Nessuno ha vinto tante medaglie in un’unica specialità in sei edizioni dei Giochi Olimpici: due ori, un argento e tre bronzi. A queste vanno aggiunti anche sei ori, cinque argenti e cinque bronzi ai Mondiali, quattro ori, sei argenti e otto bronzi agli europei, oltre alla bellezza di dieci successi nella classifica generale della Coppa del Mondo. Parliamo ovviamente di Armin Zöggeler, la leggenda dello slittino italiano, oggi direttore tecnico della nazionale, che ci ha cordialmente concesso la seguente intervista.
Buongiorno Zöggeler, come ci si sente a essere uno dei grandi simboli dello sport italiano anche dopo il ritiro?
«Mi fa molto piacere, perché sono orgoglioso se la gente mi vede come un simbolo o una leggenda, è una cosa di cui vado fiero. Io però ho fatto soltanto il mio mestiere e molto volentieri, perché ho avuto la fortuna di poter trasformare il mio hobby nel mio lavoro. Non è stato faticoso per me allenarmi cinque ore al giorno, passare tanto tempo a fare pesi, perché mi è sempre piaciuto lo slittino, sin da bambino».
Lo slittino è uno sport molto particolare, nel quale la differenza la fanno i particolari.
«Sicuramente fa la differenza soprattutto la testa, perché devi avere un carattere forte per ottenere degli ottimi risultati. Ci sono tantissimi atleti, soprattutto nello slittino, che hanno grandi capacità, ma la competizione è sempre diversa dall’allenamento e per ottenere un ottimo risultato, devi riuscire a concentrarti bene. Nel nostro sport contano i millesimi, quindi è fondamentale la concentrazione per riuscire a portare in gara quanto di buono fatto in allenamento».
Qual era l’ultimo pensiero che aveva prima di partire?
«Ripassavo la pista a memoria, conoscevo ogni curva e ogni movimento che avrei dovuto compiere. Questo lavoro per un pilota è fondamentale. Al via ti concentri alla perfezione per ripetere quanto fatto in allenamento, ricordare su quali curve puoi rischiare di più e dove invece fare più attenzione per raggiungere alla fine un buonissimo tempo».
Quanto conta il materiale nel vostro sport?
«È fondamentale, bisogna lavorare molto su di esso, fare sempre ricerche e sperimentazioni. Non si deve mai stare fermi, avere sempre gli occhi aperti e osservare anche gli avversari per scoprire se hanno cose nuove e prendere anche spunto da loro per migliorarsi».
Torniamo indietro nel tempo: come le è nata la passione per questo sport?
«Lo slittino viene considerato una disciplina minore, non è famoso come lo sci alpino, ma molti bambini iniziano con la slitta perché è molto divertente. Lo stesso ho fatto io, mi è nata presto la passione e ho continuato a praticare questa disciplina soprattutto per gioco. Ho iniziato sulla pista naturale, poi attorno ai 14 anni, su consiglio dei miei allenatori, sono passato a quella artificiale, nella quale secondo loro avrei potuto fare una grande carriera. Inoltre, essendo una disciplina olimpica, a differenza dello slittino su pista naturale, avrei avuto più possibilità di finire all’interno di un Gruppo Sportivo».
Quando ha capito che avrebbe potuto fare una bella carriera in questo sport?
«I miei allenatori mi hanno sempre detto che avevo coraggio, talento e un grande fisico. Insomma secondo loro avevo i mezzi per diventare un campione. Non ogni atleta di talento lo diventa, perché la differenza la fa poi la testa, la capacità di riuscire a rimanere sempre con i piedi per terra e fare un passo avanti alla volta, senza però mai tornare indietro. Quando ho vinto le mie prime gare su pista artificiale, ho capito che potevo trasformare la mia passione nel mio lavoro, così mi sono allenato sempre con più insistenza e fatto tanti sacrifici».
Ha esordito in Coppa del Mondo quando non era ancora diciottenne e appena un anno dopo ha vinto la sua prima medaglia olimpica, il bronzo di Lillehammer.
«È stato un risultato che mi ha sorpreso, perché è arrivato molto presto. Nella stagione 1993/94 partecipavo ancora alle gare juniores, che alternavo alla Coppa del Mondo con la squadra A. Il mio obiettivo era quello di vincere il Mondiale Juniores, ma a dicembre ero riuscito già a ottenere il pass anche per i Giochi Olimpici. A gennaio vinsi il Mondiale, ottenni così il mio obiettivo e a Lillehammer arrivai con grande tranquillità, senza sentire pressione, perché non c’erano grandi aspettative, ogni risultato ottenuto sarebbe stato qualcosa in più. Alle Olimpiadi scoprii un mondo molto diverso, mi colpì soprattutto l’attenzione dei media per il nostro sport rispetto alla Coppa del Mondo. Dai giornalisti ai tifosi, per me era tutto molto nuovo, ma non mi deconcentrai, feci delle ottime discese e ottenni un fantastico terzo posto. Mai mi sarei aspettato di salire sul podio a quell’età».
Il 15 gennaio 1995 a Oberhof ha vinto la sua prima gara di Coppa del Mondo. Si sarebbe mai aspettato di vincere altre 56 gare e soprattutto dieci volte la classifica generale?
«Non avrei mai creduto di vincere tanto. Quando, dopo le olimpiadi norvegesi, ho vinto la prima gara in Coppa del Mondo, ho capito che potevo vincere anche di più, ma mai potevo immaginare di arrivare dieci volte primo nella classifica generale. Quello è stato un risultato incredibile, perché per riuscirci devi essere sempre molto costante mentalmente e fisicamente, ma soprattutto non subire mai infortuni».
Nello slittino è stato considerato un punto di riferimento anche dai suoi ex avversari?
«Si, al punto che molti avversari hanno cercato di copiare il mio stile di guida. I tedeschi, per esempio, mi hanno studiato in modo molto approfondito, filmandomi e fotografandomi durante le discese in gara e anche in allenamento, perché per loro ero un esempio».
Nel 2002, dopo aver già vinto tre volte la Coppa del Mondo di specialità, ha ottenuto anche il suo primo oro olimpico a Salt Lake City. È stato emozionante?
«È stato sicuramente un successo enorme, perché ho realizzato il sogno di una vita. Nel momento in cui mi sono accorto di aver vinto, quasi non ci credevo, perché avevo battuto degli avversari fortissimi, come il tedesco Hackl e l’austriaco Prock».
Quattro anni dopo è arrivato da favorito alle Olimpiadi di Torino, nelle quali era uno degli uomini più attesi e di conseguenza aveva tanta pressione addosso. Può descriverci le emozioni vissute in quei giorni?
«Tutti si aspettavano che avrei vinto l’oro a Torino, ma per me non fu assolutamente semplice, soprattutto la marcia di avvicinamento ai Giochi, perché avevo tanta pressione addosso durante tutto il periodo di preparazione. Uno immagina che disputare un’Olimpiade in casa sia un vantaggio, ma quando ci si arriva da favorito non è così, perché c’è il peso delle aspettative. In quei giorni ho cercato di concentrarmi bene, fare il mio lavoro e non guardare alle altre cose, tanto che ho anche rilasciato poche interviste, limitandomi soltanto a quelle obbligatorie. Quando è arrivata la gara sono riuscito a concentrarmi molto bene, a fare delle discese costanti e perfette, ho scelto il materiale giusto e ho avuto anche un buon team vicino a me. Quando ho tagliato il traguardo e ho scoperto di aver vinto, mi sono tolto un peso enorme ed è stato bellissimo vincere in casa davanti a al nostro pubblico, ricevere la medaglia olimpica in Italia. È stata una cosa indimenticabile, che mi rimarrà dentro per tutta la vita».
Sulla pista di Cesana, oltre all’oro olimpico, ha vinto tutte le altre gare che ha disputato. Cosa aveva di speciale quella pista per lei?
«Mi ci sono trovato bene da subito, sentendomi come se fossi a casa mia. Ma non era solo la pista a essere splendida, anche all’hotel dove alloggiavamo, il Grand Hotel Sestriere, sono stato accolto con grande ospitalità, sentendomi quasi a casa. Tornando alla pista, mi ci sono trovato subito a meraviglia, perché era molto difficile tecnicamente, ma allo stesso tempo veloce e bellissima».
Le dispiace che la pista di Cesana oggi sia stata abbandonata?
«Si, mi fa molto male sapere che la pista oggi non è più attiva. È un vero peccato non essere riusciti a tenerla aperta, non tanto per me, perché tanto ormai ho smesso, ma mi dispiace soprattutto per i nostri giovani perché sono il futuro dello slittino italiano e non potranno allenarsi su questo splendido impianto. Mi fa molto male al cuore vedere che una pista così bella sia inutilizzata».
Nel 2014 ha chiuso la sua carriera conquistando il bronzo alle Olimpiadi di Sochi a quarant’anni di età. Quanto vale per lei quella medaglia?
«Come un oro, perché nel 2014 avevo una certa età e ho capito quanto è difficile ottenere un risultato del genere contro avversari molto più giovani di me, che stavano meglio fisicamente. Ci sono riuscito grazie alla mia esperienza, dopo essermi preparato al meglio fisicamente e mentalmente».
Quale strada ha scelto dopo il ritiro?
«Sono rimasto all’interno del Gruppo Sportivo Carabinieri e sono distaccato per fare il direttore tecnico dello slittino sia su pista artificiale che naturale per la FISI».
A proposito, qual è oggi lo stato di salute dello slittino italiano?
«Buono. Il nostro obiettivo è quello di far crescere i giovani e avvicinarli al podio. Adesso abbiamo una squadra giovane e in crescita. Sono convinto che ci siano tanti atleti di qualità e che in futuro potremo festeggiare molte vittorie, perché abbiamo due-tre ragazzi in squadra che sono fortissimi. Un futuro molto prossimo, perché Dominik Fischnaller, per esempio, ha grandissime potenzialità, molta grinta e talento, anche se deve trovare una maggiore continuità durante la discesa per diventare una presenza fissa sul podio e vincere molte gare. La sua ultima stagione è stata come le montagne russe, con tanti alti e bassi. Noi dovremo essere bravi a stabilizzarlo».
Arrivati alla fine, può svelarci quale ritiene sia stato il momento più bello della sua carriera e se c’è qualcuno che vuole ringraziare?
«Dico sempre così: tutte le vittorie che ho fatto sono state belle, tutte le medaglie olimpiche, ma quella di Torino 2006 è indimenticabile. Per quello che ho avuto dalla mia carriera, ho tante persone da ringraziare, a cominciare dai miei genitori e gli allenatori che mi hanno seguito all’inizio capendo che dovevo passare dallo slittino su pista naturale a quello su pista artificiale. Poi il mio staff, che ho avuto attorno durante le gare, e soprattutto mia moglie, che mi ha sempre sostenuto. Durante la carriera sono diventato due volte papà e lei non mi ha mai fatto pesare nulla, mentre io ero fuori per le gare o gli allenamenti, si è sempre presa cura dei nostri figli, lasciandomi tranquillo. È una donna incredibile».
Fondoitalia incontra Armin Zöggeler: “Non avrei mai immaginato di vincere tanto”
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