Sono passati già dieci anni dalle emozioni delle Olimpiadi di Torino del 2006, che hanno lasciato un segno indelebile nella regione Piemonte, facendo crescere ulteriormente la passione per gli sport invernali, che era già forte nella popolazione piemontese. Dal 2008 a dirigere il Comitato Alpi Occidentali della FISI, quello piemontese, è un torinese doc, il sessantunenne ingegnere Pietro Marocco. Un uomo dalle idee molto chiare sulla situazione attuale degli sport invernali in Piemonte, sui suoi pregi e i difetti, ma soprattutto su come migliorare le cose. Ecco quanto ha dichiarato a Fondoitalia.
Buongiorno Pietro Marocco: può farci un bilancio dell’ultima stagione per il Comitato Alpi Occidentali?
«Se guardiamo esclusivamente ai risultati, possiamo soltanto essere soddisfatti. Aver portato molti ragazzi nelle squadre nazionali, confermato il primo posto nazionale nella categoria “ragazzi” e il terzo in quella generale, non può far altro che renderci felici e soddisfatti per il lavoro fatto sia dai singoli sci club, sia dalle squadre e gli allenatori del comitato. Va poi considerato che per noi la passata stagione è iniziata in modo complicato a causa dell’assenza della neve e si è conclusa in modo brillante. Un merito ulteriore».
La quasi totale assenza di neve per buona parte dell’inverno è stata quindi una difficoltà in più.
«Abbiamo avuto tante difficoltà, perché purtroppo la mancanza di neve ha fatto si che si potesse sciare solo sul ghiacciaio. Per i nostri ragazzi il fatto di non potersi allenare nelle piste vicino a casa ha creato molti problemi, perché hanno dovuto raggiungere altri luoghi per allenarsi lontano dal Piemonte e questo ha avuto un pesante impatto economico non soltanto sul Comitato, ma anche sulle famiglie degli atleti. In alcune circostanze poi siamo arrivati alle gare con scarsi allenamenti».
E per quanto riguarda le stazioni sciistiche?
«In certe zone, purtroppo, alcune stazioni sono state costrette a restare chiuse fin dopo le festività natalizie. Questo è stato un grande problema, perché solitamente il 25-30% del bilancio di un’intera stagione si incassa entro i primi 15 di gennaio. Di conseguenza se una stazione resta chiusa fino a metà gennaio, il risultato è negativo soprattutto per i comprensori senza grande offerta alberghiera, che vivono con gli appassionati che sono di passaggio e fanno gli abbonamenti giornalieri o al massimo i fine settimana. Bene o male coloro che hanno tanta possibilità alberghiera, alla fine hanno salvato la stagione grazie alla settimana bianca».
A parte i problemi esterni dovuti all’assenza di neve, com’è la situazione degli impianti in Piemonte?
«Direi eccellente, anche perché per le Olimpiadi del 2006 molte stazioni invernali sono state rimodernate e gli impianti resi funzionali alle caratteristiche del mercato presente. Inoltre gli impianti di innevamento coprono un’altissima percentuale delle piste, anche se lo scorso anno le temperature alte non ci hanno concesso di innevare come avremmo voluto. Per fortuna la “Legge 2” della Regione Piemonte, finanzia le opere per la messa in sicurezza delle piste e grazie a essa anche le piccole stazioni stanno rifacendo i propri impianti. Un altro vantaggio è rappresentato dall’abolizione della vita tecnica degli impianti, che in passato costringeva i proprietari a chiuderli dopo un determinato numero di anni e ricostruirli daccapo. Oggi invece è consentito riammodernarli e metterli in sicurezza, una cosa che permette così ai gestori di risparmiare moltissimo. Certo, va detto che rispetto alle regioni del nostro paese che sono a statuto speciale, a noi vengono convogliati meno investimenti ed è un peccato, perché in Piemonte non c’è un altro sport che abbia un impatto occupazionale così alto. Per ogni addetto a una stazione invernale, ci sono altre dodici persone che lavorano grazie a essa come maestro di sci, albergatore o in altre attività».
Insomma vorreste qualche aiuto in più?
«Si, perché in questo ambiente c’è una competitività selettiva altissima. Per quanto ci riguarda la situazione è migliorata grazie all’onda positiva delle Olimpiadi, ma la sfida è sempre più forte, così non bisogna fermarsi per tenere il passo degli altri. Per esempio pochi giorni fa abbiamo riaperto il “pistino” di spinta del complesso olimpico di Cesana dedicato a bob, slittino e skeleton, una cosa decisa velocemente e non pubblicizzata come avrebbe meritato. La pista olimpica invece è ancora chiusa e questa è una ferita aperta, perché è una cattedrale nel deserto. Per quanto riguarda i trampolini olimpici di Pragelato, abbiamo affidato al Comune di Pragelato la loro gestione. Al momento è funzionante quello da 60 metri e l’idea è di creare un movimento portando i ragazzi a saltare con un’attività di insegnamento. L’obiettivo è quello di far crescere l’interesse per questo sport e solo dopo riaprire gli altri trampolini, perché quando erano aperti l’afflusso di pubblico non era all’altezza delle altre gare europee. Sarebbe inutile aprirli per un progetto fine a se stesso, prima dobbiamo ricreare un movimento, perché i costi di gestione per un impianto del genere sono molto elevati e oggi non si riuscirebbe a corprirli con la sua messa in funzione».
Da poco anche lo Skiroll è entrato nella FISI e il Piemonte è molto competitivo in questa disciplina: è soddisfatto?
«Era un’anomalia che questa disciplina in Italia non fosse contemplata negli sport invernali, dal momento che era già nella FIS. Era imbarazzante che l’Italia non partecipasse alle gare internazionali sotto la FISI, ma ma sotto la federazione del pattinaggio. I nostri ragazzi del fondo hanno sempre praticato questa disciplina, per loro è un ottimo allenamento. Noi del Piemonte siamo fortissimi grazie ai fratelli Becchis e siamo certi che questo sport ci regalerà grandi soddisfazioni e ci farà crescere come comitato».
Le difficoltà economiche a livello mondiale stanno avendo un impatto negativo sulla vostra attività? Come pensate di risolvere questi problemi?
«Facciamo molta fatica perché, come ho già detto in precedenza, la nostra regione non prevede per gli sport invernali delle risorse specifiche, dei contributi particolari, come fanno invece le regioni a statuto speciale. Lo stesso discorso vale per i costi degli impianti di risalita, perché da noi l’abbonamento non è regionale, come accade dalle altre parti, così le famiglie che comprano gli abbonamenti in una determinata stazione invernale, sono costrette a comprare i giornalieri se vanno a fare gare in un’altra località della regione e in un periodo di crisi economica questo mette in difficoltà il nostro movimento. Per quanto ci riguarda, il Comitato vive grazie all’autofinanziamento, che deriva dal tesseramento, dalle iscrizioni per l’attività giovanile e dalle tasse gara. Invece i contributi pubblici e le sponsorizzazioni di privati sono esigui. Questo è per noi un problema, perché a differenza delle altre regioni non possiamo sgravare di certi costi le famiglie dei ragazzi, così quando i giovani piemontesi entrano nelle squadre regionali, aumentano anche i costi per le famiglie. Cercheremo di risolvere in parte questo problema, dandoci l’obiettivo di trovare le risorse per far si che i costi che oggi gravano sulle famiglie vengano ridotti. Una bella idea sarebbe quella di imitare i nostri vicini francesi, la cui federazione riceve dei contributi da parte di coloro che gestiscono gli impianti, che versano un contributo per ogni abbonamento venduto e lo stesso fanno anche i maestri di sci. Da noi purtroppo la politica del territorio è poco sentita, nonostante il Piemonte abbia ospitato le Olimpiadi e gli sport invernali abbiano una ricaduta economica e occupazionale molto importante sul territorio. Una federazione che, come la nostra, genera lavoro e occupazione meriterebbe qualche contributo economico in più. Anche noi, come le regioni a statuto speciale, vorremmo assistere nel modo migliore i nostri giovani nella loro crescita».
Oltre a questo, quali altri obiettivi vi siete posti?
«Vogliamo rafforzare i rapporti con i gestori degli impianti a fune, perché questo porti a progetti da condividere insieme per la crescita dei ragazzi e lo sviluppo dello sport. Abbiamo l’obiettivo di portare sulle nostre stazioni invernali il maggior numero possibile di gare, perché questi eventi sono un richiamo anche dal punto di vista turistico. Per quanto riguarda i nostri giovani atleti, vogliamo portarne un numero sempre più alto nelle squadre nazionali. Gli sci club e il nostro Comitato vogliono lavorare sempre meglio, anche per giustificare in questo modo il grande sacrificio dei genitori di questi ragazzi. Vogliamo che questi giovani raggiungano risultati, che non siano soltanto l’ingresso in una squadra nazionale, ma la possibilità al termine della carriera agonistica di creare le condizioni giuste perché diventino maestri di sci e dargli così un’opportunità di lavoro. Ricapitolando: impianti, preparazione agonistica, formazione culturale e lavorativa».
Parla Marocco, pres. Comitato Alpi Occidentali: “Vogliamo far abbassare i costi che gravano sulle famiglie dei nostri ragazzi”
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