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Stefania Belmondo si racconta: “Dallo sport ho avuto tutto quello che potevo desiderare”

Dieci medaglie olimpiche (2 oro, 3 argenti, 5 bronzi), tredici medaglie mondiali (4 ori, 7 argenti, 2 bronzi), un titolo nella Coppa del Mondo di sprint, diversi secondi posti nella classifica generale della Coppa del Mondo, 72 podi in carriera in coppa con ben 21 vittorie. Numeri da capogiro quelli di Stefania Belmondo che è stata ai vertici dello sci nordico mondiale dal 1989 al 2002, dalla vittoria di Salt Lake City del 10 dicembre 1989 a quella di Oslo nella sua ultima 30 chilometri a tecnica libera a Oslo il 16 marzo 2002. Tredici anni straordinari nei quali ha conquistato il cuore di milioni di tifosi italiani dal suo Piemonte alla Sicilia, grazie a quella sua esultanza mista di gioia e commozione, quell’esplosione che trasmetteva allo spettatore tutta la fatica fatta per raggiungere un grande risultato. Un’atleta diversa dal solito, senza maschere, ogni sua espressione ha sempre trasmesso il suo stato d’animo e così è stato anche nell’intervista che ci ha concesso.  
Buongiorno Stefania, partiamo dagli inizi: come mai ha scelto lo sci di fondo? 
«Ho iniziato quando avevo quattro anni, perché chi abita dalle mie parti (Vinadio in provincia di Cuneo ndr) pratica molto gli sport invernali. Ho preferito lo sci di fondo a quello alpino, perché secondo me non c’è paragone, ti offre qualcosa in più».  
C’è stato un momento in cui ha capito che sarebbe diventata una grande fondista?
«Sinceramente no, almeno non un momento specifico. Forse ho capito che potevo fare qualcosa di buono quando vinsi due ori ai Mondiale Juniores (prima italiana iridata nella rassegna giovanile ndr). A 19 anni vinsi poi la mia prima gara in Coppa del mondo e lì capii che non era un caso».  
A tre anni di distanza dal suo primo successo, nel 1992, arrivò l’oro olimpico ad Albertville nella 30 chilometri.
«Fu un risultato eccezionale perché era la prima vittoria di una fondista italiana in un’Olimpiade. La cosa più bella è che le Olimpiadi si disputarono in Francia e quindi c’erano tanti tifosi italiani, soprattutto piemontesi. Vincere vicino casa mi ha regalato una gioia in più».  
L’anno successivo il doppio trionfo ai Mondiali di Falun.
«In Svezia ebbi la mia definitiva consacrazione, perché vinsi sia nell’inseguimento sia nella 30 chilometri, dopo aver combattuto molto con Manuela Di Centa. Una gioia speciale».  
Difficile dimenticare il suo urlo di gioia dopo l’arrivo.
«Percorrevo diecimila chilometri di allenamento ogni anno, così arrivare a una vittoria per me era il premio per la fatica fatta tutto l’anno. Non potevo mai fermarmi, a volte dovevo allenarmi anche se ero stanca o non avevo voglia. Poteva esserci il sole, la nebbia, piovere o nevicare, io ero sempre lì sugli sci».  
Prima ha ricordato la vittoria davanti alla Di Centa; tra voi si creò una forte rivalità, che probabilmente fece bene al fondo italiano.
«Si, se ci ripenso oggi posso dire che alla fine è stato un bel periodo, perché questa rivalità piaceva tantissimo ai giornalisti che ne parlavano sempre. È stato un bene anche per noi, perché nel mondo dello sport tutti hanno avuto dei rivali, ti stimolano a dare qualcosa in più. Alla fine c’erano persone che tifavano per me, altre per lei, e questo era molto bello».  
Rispetto a tante delle sue avversarie, è stata sulla cresta dell’onda per tantissimi anni, ma purtroppo non è mai riuscita a vincere la Coppa del Mondo.
«Ringrazio i miei genitori, perché evidentemente ho dei buoni geni per essere rimasta tanti anni ad alto livello. Da una parte mi dispiace non aver mai vinto la Coppa del Mondo, perché è l’unico traguardo che non ho raggiunto e da una parte mi dispiace. L’importante però è essere stata sempre lì e per questo motivo non ho alcun rammarico».  
Nell’ultimo anno della sua carriera è arrivato il secondo oro olimpico, quello nella 15 chilometri di Salt Lake City.
«Sinceramente non mi aspettavo di vincere in quell’occasione, soprattutto quando mi si ruppe il bastoncino. A quel punto pensavo proprio di non farcela. Forse però, ripensandoci bene, probabilmente vinsi proprio grazie a quell’evento sfortunato, perché ho tirato fuori tutta la rabbia che avevo dentro, avevo ripensato al Mondiale perso di un niente dalla Vjalbe per un soffio, mi sono detta che non poteva accadere sempre tutto a me, così non ho mollato. In quell’Olimpiade arrivò anche la bella doppietta con la Paruzzi».  
Quanto le ha fatto piacere essere scelta come ultimo tedoforo alle Olimpiadi di Torino del 2006?
«Tantissimo, perché è stato quasi un premio per la mia lunga carriera, una cosa veramente molto importante per me. Ringrazierò sempre coloro che mi hanno dato l’occasione di vivere questa cosa speciale».  
Qual è lo stato di salute dello sci di fondo italiano?
«Per quanto riguarda gli uomini stiamo vivendo un buon momento, perché abbiamo Pellegrino che va molto forte ed erano molti anni che non avevamo un atleta del genere. Per quanto riguarda le donne siamo vivendo un periodo un po’ difficile. In generale ritengo che a livello internazionale in questo momento non ci siano atleti fortissimi. Per esempio sono sparite le atlete russe e tedesche».  
È soddisfatta per quanto fatto nella sua carriera?
«Nello sport ho avuto tutto quello che potevo desiderare e non ho alcun rimpianto riguardo la mia carriera. Ci ho sempre messo anima, corpo e mente. Vado fiera di questo».  

Quanto le è stato utile nella vita di tutti i giorni ciò che ha imparato dallo sport?
«Lo sport aiuta tantissimo. Io vengo da sette anni di tormento personale e quello che ho imparato dallo sport, il suo insegnamento a non mollare mai, mi ha dato la forza di andare avanti nei momenti più difficili. Invito i giovani a fare sport, perché è uno stile di vita, visto che nello sport non puoi fermarti e così nella vita, nella quale devi sempre andare avanti anche se trovi vicino delle persone disoneste. Quindi fate sport, vi insegnerà tanto».

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