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Sci di fondo

Marco Selle: “La base è il vero motore del fondo italiano”

È uno dei tecnici più stimati nel fondo italiano e da diversi anni è responsabile del settore giovanile della nazionale azzurra. L’ultima stagione ha regalato molte soddisfazioni a Marco Selle, grazie alle bellissime prestazioni degli atleti junior sia in Coppa Europa sia ai Mondiali Giovanili, nei quali è arrivato lo splendido argento della staffetta femminile. Ne abbiamo parlato con lui in questa lunga intervista, dove ha fatto un punto della situazione sul fondo giovanile italiano.

Buongiorno Selle. Lei ha la grande responsabilità di occuparsi del settore giovanile della nazionale italiana di fondo; quanto è importante e difficile questo lavoro?
«Stiamo vivendo un momento storico nel quale non è semplice far innamorare i ragazzi delle discipline nordiche, perché possono sembrare meno attraenti e richiedono tanto sacrificio. Io tiro le fila di un foltissimo gruppo di persone, il quale vuole far si che questi ragazzi si innamorino e proseguano a praticare lo sci di fondo. Il vero motore non sono io o la nazionale, ma la base, le società, gli sci club, i comitati, quelli che da anni lavorano dentro questi gruppi e continuano a formare questi ragazzi, con compensi bassi e spesso anche gratuitamente, spinti da pura passione. Il grande merito va dato a chi li porta sulla neve la prima volta, gli insegna a sciare, li carica sul pulmino e li conduce agli allenamenti o alle gare. Poi, quando questi bambini crescono, necessitano di una struttura organizzata per dare sfogo alla loro voglia di agonismo. La FISI, più che in passato, ha ascoltato la voce dei Comitati e oggi c’è la volontà di coinvolgere un numero maggiore di persone e chiudere quel distacco tra la Federazione e la base, formata da società e comitati regionali. Stiamo cercando di dare voce a tutti, perché siamo una piccola famiglia e soltanto se tutti noi lavoriamo nella stessa direzione, allora possiamo mantenere i numeri che abbiamo ed evitare che calino. Proprio per questo motivo, tra mille problemi che abbiamo, l’Italia è riuscita a essere, tra i paesi alpini, quello che ha avuto un calo minore, tanto che abbiamo un numero superiore di ragazzi a livello giovanile rispetto ad altre nazioni, che reputavamo più organizzate e con una partecipazione maggiore. Abbiamo varie iniziative e progetti in corso, i ragazzi più bravi arrivano alle squadre nazionali, dove dobbiamo proseguire il lavoro che hanno iniziato quando avevano 10 anni».

Questo lavoro sta portando i suoi frutti?
«Il lavoro iniziato con Futur Fisi sta dando i suoi primi risultati. Si vede quello che abbiamo a livello agonistico, c’è un gruppo di ragazzi che si sta animando, trovando entusiasmo anche grazie ai risultati, che poi sono quelli che fanno pendere l’ago della bilancia. Abbiamo dei ragazzi che in futuro possono diventare veramente forti, non sono tanti, ma attraverso loro, altri capiscono di poter alzare la propria asticella, che non è impossibile arrivare ad alti livelli. Un’atleta come Anna Comarella è un esempio per gli altri, perché è sempre lì con le primissime e fa capire alle compagne che possono starci anche loro».

In questa stagione sono arrivati ottimi risultati dal settore giovanile.
«Siamo soddisfatti, perché i risultati aiutano, fanno capire che c’è un movimento e funziona anche bene. Sa perché sono particolarmente felice? Come ho detto ai ragazzi e agli allenatori, mi è piaciuto tantissimo vedere la determinazione e l’entusiasmo degli atleti che hanno partecipato ai Mondiali Giovanili, in particolare gli junior. Il loro atteggiamento è stato un esempio per tutti, sia per coloro che non sono venuti sia per i più grandi che a volte, quando passano di categoria, faticano a mantenere questo entusiasmo. Il mio augurio è che questi junior, ora che saliranno di categoria, possano coinvolgere e trascinare anche coloro che già sono senior, proprio per l’approccio alla disciplina, la disponibilità al sacrificio e alla fatica, la determinazione in gara, la capacità di ascoltare chi li gestisce, dall’allenatore agli skiman e i fisioterapisti. La disponibilità di questi ragazzi mi ha fatto emozionare per tutto l’inverno, perché significa che c’è qualcosa sui cui lavorare in futuro».

Quindi smentisce la frase: “i giovani d’oggi non vogliono più far fatica”.
«Dipende da che punto di vista la si guarda. Secondo me i ragazzi che scelgono il fondo, lo fanno perché amano convivere con la fatica, altrimenti non lo farebbero. La disponibilità nel fare fatica in allenamento ce l’hanno tutti, ma a far la differenza è la capacità di essere professionale a trecentosessanta gradi, rinunciare a certe cose al di fuori dell’allenamento. Bisogna avere il focus sull’obiettivo 24 ore al giorno e tutti i giorni, ci vuole costanza e coerenza, cose che servono moltissimo. Molti atleti li vedo morire di fatica in allenamento e in gara, ma magari, quando finiscono, sono un po’ troppo distratti. Gli junior che ho visto ai Mondiali, invece, sono un piccolo esempio positivo».

Cosa hai provato quando le ragazze della staffetta junior hanno vinto l’argento ai Mondiali?
«Nella mia carriera ho avuto la fortuna di aver allenato tanti campioni con cui ho vinto medaglie olimpiche. Ricordo con particolare piacere i successi ottenuti con Pietro Piller Cottrer nelle distance. Vedere queste ragazzine è stato diverso, vivevano tutto in maniera spontanea. Non se l’aspettavano nemmeno loro. Per esempio Martina Bellini, che ha fatto benissimo al lancio, è rimasta lì tutto il tempo e vedevo che non riusciva a stare ferma. Così anche le sue compagne di squadra, ma pure lo staff, gli skiman e i ragazzi delle altre specialità, erano tutti lì in trepidazione e poi a fare festa per loro. Nel momento in cui sono rientrato dal punto dove ho seguito la gara, non vi nascondo che mi sono emozionato e chi mi conosceva ha visto i miei occhi lucidi. Quella medaglia è stata un piccolo coronamento di tante cose, soprattutto dei tanti sacrifici che abbiamo fatto. È una delle tre-quattro cose che più mi hanno emozionato nella mia carriera da allenatore».

Nella sua carriera ha allenato e incontrato tanti atleti; c’è stato qualcuno per cui ha previsto subito un grande futuro e, invece, un atleta che l’ha sorpresa in positivo?
«Ho avuto la fortuna di allenare tanti atleti che erano già campioni, perché è facile prevedere un grande futuro per i vari Di Centa, Piller Cottrer e Zorzi. Recentemente, però, proprio nell’ultimo anno in cui ho allenato la squadra di Coppa del Mondo nel 2010, ebbi la fortuna di vedere Federico Pellegrino. Era stato convocato per Holmenkollen, io non lo conoscevo di persona, anche se me ne avevano parlato bene. Non appena l’ho visto allenarsi e gareggiare per la prima volta, l’ho subito chiamato in camera e gli ho detto che avevo visto tanti campioni nella mia vita e lui aveva dei numeri che mi avevano lasciato a bocca aperta. Con lui siamo rimasti molto amici, gli ho anche dato una mano nella gestione dei rapporti con i suoi primi sponsor. Per quanto riguarda un atleta che mi ha sorpreso, scelgo una donna, Magda Genuin. L’ho allenata e all’inizio pensavo fosse soltanto una discreta atleta. Ha invece avuto la capacità di sorprendermi, raccogliendo tantissimo e lavorando sempre molto seriamente».

Cosa dice ai ragazzi che hanno appena concluso la loro avventura da junior e si stanno affacciando alla categoria senior?
«Al termine della stagione ho innanzitutto fatto i complimenti ai ragazzi e agli allenatori. Per quanto riguarda il passaggio a senior, ho chiesto loro soltanto di non cambiare, mantenere questo atteggiamento grintoso e determinato, la voglia di far gruppo anche da senior o quando diventerà il loro lavoro, perché a volte quando ciò accade, i ragazzi fanno un po’ di fatica, è un momento non sempre facile da gestire, si sentono responsabilizzati, hanno uno stipendio, sono dei dipendenti, sono più legati al risultato. Devono restare affamati come lo sono oggi, disponibili ad ascoltare chi li aiuta, non pensare di avere soluzioni per tutto. Gli auguro di restare così: genuini e sinceri come sempre».
Ti dispiace per quei ragazzi che non ce la fanno a entrare in un gruppo sportivo e sono costretti a smettere?
«Purtroppo, rispetto al passato, meno ragazzi riescono a entrare nei gruppi sportivi, quindi io invito tutti a prepararsi sempre un piano B, avere un’alternativa allo sci diventa fondamentale. Quando non ce la fanno, mi dispiace sul piano umano, soprattutto se hanno altre qualità oltre a quelle agonistiche e ci hanno messo l’anima. Purtroppo, però, è sempre stato così, lo sport è legato al risultato, quello che rispecchia il valore di un atleta, non ci sono vantaggi dati da amicizie. Da una parte dico a questi ragazzi che mi dispiace, ma dall’altra li invito ad accettarlo, perché avviene in ogni nazione. Anche questo è un modo per diventare grandi».

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