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Sci di fondo

De Fabiani rivive i suoi primi anni di carriera: “Non avrei mai immaginato di vincere così presto”

Ha appena 23 anni, già un successo in Coppa del Mondo ed è considerato insieme a Federico Pellegrino uno dei due fari della nazionale italiana di sci di fondo. Francesco De Fabiani sembra un predestinato, perché è il miglior Under 23 del momento e in pochi atleti italiani in passato hanno ottenuto dei risultati del genere già alla sua età. L’abbiamo incontrato e ne è uscita fuori una lunga intervista, che per comodità abbiamo diviso in due parti. Vi pubblichiamo oggi la prima, nella quale De Fabiani ha raccontato i suoi primi anni di carriera.  
Ciao Francesco: come hai raccontato sul tuo sito ufficiale (www.francescodefabiani.it), hai iniziato con lo sci alpino. Cosa ti spinse a passare al fondo?
«La prima volta che misi gli sci ai piedi avevo appena tre anni e facevo discesa. Continuai con questa disciplina fino all’età di 9 anni, poi quando questo sport si fece troppo agonistico decisi di cambiare. Fino a quel momento eravamo piuttosto liberi nello scendere, mentre poi iniziarono a proporci degli allenamenti diversi, dovevamo sempre sciare tra i pali, questo mi annoiava e così non andavo più volentieri. A quel punto con altri due amici di Gressoney passammo al fondo, disciplina che avevo già praticato alle elementari. A scuola, infatti, nelle ore di educazione motoria non ci tenevano chiusi in palestra, ma ci facevano fare dei corsi di nuoto e sci di fondo. Alla fine del corso c’era stata una piccola gara e io ero andato molto bene. Il fondo mi divertiva, avevo la pista davanti casa e in quel momento insieme ai miei amici lo vivevo come un gioco a differenza dello sci alpino, dove già si guardava al risultato. Era un periodo bellissimo, ricordo una volta in cui non avevamo voglia di girare in pista, nevicava moltissimo e formammo due squadre sfidandoci a inseguirci nel bosco. Primi risultati furono subito positivi, tanto che arrivai secondo alla mia prima regionale e primo a quella successiva. Nello sci alpino invece entravo solo nei cento».  
Come fu il passaggio dalle gare regionali a quelle nazionali?
«Fu un bel salto di livello, perché iniziai a confrontarmi con gente più forte e realtà molto diverse, alcuni atleti già si allenavano tanto rispetto a noi. Eppure anche il passaggio al livello nazionale andò bene, feci tre anni nella categoria “ragazzi” e al terzo vinsi il bronzo agli italiani. Due anni dopo, al mio secondo anno negli “allievi” vinsi per la prima volta i Campionati Italiani e da quel momento ho vinto ogni anno e in tutte le categorie fino alla scorsa stagione, quando sono arrivato a questa gara un po’ stanco dopo un’annata molto lunga e ho perso».  
Nel frattempo iniziasti a gareggiare anche in competizioni internazionali: trovasti maggiori difficoltà?
«Partecipai ancora da “aspirante” ai Mondiali Juniores di Otepaa, senza grandi risultati perché ancora troppo piccolo. Successivamente iniziai a gareggiare nell’OPA Cup e nonostante fossi il più giovane della categoria arrivai subito terzo in Francia e vinsi immediatamente nella gara successiva. Purtroppo quell’anno una brutta bronchite mi frenò nel periodo dei Mondiali. L’anno successivo vinsi quattro gare prima di Natale e andai ai Mondiali Juniores godendo di grande considerazione. Purtroppo non andai bene, ma mi rifeci successivamente vincendo altre due gare di OPA e salendo sul podio in altre tre occasioni».  
A quel punto arrivò il passaggio tra i senior e anche l’esordio in Coppa del Mondo.
«La stagione da junior era andata molto bene e l’anno successivo passai a quella senior nella quale il livello era più alto. Un passaggio traumatico per tutti, perché i ritmi sono molto più alti visto che ti trovi a gareggiare contro atleti che hanno anche cinque o dieci anni più di te. Le prime gare in Coppa Europa furono difficili, ma riuscii comunque a ottenere ottimi risultati ed essere il migliore degli italiani. Così mi portarono al Tour de Ski di Oberhof nel dicembre 2013».  
Come andarono le cose?
«Non proprio benissimo, perché nel prologo a tecnica libera conclusi addirittura in 97ª posizione. Purtroppo non fui fortunato, perché doveva esserci anche una 15km a tecnica classica, la mia gara preferita, ma per mancanza di neve la sostituirono con una sprint a tecnica libera. Insomma esordii con tre gare a tecnica libera, non il massimo per me. Nella 15km mass start arrivai 50° e non ero molto soddisfatto per i risultati raggiunti».  
Notasti molte differenze rispetto alla Coppa Europa?
«Mi ricordo che il ritmo degli altri era altissimo e avevo difficoltà nel mantenerlo. Io ero abituato a partire più piano, mentre loro partirono subito forte e patii moltissimo questa cosa. A parte questo anche l’ambiente era completamente diverso, perché se a livello giovanile a comporre il pubblico sono parenti e amici degli atleti, mentre in Coppa Europa non c’è proprio nessuno e si sentono soltanto le urla degli allenatori, in Coppa del Mondo c’è moltissimo pubblico, soprattutto nelle gare in Scandinavia, Germania e Val di Fiemme».  
Soltanto due mesi dopo l’esordio in Coppa del Mondo, partecipasti ai Giochi di Sochi: come riuscisti a qualificarti?
«Ricordo che quando andai a Oberhof per il Tour de Ski, guardai per la prima volta i criteri di qualificazione alle Olimpiadi di Sochi. Mi accorsi che se avessi fatto bene nella successiva gara di Coppa Europa e ai Campionati Italiani, avrei avuto una possibilità. Così tornai a gareggiare in Coppa Europa e ottenni un ottimo risultato, arrivando primo tra gli italiani e qualificandomi ai Giochi».  
Che ricordo conservi della sua prima esperienza olimpica?
«Fu un’esperienza molto strana, perché all’inizio ero un po’ spaventato. Non tanto per le gare in sé, dal momento che non avevo alcuna pressione, anche se ovviamente non volevo andare in Russia per fare vacanza, ma dimostrare di essermi meritato quel posto. Essendo molto giovane, mi preoccupava il fatto di non conoscere praticamente nessuno, tranne Greta (Laurent ndr) e Chicco (Pellegrino ndr) che conoscevo da molti anni. Temevo di sentirmi molto solo nel corso di quell’evento, invece andò tutto bene soprattutto con il gruppo. Fu proprio una bella esperienza, perché ero in forma e le gare andarono meglio del previsto, riscattando la brutta prestazione di Oberhof. Arrivai 20° nello skiatlon, 30° nella 15km e soprattutto 25° nella 50 che non avevo mai fatto in vita mia. Fu molto strano esordire in una 50km proprio alle Olimpiadi, ma quel giorno Giorgio (Di Centa ndr) non poteva gareggiare per un problema alla schiena, così c’erano due posti a disposizione e Pietro Piller Cottrer mi convinse a partecipare per mettermi alla prova, così mi decisi a farla e vedere come andava per fare esperienza. Fui fortunato, perché quel giorno la neve era veloce e ghiacciata, tanto che la gara durò meno di due ore, la più veloce di sempre. Riuscii a tenere il gruppo di testa fino all’ultimo chilometro, poi gli altri partirono a dei ritmi per me impossibili e arrivai 25°, un risultato per me bellissimo».  
Questi buoni risultati ti diedero la spinta per fare il definitivo salto di qualità?
«Si, perché nell’ultimo mese di quella stagione riuscivo a entrare nei dieci di Coppa Europa con grande facilità, tutto sembrava più semplice. Aver partecipato ai Giochi aveva cambiato qualcosa in me sia mentalmente sia fisicamente, perché mi ero abituato a dei ritmi di gara più alti. Così colsi tre podi e anche la mia prima vittoria in Coppa Europa, chiudendo in seconda posizione nella classifica generale, nonostante avessi saltato buona parte della stagione».  

L’anno successivo disputasti la tua prima stagione di Coppa del Mondo già dall’inizio cogliendo anche ottimi risultati.
«I piazzamenti ottenuti a Sochi mi assicurarono un posto nella squadra A e fu bellissimo perché mi trovai ad allenarmi con gente molto forte e cambiò tutto. Al primo weekend di gara ottenni subito un ottimo 13° posto nella 15km tecnica classica di Ruka. Un piazzamento inatteso, perché alla viglia della stagione puntavo a entrare nei trenta in almeno tre occasioni per mantenere il posto in squadra A, ma quando arrivai 13° naturalmente cambiai obiettivo, puntando a entrare ancora nei 15. Missione compiuta subito, così mi posi un nuovo obiettivo, quello di entrare nei dieci e arrivai due volte settimo nel Tour de Ski. A quel punto decisi di alzare ancora l’asticella puntando a entrare nei cinque».     
Invece di un piazzamento nei cinque arrivò addirittura la vittoria di Lahti: avresti mai immaginato di ottenere il successo così presto?
«Non ci avrei scommesso un centesimo su una mia vittoria quell’anno, perché immaginavo di vincere più in là, anche dopo essere arrivato più volte nei primi dieci. Quella di Lahti fu la prima gara dopo i Mondiali Falun, dove non andai benissimo. Infatti in Svezia arrivai fuori forma e raggiunsi lentamente la condizione migliore nel corso della competizione, così nella 50km mi trovai nelle prime posizioni, ma a 4 chilometri dal traguardo andai in crisi di fame, perché non mi ero nutrito bene nel corso della gara, si chiusero le serrande e arrivai addirittura 32°. Ero molto deluso con me stesso perché sentivo di aver perso una grande occasione. Così la settimana dopo avevo puntato la 15km a tecnica classica per riscattarmi, perché sapevo che la mia condizione era in crescita, mentre altri atleti erano in calo fisiologico dopo il Mondiale. Fu una gara molto strana, perché era a cronometro e io scesi in pista con il numero 22, quindi il primo del gruppo rosso dei migliori trenta. All’arrivo ero primo e sapevo di aver fatto una buona gara, ma ero consapevole del fatto che dietro di me c’erano grandi atleti. Pensavo che di lì a poco qualcuno mi avrebbe superato, così mi stavo godendo per la prima volta lo stare seduto lì sulla poltroncina di chi è momentaneamente primo in classifica. Quando lentamente vedevo gli altri atleti finirmi dietro, cominciavo a sperare nel podio, poi mi era finito dietro anche Sundby e a quel punto il sogno poteva diventare realtà. Alla fine vinsi e fu un’emozione particolare, perché l’assaporai lentamente e non tutta in un attimo come accade in una sprint o in una mass start. Forse fu anche meglio così. Per quel successo ringrazio ancora Lukas Bauer, perché quel giorno ci incrociammo lungo il percorso e così feci due giri in sua compagnia, sfruttandolo un po’ come traino. Mi aiutò forse ad andare anche oltre certi limiti, cosa che a volte non faccio perché ho paura di tenere un ritmo troppo altro e crollare nel finale. A fine gara gli strinsi la mano ringraziandolo, ma lui non si prese meriti, disse che quel giorno vinsi soltanto grazie alle mie gambe».  
Quel risultato ha fatto crescere le tue aspettative?
«Si, non soltanto le mie, ma quelle di tutti, perché grazie al successo di Lahti vinsi anche la classifica come miglior Under 23 della Coppa del Mondo, battendo grandi campioni come Ustjugov e Niskanen, una cosa che mai avrei immaginato alla vigilia».
Soddisfatto dell’ultima stagione?
«Anche quest’anno ho vinto la classifica di miglior Under 23, anche se è stato più facile perché gli altri due non fanno più parte di questa categoria e Fossli facendo solo le sprint è penalizzato. È stata una bella stagione, mi sono confermato, anche se sono rimasto deluso dal Ski Tour del Canada di fine stagione, che mi è costato un posto tra i primi dieci della classifica generale».

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