A 84 anni è morto a Milano l’avv. Arrrigo Gattai, colpito da mesi da un male incurabile. Lo ricordiamo per dovere di cronaca e perché è stato presidente della Fisi dal 1976 al 1987, che lasciò per diventare presidente del Coni dove, subentrando a Franco Carraro, era arrivato battendo Primo Nebiolo, il boss dell’atletica leggera. Carica che mantenne fino al 1993. Lo sport, per decisione del presidente del Coni Petrucci, lo ricorda con un minuto di silenzio su tutti i campi e in tutte le competizioni sportive, nazionali e internazionali che si terranno in Italia in questo fine settimana.
Dello sci italiano fu un “grande” presidente: lo prese in mano quando la valanga azzurra di Thoeni e Gros cominciava a declinare e lo fece rinascere creando le premesse che, con Tomba prima e la Compagnoni poi, lo riportarono in primo piano in campo internazionale. Ma lui era già andato a Roma, al Foro Italico, mentre in via Piranesi a Milano alla testa della Fisi era subentrato il col. Valentino. Nel Coni era già entrato a far parte della Giunta esecutiva nel 1977, mentre l’anno successivo era diventato vicepresidente.
Per lo sci quelli di allora erano tempi d’oro: era diventato lo sport di moda. Per andare sulle piste si faceva la coda agli impianti di risalita. La Fisi “tirava”: più di 220 mila i tesserati. Un Pool che portava miliardi: tanti soldi che non si sapeva come spenderli. Quando, sempre in qualche amena località, c’erano le conferenze stampa per la presentazione dei programmi, si sono contati anche più di 200 giornalisti, ospiti della Fisi.
Nel 1976, contemporaneamente alla sua elezione al vertice della Fisi, nasceva anche SCIFONDO, prima rivista al mondo a trattare esclusivamente di sci di fondo non soltanto sul piano della cronaca e del commento, ma in particolare dal punto di vista tecnico. Un inserto speciale nato come “costola” della rivista SCI di Maria Grazia Marchelli con la quale chi scrive aveva iniziato a collaborare da una decina d’anni. Spinto a farlo dall’allora allenatore della squadra azzurra di fondo, B.H. Nilsson che avevo incontrato casualmente passando da Courmayeur , e che con la Marchelli aveva pubblicato “Sciare come al Nord”, il primo manuale italiano.
Non avevo mai messo gli sci ai piedi e di fondo non sapevo assolutamente niente; mi insegnò tutto quello che era in grado di capire uno che veniva dall’atletica e ha poi praticato ciclismo amatoriale. E da allora, sia nella rivista da me inventata che nell’attuale sito, ho sempre cercato di trasmetterlo ai lettori in maniera comprensibile anche per un profano. Lo affrontavo nell’ottica del cronista che ero e non del giornalista sportivo che non ho mai voluto essere e, una volta “rubato” il mestiere”, anche con una certa competenza tecnica maturata sulla mia pelle e di chi, in seguito, ha collaborato con me.
Con Gattai fu subito scontro: troppo dispotico, per i miei gusti, e non amava il fondo che, allora, veniva snobbato dai mass media. C’era solo il “quartetto dell’Ave Maria” a seguire le poche gare internazionali: Piero Ratti (Gazzetta), Onorato Cerne (Tuttosport), Aldo Pacor (Corriere dello Sport) e il sottoscritto per SCI. Spesso, quando i mezzi pubblici lo consentivano perché lui non guidava, si aggiungeva un altro grande appassionato, Remo Musumeci, per L’Unità, il solo giornale non sportivo che, proprio per merito del giornalista, al fondo dava invece grande spazio.
Tuttavia, pur nel suo disinteresse, Gattai al fondo destinò sempre tutte le risorse necessarie e questo perché il direttore agonistico Mario Azittà, che con lui era cresciuto nelle Alpi Centrali, sapeva prospettargli problemi e relative soluzioni in modo fascinoso. Tanto è vero che, una volta assimilata l’idea, il presidente la prospettava al consiglio federale come fosse un’iniziativa propria. E, ovviamente, nessuno osava obiettare.
Si arrivò al punto che, mentre i tecnici dello sci alpino costavano alla Fisi 18 milioni, per l’allenatore finlandese Ville Sadeharju chiamato a rilanciare il fondo dopo due interlocutori congressi (Cesenatico e Bibione), se ne sborsarono un centinaio. E a chi contestava, Gattai ricordò che questa spesa lui la considerava “necessaria” prima ancora che utile. E fu con il tecnico finlandese che nacque il contatto con la scienza: quella del prof. Conconi e dell’università di Ferrara con la quale il Coni aveva avviato una cooperazione cominciata con l’atletica leggera.
Del resto anche l’industria credeva poco nello sci nordico ritenendo che lo sci alpino avesse più tradizione e fosse più seguito dalla gente. Quindi lui riteneva di dover distribuire i fondi a disposizione non con criteri di assistenzialismo ma su basi concrete, sulla realtà delle cose e dei fatti, e sapeva che senza Sadeharju che avrebbe eliminato certe storture (creandone però nel contempo altre), non si sarebbe andati da nessuna parte. Su questo investì e a dargli ragione contribuì lo sci di fondo divenuto con la Marcialonga fenomeno di massa. Anche per le aziende: ben 17 quelle che, in Italia, producevano sci stretti.
E anche sulle donne aveva idee più chiare di quanti, nell’ambiente di allora, le consideravano buone solo sul piano orizzontale. “Non avendo i soldi che i maschi percepiscono dai corpi militari, sosteneva, noi dobbiamo cercare ugualmente di aiutarle con premi straordinari che, se non sono eccezionali, dovrebbero almeno avere una funzione di stimolo”.
Tanto è vero che, a fronte di Azittà che non voleva una squadra femminile per il semplice fatto che gli avrebbe sottratto una bella fetta del budget di 400 milioni di cui il fondo disponeva, alla fine fu lui a decidere di avviare la ricostituzione del settore almeno con una “rappresentativa nazionale” affidata all’aostano Glarei con l’altro valdostano Savin come allenatore. Dodici le convocate ad una gara internazionale a Forni di Sopra. Alla sfilata, mentre le squadre di tutte le altre nazioni si presentarono in divisa, la nostra sembrava un’armata brancaleone. C’era da restare imbarazzati. Cercai di rimediare telefonando a due aziende di amici, Sportful ed Emar, che non facevano parte del Pool ma che, ugualmente, la mattina successiva recapitarono 12 tute azzurre con striscia tricolore la prima e 12 sopratute altrettanto azzurre con scritta Italia la seconda, senza i marchi delle stesse aziende per evitare contestazioni.
Una gentilezza nei miei confronti e delle ragazze, ma che venne presa come un affronto. Su disposizione del presidente, le ragazze non avrebbero dovuto indossare in gara l’abbigliamento donato, ma presentarsi con quello personale. Diversamente sarebbero state escluse dalle successive convocazioni. Sei di loro subirono il diktat, le altre se ne fregarono, e nella lista nera di Gattai sui mio nominativo si aggiunse un’altra tacca.
L’unica intesa – di compromesso – la trovammo solo nel 1982 a pochi giorni dal Mondiale di Oslo dove l’Italia si sarebbe presentata con la sola squadra maschile, anche se in campo femminile potevamo già vantare Emanuela Di Centa e Maria Canins, che Azittà riteneva però inadeguate a questo appuntamento mentre io, su SCIFONDO, da anni sostenevo esattamente l’inverso. In particolare che la “Manu” era un talento che avrebbe vinto le Olimpiadi. Mi davano del matto.
Da Conconi, che era stato mio compagno di scuola, avevo appreso da tempo che la squadra azzurra si era sottoposta all’autoemotrasfusione, non vietata allora, e avevo preparato un articolo in cui spiegavo che ciò che finlandesi e tedeschi dell’Est praticavano da anni, adesso lo avevano fatto anche i nostri atleti ma in maniera ben più scientifica, e quali sarebbero stati i benefici in tema di risultati.
Gattai (nella foto sopra con la moglie e Adriano Teso, imprenditore e politico) lo venne a sapere e cercò di non farlo pubblicare. Inutili le pressioni su Maria Grazia Marchelli, l’editore, e tantomeno sul direttore della rivista, che ero io. Per quanto abituati entrambi allo scontro piuttosto che alla trattativa, alla fine, tuttavia, in un incontro in federazione, presenti da una parte del tavolo io e la Marchelli per SCI, e dall’altra parte Gattai e il segretario generale Vergani per la Fisi, si raggiunse un compromesso su 3 punti.
Io avrei rinunciato allo “scoop” e lui avrebbe mandato a Oslo Di Centa e Canins e, a fine stagione, avrebbe affidato la squadra femminile ad altri allenatori poiché i due del momento (Migliorini e Berto) erano in perenne conflitto con la Di Centa, sulla quale si doveva invece puntare per il futuro. Il terzo punto dare a Bruno Bonaldi, nella sua qualità di allenatore della moglie Maria Canins, il mio biglietto aereo offerto dalla Ellesse alla Fisi per i giornalisti del fondo. SCI avrebbe pagato la mia trasferta. E così avvenne.
Alla seconda gara dei Mondiali l’8° posto nella 5 km di Manuela, ancora categoria aspiranti, dimostrò che avevo visto giusto e, per il futuro, si sarebbe potuto contare su di lei. Però Gattai non mantenne del tutto il suo compromesso: non cambiò gli allenatori e SCIFONDO, nel primo numero d’autunno, lo sottolineò nell’editoriale dal titolo significativo “Presidente non barare”. A dar fastidio al presidente, che se la prese di brutto, non fu tanto la questione del mancato rispetto del gentlemen’s agreement raggiunto in via Piranesi, quanto la sottolineatura di un passato politico imbarazzante per il futuro presidente del Coni. Poltrona dalla quale fu scalzato dal segretario generale Mario Pescante dopo gli insuccessi olimpici di Barcellona ’92, maturati sulla scia già negativa di Seul 1988, e anche vicende giudiziarie nelle quali gli furono fatte pagare colpe non sue.