Le Olimpiadi sono un buon indicatore dello stato di salute di uno sport. I risultati di Sochi ci dicono, in modo inconfutabile, che la Fisi non è esattamente in gran forma, anzi sembra proprio in prognosi riservata. Chi ricorda i tempi in cui il tricolore sventolava quasi sempre dietro il podio delle medaglie più prestigiose, oggi non si capacita del disastro. Gli unici segni di vitalità arrivano dallo slittino (nella foto sotto Zoeggeler) e dal biathlon (a sinistra l’arrivo di Hofer nella staffetta mista che ha guadagnato il bronzo), guarda caso le specialità con meno praticanti e meno impianti, cresciute in zone dove l’ancestralità non è considerata un’eresia ma scuola d’esperienza da proiettare anche nel futuro. Che non è solo tecnologia.
Ovvio, ora scontiamo gli errori di una programmazione sbagliata, ma soprattutto le omissioni e le scelte sbagliate del passato. Perché i campioni raramente nascono per caso, sono invece frutto di una formazione mirata e appassionata, che comincia già dai primi anni. Perciò bisogna curare molto la base, perché sono proprio i genitori, quando si divertono, che trasmettono la passione ai figli, e saranno i bambini più appassionati, più tenaci e più dotati di talento a vincere in un domani medaglie prestigiose.
Adesso, c’è da giurarci, assisteremo al solito spettacolo: da un lato la caccia alle streghe, poiché bisogna trovare ad ogni costo un colpevole, dall’altro la corsa alla ricerca di giustificazioni spesso esilaranti. E’ una commedia stantìa, non ci emoziona più e serve soltanto a lasciare le cose come sono. E’ meglio guardare avanti facendo tesoro anche degli errori: “esperienza è il nome che diamo ai nostri errori” scriveva Oscar Wilde, quindi non rinneghiamoli e andiamo avanti evitando di ripeterli.
Il primo passo è la scelta della nuova dirigenza Fisi. Proprio l’esperienza ci dice chi evitare: e cioè persone compromesse con la politica, per il semplice fatto che badano più al potere e alla popolarità che agli interessi reali degli sportivi; persone troppo specializzate, come atleti di vertice passati direttamente dalle piste alle poltrone, senza confrontarsi con le esigenze della base, poiché non hanno esperienza gestionale diretta e sono un po’ narcisisti; i tecnici, perché pensano di essere depositari del sapere e non si rendono conto delle proprie lacune nelle discipline che non conoscono e prendono spesso decisione infischiandosene di ciò che pensa la maggioranza di chi lo sport invece lo conosce.
Servono invece persone coraggiose, con idee chiare, obiettivi condivisi e capacità di raggiungerli. Anche con decisioni poco popolari, giacché ormai è evidente la necessità non di ristrutturare come si intenderebbe magari fare, ma di rifondare nel senso più letterale di questo termine, l’organizzazione di discipline come lo sci nordico. L’ha fatto la Finlandia nel 2001, la Francia con lo sci alpino dopo Albertville, gli Usa dopo Salt Lake City.
Ora tocca a noi, se non vogliamo prolungare un’agonia che fa a pugni con la nostra storia. Che è fatta di cicli, di momenti esaltanti e di magre spaventose, ma anche, come scriveva Sciascia, di “uomini, mezz’uomini, ominicchi, e (con rispetto parlando) pigliainculo e quaquaraquà” che hanno fatto la storia della Fisi o l’hanno affossata. C’è poco tempo per scegliere e prendere una posizione, in quanto il mandato di Flavio Roda è in scadenza e l’assemblea elettiva è stata fissata per il 12 aprile.
Dove e come trovare una persona di buon senso, con esperienza, capacità di ascolto e determinazione decisionale come richiesto dall’attuale situazione tecnica ed economica? Proprio all’interno della Federazione. Sarebbe sciocco cercare altrove. Ad esempio i presidenti dei Comitati regionali che hanno fatto la gavetta prima come presidenti degli Sci club e conoscono bene la Federazione e i suoi problemi. Qualcuno magari anche troppo, e ne ha approfittato con compromessi e manovre non proprio cristalline; ma ci sono altri che hanno tutte le qualità per gestire bene la Fisi.
Finora sono stati un po’, diciamo, ossequiosi verso il potere centrale, e ne hanno fatto le spese vedendosi tagliati i fondi. Adesso è venuto il momento di mettere da parte la “timidezza” e uscire allo scoperto: o si beccano come fecero i celebri capponi di Renzo (e non esiteremo nell’agevolarli a fare la stessa fine), oppure
scelgono tra di loro un candidato esperto, capace di gestire in modo positivo eventuali conflitti, conoscitore delle varie discipline e ben disposto ad ascoltare le proposte della base. Una persona di buon senso, d’esperienza e con qualità manageriali.
Proviamo a fare un nome? Pietro Marocco, presidente del Comitato Alpi Occidentali ( sopra con lo sci club Entraque e a destra con il campione mondiale di skiroll Emanuele Becchis): la sua storia personale è una garanzia di competenza e serietà, ha saputo risolvere bene situazioni complicate in Piemonte e sa come destreggiarsi a livello internazionale.
Di questi tempi sentiamo ogni giorno dichiarazioni altisonanti e magniloquenti, rimangiate nel giro di 24 o al massimo 48 ore, perciò scusate se non diamo molto credito ai programmi e alle dichiarazioni d’intenti, ma preferiamo guardare le persone negli occhi, vagliare la loro storia e analizzare la loro competenza per capire se ci stanno mentendo o se sono sincere, se promettono a vanvera o hanno le competenze per tener fede alla parola.
Sempre l’esperienza ci suggerisce di diffidare degli uomini e delle donne della provvidenza: i problemi li superiamo lavorando tutti insieme, ci serve soltanto un direttore dei lavori che sappia interpretare il progetto e distribuire i compiti, non un messia. Quello è già finito sulla croce. Era troppo idealista.
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