Fair Play è un’espressione inglese che, letteralmente tradotta, significa “gioco corretto” che, come spiega Wikipedia, è da intendersi come lealtà. Identifica, nell’immaginario comune, una serie di regole etiche e comportamenti da tenersi in ambito sportivo, fondate sui principi generali del rispetto, della solidarietà, della correttezza e dell’onestà. Nel calcio, dove è in vigore da 20 anni, costituisce l’impegno ufficiale assunto dalla FIFA per promuovere l’etica in questo sport e, dunque, per prevenire comportamenti quali violenza e discriminazioni.
A Castiglion Fiorentino, in provincia di Arezzo, nel 1997 è stato invece istituzionalizzato il Premio internazionale Fair Play Mecenate (nella foto l’ultima premiazione), intitolato a quell’influente consigliere etrusco dell’imperatore Augusto che formò un circolo di intellettuali e di poeti (Orazio e Virgilio i più noti) che incoraggiò e sostenne di tasca propria, contribuendo ad elevare il tono della vita letteraria e culturale dell’epoca. Allora l’interesse era rivolto all’arte; adesso si punta alla sensibilizzazione e riflessione sui grandi valori dello sport e della società civile “che rappresentino valenze di alto livello morale nel settore specifico del Fair Play”.
Fra le finalità del premio, quella di cercare di far crescere nel mondo e nello Sport, quale elemento culturale degli uomini e dei popoli, la consapevolezza di radicare nei giovani, dirigenti e sportivi in generale, una concezione dello sport che dia più valore al rispetto della persona, alla non discriminazione, alla competizione leale e pulita, alla non violenza e lotta al doping. Ma anche “non usare artifizi e inganni per ottenere il successo e restare degno nella vittoria come nella sconfitta”.
Regole grandi e piccole che dovrebbero servire come monito anche nella campagna elettorale in vista dell’assemblea federale della Fisi che il 12 aprile a Bologna contrappone Flavio Roda, presidente uscente, ai candidati presidente Pietro Marocco e Manuela Di Centa perché, come si diceva sopra, “il gioco sia corretto”. E cioè che tutti lo affrontino con lo spirito che guida il fair play: ad armi pari, senza sotterfugi né colpi bassi né entrate da tergo.
Almeno per differenziarsi da quel tipo di politica, che Rino Formica, socialista ministro delle Finanze ai tempi di Craxi e della Prima Repubblica, condannato per Tangentopoli in prima battuta, ma assolto con formula piena 14 anni dopo, definì “sangue e merda”. Termine certamente brutto ma significativo dell’aria che tirava allora e che qualcuno vuole instaurare tuttora in un ambito diverso. La puzza si sente, per esempio, nel Triveneto, le tre regioni italiane del Veneto, del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia, dove qualche furbastro ha cominciato a giocare sporco accampando un malinteso segno di “continuità” senza che ci sia un arbitro che intervenga con il cartellino rosso a fronte di quella che, in effetti, è una presa per i fondelli. Da espulsione immediata, almeno nel calcio.
Ma di quale continuità? Quella proclamata a parole ma che non si comprende nell’accezione del termine e, nella sostanza, si estrinseca in uno scambio di favori fra la Fisi centrale e questa parte della periferia? In due dei tre Comitati (Veneto e Friuli Venezia Giulia), infatti, consiste nel pagamento dello stipendio della segretaria del Comitato di cui si è già riferito. Favoritismi legati al voto di scambio. Che a ben guardare, almeno in politica, è ancora considerato un reato.
Da sottolineare, poi, il boicottaggio di Marocco (foto) e Di Centa, i due candidati avversari di Roda, da parte del presidente Trentino Dalpez e di quello Veneto Bortoluzzi. Un’accoppiata che, appoggiando Roda, si è platealmente rifiutata di organizzare l’incontro con i rispettivi sci club, impedendo così di parlare con i loro tesserati. “Incontrare gli sci club che operano sul territorio è un diritto, oltre che un dovere di un candidato, ha spiegato invano Marocco. Sono stato accusato di scorrettezza solo per aver difeso questo diritto ad un confronto aperto con i dirigenti trentini e veneti. Io avevo solo chiesto a Dalpez e Bortoluzzi l’opportunità di esporre il mio programma e apprendere da loro i problemi. Me l’hanno negata”.
E’ forse fair play questo? No di certo. Il fair play lo si è invece riscontrato nell’incontro che Marocco, presidente del Comitato FISI Alpi Occidentali, ha avuto a Udine con i rappresentanti federali, degli sci club, di tecnici e atleti del Friuli Venezia Giulia. L’occasione per confrontarsi con loro ma anche con Manuela Di Centa, sua avversaria il 12 aprile prossimo a Bologna, con la quale però c’è stato uno scambio proficuo di idee: “Ci siamo confrontati su programmi e progetti, lo faremo ancora. Sarà ospite del mio Comitato. Entrambi siamo convinti che in Consiglio Federale molte cose sino ad oggi non abbiano funzionato a dovere. Sono state prese decisioni sul costo e contenuti della tessera e su modifiche statutarie senza tenere nel dovuto conto le opinioni le necessità degli Sci Club. La bassa partecipazione all’Assemblea straordinaria per la modifica dello Statuto può essere spiegata con la disaffezione della base verso una gestione federale percepita come verticistica”.
“Noi Presidenti dei Comitati Regionali non siamo stati adeguatamente coinvolti nemmeno nella partecipazione agli eventi programmati e realizzati sul nostro stesso territorio: un mancato coinvolgimento che, creando forti imbarazzi nei confronti dei territori che rappresentiamo e con i quali siamo quotidianamente in contatto, di fatto ha finito con l’indebolire la nostra stessa posizione di referenti regionali della Fisi”.
Ma non esiste una Consulta Federale? A giudizio dell’ingegner Marocco, “la Consulta, che in precedenza veniva convocata prima di ogni Consiglio Federale divenendo occasione di un confronto collegiale tra tutti i Consiglieri, ha perso del tutto questa sua peculiarità, vedendo penalizzate soprattutto le realtà regionali più deboli e contravvenendo in questo modo al principio di pari opportunità. C’è stato un vero e proprio svuotamento di funzioni, come, del resto, è avvenuto per la Commissione Ricerca, che è stata praticamente messa nel dimenticatoio. Queste criticità tra noi presidenti regionali ce le siamo ribadite tante volte tra di noi e le abbiamo anche sollevate nel confronto con i vertici nazionali; anche se adesso qualche mio collega, che preferisce la continuità e il quieto vivere, sembra essersene dimenticato”.
In pratica, un casino non solo in Consiglio ma anche sul campo: Sochi è stato un mezzo fallimento, specialmente nel fondo. Un flop che Manuela (foto), da ex fondista, difende tuttavia a spada tratta. Non le è piaciuto il processo allo staff tecnico e quanto scritto sui giornali, e replica sul Corriere delle Alpi. . “Quando in una squadra qualcosa non funziona, non va analizzato durante l’evento, ma dopo. I tecnici, in questo caso Silvio Fauner, non vanno esposti alla gogna mediatica durante le competizioni. Sono delle persone e non dei birilli, e rappresentano l’Italia”. Può aver ragione nella forma, non nella sostanza: dopo il fallimento di tre Mondiali e due Olimpiadi la rottamazione è d’obbligo. Anzi, doveva essere anticipata subito dopo Oslo 2011, senza aspettare Fiemme 2013 e tantomeno Sochi.
In questi dettagli non è invece entrato Marocco che, come ha fatto davanti alla platea di Udine, vuole ribadire con forza “l’organizzazione verticistica che troppo spesso ha caratterizzato la gestione degli ultimi anni. Un presidente non può presentare le decisioni come già prese e farle solo ratificare; deve invece prevalere la politica del dialogo, che manca. Ecco perché tra i punti del mio programma c’è proprio questo, ossia avere una figura di presidente più snella, con meno decisionismo e più collaborazione”.
Ma chi può dare la collaborazione richiesta? I compagni di merenda che con la loro inefficacia hanno condizionato la gestione di Roda ma, prima ancora, quella di Morzenti e si ripresentano con la puntualità di un orologio svizzero?