Il sindaco di Roma, Virginia Raggi, ha tutto il diritto di chiedere al Consiglio comunale di revocare la decisione, adottata dal suo predecessore Ignazio Marino, di appoggiare la candidatura della capitale per ospitare le Olimpiadi. Il sindaco però ha anche dei doveri, in particolare due: uno riguardante l’onore – e di conseguenza l’onestà – l’altro solo apparentemente la buona educazione.
Cominciamo dal primo. L’avv. Raggi in campagna elettorale si è impegnata a lasciare la decisione sulle Olimpiadi ai cittadini di Roma, attraverso un referendum. Che non si è fatto. Perché non c’era tempo, è stata una delle giustificazioni. Ma le date si conoscevano anche in campagna elettorale; non sono mai cambiate. Allora mentiva quando parlava di referendum? Azzardava promesse temerarie solo per catturare voti? Si è anche detto che il referendum sarebbe stata una spesa inutile, perché lo stesso ballottaggio era stato trasformato da Giachetti, il candidato di Renzi, in un sì o no alle Olimpiadi.
Chi si avventura nella tesi del ballottaggio manifesta una conclamata sindrome di Tafazzi, giacché certifica a posteriori che tra i due candidati la differenza riguardava soltanto le Olimpiadi, sconfessando attivisti e simpatizzanti del M5S, orgogliosi della propria diversità rispetto ai partiti.
Attivisti e simpatizzanti che gridavano “Onestà! Onestà!” dopo la vittoria dell’avv. Raggi. Onestà e onore hanno la stessa radice semantica, anzi l’onesta è condizione necessaria, ancorché non sufficiente, dell’onore. Non onorare un impegno assunto in campagna elettorale fa a pugni con l’onestà. A meno che non ci si voglia uniformare al comune sentire della politica tradizionale, per cui le promesse elettorali hanno un valore puramente attrattivo per elettori sempliciotti, come il vischio per i tordi.
Il secondo dovere del sindaco. Ha dato un appuntamento al presidente del Coni, poi non si è presentata. Ebbene, Giovanni Malagò le starà antipatico, sarà pure un rappresentante del peggior generone romano, avrà magari fatto qualche sgarbo alla stessa Raggi, al suo ex marito, e anche a qualche intimo. Non possiamo saperlo, ma anche se così fosse si tratta pur sempre del presidente del Coni, regolarmente e democraticamente eletto. Piaccia o no, rappresenta milioni di sportivi italiani. Malagò dopo aver fatto una buona mezz’ora di anticamera al Campidoglio insieme con Luca Pancalli, presidente del Comitato paralimpico italiano, ha tolto il disturbo. Raggi si è scusata adducendo il prolungarsi di un impegno istituzionale. Già, si mangiava un minestrone. Un sano piatto della miglior tradizione culinaria, ma definirlo “impegno istituzionale” significa avere le idee un po’ confuse in fatto di Diritto pubblico.
E’ vero che le Olimpiadi hanno letteralmente messo in ginocchio capitali come Atene, ma altre città come Barcellona hanno iniziato la propria rinascita proprio grazie ai Giochi. E’ vero che Londra si è indebitata, ma non si deve dimenticare che la gentrification di parecchi quartieri è stata possibile grazie agli interventi programmati per le Olimpiadi. Anche Torino, con le Olimpiadi invernali 2006, ha potuto rilanciarsi a livello internazionale.
Malagò, per quanto risulti indigesto alla Raggi e anche a Grillo, è pur sempre un imprenditore di successo: sa fare i conti, sa dove e come trattare gli sponsor, come coinvolgere altri investitori. Ascoltarlo significava ampliare la propria consapevolezza, avere più elementi di giudizio e soprattutto riconoscere l’impegno degli sportivi italiani. La decisione finale sarebbe comunque rimasta una prerogativa democratica di sindaco e Consiglio. Avergli “dato buca” al Coni, palesa pessima educazione, misera sensibilità istituzionale e trasforma una prerogativa democratica in borioso pregiudizio.
p.s. Val la pena ricordare che pochi giorni dopo Malagò – da autentico sportivo – ha accolto Raggi al Coni con un baciamano: la classe non si improvvisa.
L’OPINIONE – Su Roma 2024 serviva un po’ di buonsenso olimpico
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