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Roda e il fondo: fase di ascolto e meditazione prima di annunciare gli staff

26 APRILE – Nessuna rivoluzione, ma sicuramente aggiustamenti importanti nella composizione degli staff, delle squadre e nella ricerca, piena collaborazione con i gruppi sportivi militari che alla Fisi danno un contributo essenziale in fatto di atleti e tecnici, disponibilità a recepire suggerimenti. Questo, in sintesi, il Roda-pensiero emerso in un lungo scambio di opinioni nello studio presidenziale in Fisi, dove ci sta quasi di casa. Sta mantenendo, nei fatti, quanto già aveva enunciato nel suo programma elettorale e ribadito nella lettera pubblicata sul sito della Federazione, e cioè di voler mettere nel suo progetto il patrimonio di esperienza che gli deriva da anni di lavoro sul campo. Intende lavorare sui fatti, non sulle ipotesi.
Occupa, da tecnico, un posto che finora era stato appannaggio di personaggi usciti dai Comitati o, nel caso del generale Valentino, dal comando del gruppo sportivo delle Fiamme Gialle a Predazzo. Personaggi che, nel loro mandato, hanno operato in tempi in cui la situazione economica ha subìto profondi cambiamenti. Per restare negli ultimi 40 anni, da Gattai che aveva le casse piene tanto da non saper come spendere i soldi, a Morzenti che ha trovato la Fisi piena di debiti e ridotta alla canna del gas. Ci vorrebbe un manager con competenze tecniche per portarla avanti con profitto. Lui manager non è,  almeno sulla carta, ma tecnico certamente sì. Vedremo come se la saprà cavare.
E da tecnico si sta comportando, per quanto riguarda i direttori tecnici delle squadre nazionali, nella conferma o nella eventuale scelta di nuovo elementi. Nomine che, con la riforma dello statuto, sono adesso di sua stretta pertinenza e non più di concerto con il Consiglio federale. Si è preso del tempo, sta procedendo con cautela, pur nella consapevolezza che di tempo non ce n’è troppo con i Mondiali a meno di 10 mesi di distanza, e con quello del fondo per di più in Italia, in Val di Fiemme, dove grazie al cielo gli organizzatori hanno già tutto pronto e collaudato, mentre le Olimpiadi di Sochi sono nel 2014.  
Con scadenze tanto ravvicinate non si può ribaltare l’apparato per ricostruirlo dalle radici come verrebbe voglia di fare, ma è comunque opportuno, oltre che necessario, apportarvi modifiche quantomeno mirate sia per quanto riguarda gli atleti che per i tecnici, e contemporaneamente gettare i presupposti per il futuro immediatamente successivo. Di certo ci saranno da apportare tagli negli organici: non c’è altra nazione, neppure  la grande, ricca e vincente Norvegia, che presenti squadre tanto numerose. Con troppi suoi “turisti per caso”, l’Italia costituisce un’eccezione che ci rende ridicoli. Tanto più in tempi di restrizioni economiche.
In questo colloquio si è parlato esclusivamente di sci nordico in generale, e di fondo in particolare, per due semplici motivi: sono materia di questo sito e volevo sondare la conoscenza che un grande tecnico dello sci alpino ha del mondo dello sci nordico. Che, per quanto riguarda il fondo, è in profonda crisi. E Roda, pienamente informato della situazione attraverso le varie campane che ha già sentito, si dichiara disponibile a discuterne con chi in questa disciplina ci è vissuto, ci vive o ci si appassiona. Vuole prima di tutto documentarsi, e lo ha fatto chiedendo ai tecnici una relazione. Per esempio martedì, giorno dell’incontro,  aspettava in sede Fabrizio Curtaz per il biathlon e Silvio Fauner per il fondo.  
Sarebbe anche d’accordo a replicare ciò che l’avv. Gattai, alla fine degli anni ’70, su iniziativa del direttore agonistico Mario Azittà, fece prima a Cesenatico e l’anno successivo a a Bibione: cioè quel convegno di “addetti ai lavori” che era servito a rilanciare il fondo in fase stallo. Dirigenti, direttori agonistici e allenatori ebbero modo di esprimere la propria opinione;  volò più di uno straccio, ma il fondo fu messo in grado di rialzare la testa. Arrivò il prof. Conconi a introdurre metodi che nell’atletica avevano portato tante medaglie: il suo test nella programmazione degli allenamenti e quell’autoemotrasfusione che i tedeschi dell’Est avevano anticipato e lui applicò in modo più scientifico. Poi l’allenatore finlandese Sadeharju, che non ebbe gran fortuna anche perché si scontrò subito con De Zolt che non era certo tipo di pasteggiare con il latte, e dopo di lui il connazionale Punkkinen il quale, affiancato da Vanoi, portò le prime medaglie d’oro mondiali di Oberstdorf 1987: Albarello nella 10 km e De Zolt nella 50.
Seguirono anni di grandi prestazioni e di medaglie mondiali e olimpiche che restano nella storia ma furono inficiate in buona parte dall’Epo, e si rientrò nella “normalità” quando, con Albarello direttore agonistico e Chenetti allenatore della Nazionale maggiore, privilegiando la preparazione estiva a base di skiroll, fu possibile reimpostare la tecnica individuale degli atleti mettendoli in condizione di esprimersi meglio sulla neve. I risultati, che mancarono a Fiemme 2003 a causa di un’influenza che decimò la squadra azzurra, arrivarono a Oberstdorf 2005 e vennero consolidati alle Olimpiadi di Torino 2006 dove furono soltanto fondo e slittino a salvare il bilancio federale.
Ma quello fu anche il culmine della parabola: era finito un ciclo, cominciò la fase discendente che continua tuttora. Scelte tecniche ma anche “politiche” sbagliate. C’è solo da augurarsi che, libero da ogni forma di pressione esterna come Roda dice di essere, il nuovo presidente riesca a porre le premesse di un nuovo ciclo, come quello avviato dalla combinata nordica con Pittin. Il quale, guarda caso, ha proprio Chenetti come allenatore del fondo. Ed è proprio nel fondo che finora ha costruito le sue vittorie. Come saltatore ha ancora grossi spazi di miglioramento. E’ già un fenomeno adesso, può arrivare lontano.

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