore commesso nella prima delle due gare di Schonach, quando ha tamponato Frenzel ed è caduto. Quel giorno ha mancato il contro sorpasso in classifica, anzi, ha perso altri punti ed è crollato moralmente, tanto da essere imploso nell’ultima gara. Comunque questi due atleti sono stati vicini per tutto l’anno e la differenza nelle singole gare l’hanno fatta sempre piccoli particolari. Sono due combinatisti completi, con Watabe rappresentano l’evoluzione della disciplina. Ho sempre detto che per essere un combinatista vincente bisogna raggiungere 100 nel grafico in cui si somma la competitività sul trampolino e quella nel fondo. Rydzek e Frenzel sono 45-55 o 50-50, mentre gli altri non arrivano a cento. Un esempio? Mario Seidl può fare 65 sul salto e 15 nel fondo, arriva magari a 80. Pittin, oggi, sarà 65 nel fondo e 10 nel salto, anche se sta crescendo».
Per quanto riguarda l’Italia, come giudichi la stagione dei combinatisti?
«In generale è stata una stagione positiva. Era importante recuperare un pettorale attraverso la Coppa Continentale e l’obiettivo è stato raggiunto. Abbiamo alcuni atleti che rendono bene in questa competizione, ma non in Coppa del Mondo, perché hanno delle mancanze ataviche sul trampolino, che non riescono a risolvere nonostante ci siano in Italia dei tecnici molto bravi. Pittin, al contrario, ha dimostrato di poter migliorare sul trampolino, fin dall’inizio ha avuto un’altra marcia rispetto a un anno fa. A volte non ha superato la qualificazione, soprattutto nella prima parte della stagione, ma si sono visti passi avanti. Se continua così può tornare competitivo, perché soprattutto sui trampolini piccoli può difendersi, mentre sul fondo fa sempre benissimo. Samuel Costa, invece, è un combinatista che nasce saltatore ed è quindi competitivo sul trampolino. Per l’Italia è una cosa atipica, se si considera che solo una volta nella sua storia ha vinto un segmento di salto, cito a memoria Pittin a Schonach nel 2010. Se è al top, Costa può saltare bene e da lì costruire il resto. Deve ancora crescere nella gestione della gara nel fondo, ma può migliorare. Quest’anno ha avuto un periodo di ottima forma, ma ora deve estenderla a tutta la stagione, deve dimostrare di valere le prime 13 posizioni per quattro mesi. Una cosa è certa, i nostri atleti possono solo crescere se si affidano ai tecnici che ci sono in questo momento, perché Bernardi è un bravissimo allenatore, è stato un atleta e ha lavorato all’estero con sistemi diversi. Ovunque sia andato ha portato risultati di peso, ha una passione incredibile per quello che fa, si mette sempre in discussione da solo, si evolve, studia sempre e la sua conoscenza fa la differenza. Pittin si fida moltissimo di lui e ha ragione. Ho molta fiducia, perché giovani talenti come Buzzi e Kostner, competitivi anche sul trampolino, possono crescere moltissimo».
Soddisfazioni sono arrivate anche dal salto femminile, soprattutto con Manuela Malsiner.
«Questa ragazza è stata vicina a smettere, non soltanto per gli infortuni, ma anche per la gestione tecnica improponibile che abbiamo avuto in passato. È migliorata su tutto, mentre ha delle qualità naturali sullo stacco. Ha vinto un Mondiale contro atlete di alta caratura e va dato merito allo staff tecnico di aver lavorato bene con lei, facendola arrivare al top nel momento clou della stagione. È riuscita anche a salire sul podio in Giappone e in quelle due gare avrebbe anche potuto vincere, perché ha saltato ai livelli di Takanashi, Lundby e Ito. Anche sua sorella è molto competitiva con le pari età e sono convinto che queste due ragazze potranno entrare con costanza nelle prime dieci persone, se seguiranno sempre l’attuale staff tecnico. Vedo un futuro roseo per l’Italia, perché anche Elena Runggaldier è tornata a salire di livello in questa stagione, anche se le è mancato il grande acuto. Si è tolta qualche soddisfazione e sono certo che ne avrà altre. Soltanto Evelyn Insam non è pervenuta e lì bisognerebbe capire cosa vuole, perché ritengo doveroso da parte sua tornare a lavorare con la nazionale, sopratuttto con Zwitter, che è uno dei tecnici migliori al mondo. Attenzione, poi, al futuro, perché sul settore femminile del salto e la combinata nordica si sta lavorando molto bene con le giovani, grazie a Ivo Pertile e ai centri di Pellizzano, Predazzo, Tarvisio e Val Gardena, che trovandosi vicino a Stams è sempre avanti».
Nel fondo, nonostante la Coppa del Mondo sia andata a Weng e Sundby, i grandi protagonisti sono stati considerati da tutti Bjoergen e Ustiugov.
«Sono molto critico, perché una disciplina in cui la Coppa del Mondo diventa un evento secondario, ha qualche chiaro problema. Posso capire che, nella stagione olimpica, alcuni big possano concentrarsi su questo obiettivo disertando qualche gara, ma che ciò sia accaduto quando non sono in programma le Olimpiadi, è un brutto messaggio. Il Tour de Ski, senza molti big, che senso ha? Bjoergen si può capire, ha vinto tanto, ma gli altri? Il fatto che all’ultima gara della stagione il campione del mondo Sundby non si sia presentato, è un brutto segnale. Nelle altre discipline, infortuni a parte, i big ci sono tutti, mentre nel fondo c’è stato un fuggi fuggi generale. Al di là dei protagonisti, c’è qualcosa che non torna, o si fanno meno gare o si torna al passato come format, oppure questa disciplina sarà destinata ad avere sempre meno spazio. Qui i personaggi ci sono, ma non vengono valorizzati, perché uno come Ustiugov andrebbe pubblicizzato per quella che è la sua storia. Le finali della Coppa del Mondo sono state il punto più basso della stagione e Sundby, giustamente, si è andato a prendere soldi facili correndo in una gara delle lunghe distanze. Ma poi spiegatemi, com’è possibile disputare una gara di fine stagione con punteggi dimezzati, è proprio il contrario di quello che andrebbe fatto per avvicinare il pubblico. Devi incentivare lo spettacolo, fare in modo che sia sempre vivo l’interesse. Purtroppo la FIS fa molti errori del genere, pensate al calendario assurdo del salto femminile. Poi, se dobbiamo parlare della stagione dal punto di vista tecnico, allora applaudiamo Marit Bjoergen, perché sta facendo qualcosa di incredibile e tutto dovrebbe essere concentrato sulla sua figura, perché siamo quasi al livello di mitologia».
E l’Italia?
«È stata una una stagione difficile. Per fortuna è arrivato l’oro di Pellegrino, che è salito di colpi proprio nel momento più importante. Inoltre questo atleta ha avuto il merito di crescere e migliorare nella lettura delle gare. Poi, lavorando anche su lunghe distanze grazie a Chenetti, ora è più competitivo rispetto al passato nei turni finali delle sprint, mostrando la sua versione migliore in semifinale e finale. Colpisce la maturità che ha trovato ed è stata raggiunta grazie al sistema di lavoro portato da figure nuove come Chenetti. Tutto ciò che ha raccolto è stato meritato, frutto di pianificazione, strategia e valore dell’atleta. Quando ci sono delle eccellenze italiane nello sport va rimarcato e tutto ciò che ruota attorno a lui rappresenta l’eccellenza».