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Biathlon

Braunhofer, la determinazione di chi ha il biathlon nel sangue: “Ho ancora tanta strada da fare”

Si è comportato molto bene ai recenti Mondiali Giovanili, pur avendoli affrontati non nelle migliori condizioni fisiche, per poi andare successivamente a vincere i titoli italiani sprint e inseguimento nei Campionati Italiani Giovani. Risultati che non sorprendono, perché arrivano da Patrick Braunhofer, un giovane con il biathlon nel sangue. Mamma trentina e maestra di sci, papà altoatesino ed ex biatleta, nato a Cavalese, ma residente in Val Ridanna, non è certo un caso che, a diciannove anni ancora da compiere, sia un atleta così promettente. All’interno del nostro viaggio tra i giovani talenti del biathlon italiano, è arrivato il momento di conoscerlo attraverso questa intervista.

Ciao Patrick. Sei reduce dal Mondiale Giovanile di Brezno, nel quale hai ottenuto dei buoni risultati, come già fatto anche alle Olimpiadi Giovanili del 2016 a Lillehammer. Quali impressioni hai avuto da questo nuovo confronto internazionale?
«È stato duro, perché abbiamo trovato tanti giovani avversari con grandi qualità, anche se questo l’avevamo già capito alle Olimpiadi Giovanili. Devo ammettere, però, che nessuno si sarebbe immaginato che noi italiani saremmo andati così bene come abbiamo fatto».

Anche tu sei stato protagonista di un buon Mondiale.
«Si, soprattutto considerando il fatto che sono arrivato a questo evento dopo due settimane in cui sono stato male. Ho fatto il massimo che potevo nelle condizioni in cui stavo, non ero molto brillante. Sono andato abbastanza bene al tiro, mentre sugli sci sono stato al di sotto delle mie possibilità, in quanto so di poter andare molto più forte. Per questo sono contento per i risultati ottenuti in Slovacchia».

In effetti, già ai Campionati Italiani hai vinto sprint e inseguimento.

«Già, purtroppo ho ritrovato la mia miglior condizione una volta terminati i Mondiali. Non a caso, prima di vincere le due gare agli Italiani, mi sono imposto anche in Alpen Cup in Austria».

Questi risultati ti danno maggiori motivazioni per il futuro?
«Certo, perché abbiamo ottenuto degli ottimi risultati e nella prossima stagione avremo come punto di riferimento il metodo di lavoro utilizzato quest’anno. Imparerò anche dagli errori commessi, perché, per esempio, avrei dovuto probabilmente aspettare prima di tornare ad allenarmi, quando mi sono influenzato alla vigilia dei Mondiali. In quella maniera, invece, ho solo peggiorato le cose. Al prossimo Mondiale, come in tutte le altre gare, cercherò di dare ancora il meglio di me, fare il mio dovere al massimo sia al poligono sia sugli sci stretti. Poi il lavoro mi farà migliorare. Devo ammettere, comunque, che in Slovacchia non ce l’avrei fatta ad andare a medaglia, anche se non avessi avuto alcun problema fisico, perché Cedric ha fatto veramente bene, si è guadagnato quella medaglia con tanto lavoro. Sono contento per lui».

Il Mondiale Giovanile ha dimostrato che in Italia ci sono tanti giovani atleti di talento.
«Come ci hanno detto gli allenatori, è stato il Mondiale Giovanile più vincente di sempre per l’Italia. Già entrare nei primi dieci sarebbe stato un ottimo risultato, invece alcuni di noi sono anche andati a medaglia. Le ragazze hanno fatto qualcosa in più, ma anche noi maschi ci siamo ben difesi».

Torniamo indietro nel tempo: com’è nata la tua passione per il biathlon?
«Ce l’avevo nel sangue, perché sono nato in Trentino (a Cavalese ndr) da mamma trentina e papà altoatesino. Mamma è anche maestra di sci e mi ha portato a sciare quando avevo appena due anni. Mio padre è stato biatleta e insieme mi hanno allenato fin da piccolo, così le piste della Val Ridanna sono diventate la mia seconda casa».

Cosa ti piace del biathlon?
«L’imprevedibilità, perché fino alla fine è tutto possibile. Nel fondo, per esempio, se sei avanti di un minuto a pochi chilometri dalla fine, hai già vinto, a meno che non accada un cataclisma. Nel biathlon, invece, non puoi mai abbassare la guardia, perché fino all’ultimo colpo può cambiare tutto. Devi essere concentrato fino alla fine».  

I tuoi genitori ti danno ancora molti consigli?
«In realtà continuano a dirmi di divertirmi, di provare piacere da quello che faccio anche durante gli allenamenti, perché dovrò allenarmi sempre molto per arrivare al livello che sogno. Sono fortunato, perché sono riuscito a trasformare il mio hobby in un lavoro e non tanta gente ha questa opportunità».

L’arruolamento nel Centro Sportivo Carabinieri è stato sicuramente importantissimo.
«Si, il 15 dicembre 2015, quando sono entrato, è cambiato tutto. L’arruolamento mi ha dato la certezza di un lavoro, il piacere di poter praticare il biathlon e giocarmi le mie possibilità senza preoccupazioni. Ora sono più tranquillo e posso concentrarmi solo su quello che devo fare sugli sci e al poligono».

Hai un biatleta che stimi particolarmente?
«Ti dico la verità, quando ero piccolo il mio idolo era Bjoerndalen. Poi sono arrivati tanti altri atleti che mi piacciono, come Fourcade, ovviamente, ma anche Hofer e Windisch, in grado pure di vincere in Coppa del Mondo. Mi piace studiarmi gli atleti di Coppa del Mondo, vedere come vanno anno dopo anno, scoprire dei gesti nuovi».

A proposito hai modo di parlare con gli atleti azzurri della Coppa del Mondo?

«Si, in particolare con Luki (Hofer ndr), perché è nei Carabinieri come me. Ci ritroviamo spesso e parliamo molto, così come con Dominik (Windisch ndr)».

Quale ritieni sia il tuo punto forte e dove credi di dover crescere?
«Il mio punto di forza è la grinta e la voglia di lavorare. Se voglio diventare forte in ambito internazionale e arrivare un giorno in Coppa del Mondo, devo sicuramente migliorare sugli sci, ma anche crescere al tiro. Ho ancora tanta strada da fare».

Qual è il tuo sogno nel cassetto?

«Sicuramente partecipare alle Olimpiadi. So che non è facile, perché dovrò lavorare moltissimo per realizzarlo. I prossimi passi saranno la squadra B, poi quella A e quindi chissà. Una cosa è certa: io sono felice, perché per lavoro faccio lo sport che mi piace»

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