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Sci di fondo

Elisa Brocard e il sogno olimpico: “Sarebbe la ciliegina sulla torta”

Dalla Coppa Italia al Mondiale di Lahti, il terzo della sua carriera. Elisa Brocard è stata protagonista di una stagione da rincorsa, perché iniziata fuori dalla squadra nazionale e conclusa addirittura alle finali di Coppa del Mondo in Canada, come seconda miglior italiana nella classifica generale. La valdostana dell’Esercito, a 32 anni, ha dimostrato di avere ancora tanti stimoli e la caparbietà giusta per essere da esempio a colleghe e compagne di squadra, ma soprattutto di avere ancora tanta passione, quella che l’ha spinta, al termine di una stagione lunga e faticosa, ad andare fino in Russia per partecipare alla 50km in tecnica libera valevole per la World Loppet Cup. Di ritorno da Khanty Masiysk l’abbiamo intervistata, facendoci descrivere tutta la sua passione per questo sport.

Ciao Elisa, bentornata dalla Russia. Cosa ti ha spinto a partecipare a una 50km al termine di una stagione molto dura?
«Lo scorso anno mi ero dedicata proprio a questo genere di gare. Mi ero preparata l’estate con lo scopo di tornare in Coppa del Mondo, ma, tolta l’apparizione a Dobbiaco, non ce l’avevo fatta, così avevo partecipato al circuito delle lunghe distanze, divertendomi molto. Quest’anno ho avuto la fortuna di tornare in Coppa del Mondo, ma una volta terminata, ho visto che c’era ancora questa gara e ho deciso di andare avanti altre due settimane per partecipare, dal momento che sono anche riuscita ad allenarmi, visto che dalle mie parti c’è ancora neve».

Com’è il mondo delle lunghe distanze?
«L’ambiente è diverso e anche le gare, perché nelle gran fondo si parte insieme agli uomini, ci sono gli atleti importanti e i semplici appassionati. Sono tutte gare di massa, nelle quali prediligo quelle in pattinaggio, piuttosto che in classico. Queste ultime non mi piacciono, perché praticamente ormai in molti gareggiano senza sciolina, solo a spinta, lo stile è stato snaturato. A me la tecnica classica piace, ma non l’evoluzione che stiamo vedendo, anche in certe gare di Coppa del Mondo. Ormai si sta andando verso questa direzione e mi dispiace».

È stato difficile partecipare a una 50km dopo una stagione così dura?
«Si e infatti in Russia ho preso una crisi che non ti dico (ride ndr). La gara era tutta completamente piatta, non c’era mai un recupero. Fino ai 30km mi sentivo bene, così mi sono lasciata prendere dall’entusiasmo e sono andata veloce. La gara era composta da due giri da 25 km e un atleta poteva scegliere se fare la breve o la lunga. Così quelli che erano in gruppo con me si sono fermati al 25° chilometro, mi sono trovata da sola con il vento contro e ho bruciato tutte le energie che avevo. Sono crollata e scesa dal primo all’undicesimo posto. Sono comunque contenta di essere arrivata, perché quando vai in difficoltà non è mai facile».
    
Hai iniziato la stagione in Coppa Italia e l’hai conclusa alle finali di Coppa del Mondo: come sei riuscita a compiere questa risalita?
«Sono stata un po’ aiutata dall’esperienza, perché in tanti anni le ho vissute tutte: sono stata dentro e fuori la squadra. Già in passato mi sono preparata con il Centro Sportivo Esercito, come nell’anno olimpico di Sochi, quando sono partita fuori squadra e alla fine ho partecipato ai Giochi. Ero consapevole, quindi, che da fuori squadra si possa rientrare, perché c’è molto equilibrio tra le donne. Sapevo che era fattibile, ho cercato di lavorare nel migliore dei modi e mi sono trovata molto bene con Alice Canclini e Martina Vignaroli, che si sono allenate con me in estate. Il fatto che loro siano più giovani di me, mi è servito molto perché mi sentivo responsabile, gli davo dei consigli anche sulla tecnica. In tutti questi anni di gare, ho fatto anche diversi corsi per diventare maestra di sci, allenatrice e istruttrice, quindi ho messo in pratica con loro qualche nozione e ciò mi ha aiutata, mi ha dato maggiori responsabilità e fatto concentrare non solo su me stessa. Sono diventata ancora più consapevole dei miei mezzi e dell’esperienza che ho maturato in questi anni, ho capito di avere qualcosa da insegnare alle più giovani».

Quando l’abbiamo intervistata, un’altra giovane dell’Esercito, Ilenia Defrancesco, ti ha ringraziato per i consigli che le hai dato.
«L’ho letto e mi ha fatto molto piacere. È una cosa che mi viene spontaneamente, anche se con Ilenia ci siamo viste meno, dal momento che lei si è allenata con la squadra B della nazionale. Quando ci siamo viste agli Italiani e in altre occasioni, lei mi ha spesso chiesto consigli e sono stata ben felice di poterle trasmettere qualcosa di quello che ho imparato in questi anni. In Estate con Alice (Canclini ndr) e Martina (Vignaroli ndr) mi sono trovata bene, mi hanno fatto sentire più giovane. Mi sono un po’ rivista in queste ragazze, nella loro passione e anche nei momenti difficili che un’atleta può vivere nel corso della carriera. Anch’io ho avuto spesso problemi fisici, come accaduto a Martina Vignaroli, ho cercato quindi di farle capire che proprio da questi momenti ci si può rialzare. Ho avuto anni in cui volevo smettere, nei quali sentivo che la voglia stava scemando, ma alla fine sono andata avanti e ho portato a casa tante cose. Lo sport è così, ci sono periodi nei quali tutto fila liscio senza tu sappia come mai ed altri nei quali non arrivano i risultati, anche se ti sei preparata al meglio. Bisogna mettere in conto queste cose, porsi un obiettivo e fare di tutto per raggiungerlo. Non sempre si può vincere, ma l’importante è fare il meglio possibile».

Ti aspettavi una stagione del genere?

«Non mi ero prefissata degli obiettivi precisi. Si, c’era il pensiero del Mondiale, ma nemmeno sapevo quali gare ci fossero a Lahti alla vigilia della stagione. Sicuramente non mi aspettavo di fare una stagione del genere, tornare nella squadra nazionale e disputare anche le finali di Coppa del Mondo in Quebec. Tutte cose che hanno stupito me e chi mi è attorno, come il mio allenatore Simone Paredi, che ha rappresentato una pedina fondamentale per questa mia stagione. Lui ed Erik Benedetto, fisioterapista della nazionale e mio compagno di vita, sono stati due tasselli molto importanti, anche perché hanno trovato pure un certo equilibrio tra loro, scambiandosi idee e aiutandomi molto nella preparazione fisica. Fondamentale è stato anche il fisioterapista Einar Prucker, perché senza le sue mani non sarebbe stata la stessa cosa».

Tra i tanti complimenti che hai ricevuto in questa stagione, ce ne sono alcuni che ti hanno fatto particolarmente piacere?
«Quelli di mio zio Marco Brocard, che da questa stagione è skiman della nazionale. Sono cresciuta con lui e mio padre, anche perché lo zio era allenatore nel Comitato Asiva, quando ero in squadra. Successivamente ci siamo un po’ persi di vista professionalmente, in quanto io ero in Coppa del Mondo e lui era sempre allenatore dell’Asiva. Poi quest’anno lui è entrato in nazionale da skiman e anch’io sono tornata come atleta, così abbiamo disputato le prime gare di Coppa del Mondo insieme e soprattutto il primo Mondiale. Già essere lì con lui era bellissimo, ma ancor di più lo è stato quando si è complimentato con me, in particolare al termine del Mondiale quando si è detto orgoglioso di essere mio zio».

Anche lui e tutto il team degli skiman hanno ricevuto molti complimenti.

«Meritatissimi, perché abbiamo sempre avuto dei materiali ottimi, soprattutto durante i Mondiali. Se abbiamo ottenuto degli ottimi risultati, un grazie lo meritano anche loro, perché quella degli skiman e dei fisioterapisti, soprattutto durante queste competizioni, è una vita molto dura».

Prima hai parlato di alcuni momenti in cui hai anche pensato di smettere. Quando è successo?
«Ne ho avuti diversi di questi momenti, il più recente due anni fa, prima che intraprendessi la stagione sulle lunghe distanze. Per me era stato un anno deludente, mi ero preparata con la nazionale e dopo un incidente sugli sci mi ero infortunata, perdendo molta preparazione. Avevo buttato la stagione e saltato anche il Mondiale di Falun, così ero abbattuta e stavo pensando di porre fine alla mia carriera. Il Centro Sportivo, però, mi ha fatto riflettere sulla possibilità di aiutare attraverso la mia esperienza queste due ragazze, Alice e Martina. Così ho deciso di provare ancora un anno, ho cambiato un po’ aria e ho intrapreso l’esperienza delle lunghe distanze per liberarmi un po’ mentalmente. Al termine della passata stagione, allora, mi sono detta di provare ancora e le cose sono andate molto bene. Ora ci sono le Olimpiadi dietro l’angolo, quindi sono ancora più motivata ad andare avanti, poi tra uno o due anni vedremo cosa fare».

Quindi hai in testa l’obiettivo olimpico?
«Sicuramente dopo una stagione come quella appena conclusa, non posso non pensarci. Ora studieremo bene i criteri di qualificazione e a quali gari puntare, perché la 30 sarà in classico, mentre in skating, stile che prediligo, avremo la dieci. Inoltre c’è anche la staffetta, che è una gara sempre bella da fare in questo genere di eventi, sperando di essere un quartetto competitivo, trovandoci tutte in forma. Non siamo la Norvegia, ma nelle staffette può sempre accadere di tutto e noi abbiamo molte ragazze valide. Per quanto mi riguarda dico: intanto arriviamoci ai Giochi, poi se sarò tra le più in forma del momento e scelta, quindi, per la staffetta, meglio così. Una cosa è certa: se ciò dovesse accadere, darò il massimo».

Quest’anno l’Italia al femminile ha colto risultati molto interessanti dalle più giovani.
«Si, qualcosa si sta muovendo. Era tantissimo che non conquistavamo una medaglia Mondiale con le junior e questo fa ben sperare. In questi anni ho visto che è sempre più difficile, soprattutto con le ragazze, non perdersi per strada. Ne abbiamo avute parecchie forti, che alla fine, per un motivo o per l’altro, non sono riuscite a emergere. Bisogna capire perché molte ragazze si perdono e fare in modo che ciò non avvenga, per riportare nuovamente ad alto livello il fondo femminile italiano».

Tornando indietro nel tempo: puoi dirci come hai iniziato?
«Diciamo che mi hanno presto buttato sugli sci (ride ndr). Il fondo è una tradizione di famiglia, perché papà e zio erano fondisti, entrambi nell’Esercito, anche mia sorella ha fatto lo stesso percorso.  Non potevo che seguire le loro orme. Magari da bambina facevo fondo anche per compiacere un po’ papà e zio, poi crescendo, mi sono resa conto che era quello che volevo fare nella vita. Ho avuto la fortuna di entrare nell’Esercito piuttosto giovane, così è diventato presto un lavoro. È proseguito con alti e bassi, però, se mi guardo indietro, mi sono tolta tante soddisfazioni. Sono contenta di aver scelto questo percorso e voglio ringraziare la mia famiglia, per avermi dato questa passione».

Hai affermato che tra uno o due anni potresti smettere: hai pensato a cosa farai dopo?
«Ci penso da anni, ma non è facile capirlo. Mi piacerebbe, un domani, passare ad altre atlete quello che ho imparato in questi anni e lavorare per il Centro Sportivo Esercito, magari come allenatore. Purtroppo so che raramente oggi si vedono donne nel ruolo di allenatore o tecnico dei materiali. Non so come mai, forse perché sono poche le donne che vogliono intraprendere questa strada, ma a me non dispiacerebbe. Un giorno, magari, vorrei anche metter su famiglia, ma per il momento penso più al mio futuro professionale. Negli ultimi anni ho avuto una piccola esperienza con queste due ragazze e ho capito che non mi dispiacerebbe poter insegnare qualcosa alle più giovani. Insomma, quello di allenatrice è un percorso che non posso escludere a priori, anche se ancora non ho chiaro cosa vorrò fare. Me lo tengo in un angolino della mente e chissà che non si realizzi».

Un’ultima domanda: quale ritieni sia, per ora, il momento più bello della tua carriera?
«È difficile dirlo. Forse la mia prima partecipazione olimpica, a Vancouver, perché i Giochi Olimpici rappresentano il sogno di ogni atleta, quello che scrivi anche nei temi alla scuola elementare. Non dimenticherò mai la Cerimonia d’Apertura, con Giorgio Di Centa portabandiera. Ricordo ogni attimo di quella sfilata, il momento più emozionante della mia carriera. Mi sono gustata anche le Olimpiadi di Sochi, quando ero molto felice perché sapevo di esservi arrivata dopo diversi alti e bassi. Ora mi “frulla” in testa l’idea di partecipare a una terza Olimpiade, che sarebbe la ciliegina sulla torta».

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