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Storia del Fondo femminile – Cap.2

Il primo passo una “rappresentativa

 

L’idea della nazionale femminile matura alla fine degli anni ’70: non è però una squadra ufficiale, ma semplicemente una rappresentativa, selezionata a metà dicembre in base ai risultati della prima Nazionale Giovani in quel di Tesero, che porta alla scelta di 12 ragazze  – dalla categoria aspiranti alle seniores –  da far esordire in gennaio, in occasione della Coppa Kurikkala e di una gara internazionale a Forni di Sopra. Ne è responsabile Attilio Glarei (a sinistra), mentre l’allenatore è Franco Savin (a destra). Entrambi aostani. Due ottime persone che dispongono di tanta buona volontà ma non di mezzi. Mario Azittà, il direttore agonistico, del resto è stato sempre chiaro in materia di squadra femminile: “Prima c’è da sistemare il settore maschile, va proclamando da anni, poi penseremo a quello femminile. Le donne, per ora, restano quindi affidate alle zone”. Ragioni di bilancio che possono giustificare questi termini drastici che non si prestano ad equivoci, e che stanno a significare che la squadra femminile resta un miraggio e che prima di esistere dovranno passare anni, sempre che i Comitati zonali lavorino bene e qualche ragazza di talento venga fuori.  Contemporaneamente, però, si sta portando avanti, quasi di nascosto, un esperimento che potrebbe anche essere produttivo, ma suscita solo polemiche e perplessità che non esisterebbero se le cose venissero fatte alla luce del sole.

 L’esperimento in questione è Guidina Dal Sasso. La ragazza di Asiago è sicuramente la nostra miglior fondista: le classifiche parlano chiaro. Lo è diventata sicuramente per meriti propri, ma anche perché seguita da vicino da quello che l’anno prima è diventato suo marito e che era il suo allenatore, Nando Longoborghini, uno degli allenatori della nazionale maschile. Assistita nella preparazione e anche in fatto di materiali, è l’unica, insomma, a poter contare su un’assistenza pressoché identica a quella degli atleti della squadra nazionale; le altre, invece, devono arrangiarsi con il loro sci club o, nella più benevola delle ipotesi, con il Comitato Zonale. Ma per quante di loro c’è questa assistenza? Eppure di elementi promettenti ce ne sono: qualche buona senior, la Vanzetta e la Di Centa, giovanissima quest’ultima. La situazione non ha dunque bisogno di commenti particolari. La sintetizziamo: un responsabile e un allenatore senza mezzi, una buona atleta che ha gli appoggi che servono, le altre abbandonate a se stesse. Piuttosto deprimente.

Un esempio significativo. A Castelrotto, nella tradizionale gara internazionale, erano in programma staffetta 3×5 km e gara individuale. Dieci le ragazze convocate per mettere insieme tre staffette e disporre di una riserva. Ne arrivano otto. Due sole staffette, quindi, e due ragazze che restano a guardare, senza che nessuno trovi il modo (e il tempo c’era) di far venire un’altra ragazza all’ultimo momento, magari dal vicino Trentino. Sarebbe bastata una telefonata.

Dopo Castelrotto era in programma la Kurikkala, gara a livello giovanile. Anche qui convocazione della squadra juniores maschile e della rappresentativa femminile. Ci si pone lo scrupolo di coscienza di dare a questa squadra una divisa che, anche esteriormente, comprovi che rappresenta l’Italia. La divisa, però, non c’è; manco parlarne. Tutt’al più, dice Azittà, dal giro del Pool si potrebbe sperare al massimo in un berrettino. Sono presente come giornalista ma anche in qualità di allenatore di Sonia Basso, una delle seniores convocata nella rappresentativa, che stavo seguendo da qualche mese. Di fronte all’affermazione di Azittà, chiedo al responsabile Glarei se un mio interessamento possa servire a risolvere un problema tanto semplice, e trovo subito incondizionata adesione. Un paio di telefonate ad altrettanti amici e la questione è risolta: l’Emar preparerà le sovratute, la Sportful le tute da gara. In 24 ore le faranno avere direttamente sul posto. Sono due aziende che non fanno parte del Pool, i cui titolari, per pura sportività, offrono immediatamente il loro aiuto, senza alcun corrispettivo economico né pubblicitario. Semplicemente per amicizia nei confronti di chi ha avanzato questa richiesta di materiale, e per un senso di italianità che, fortunatamente, in qualcuno esiste ancora.

Sporful, Emar e altre ditte sarebbero nuovamente disposte a dare una mano, se necessario. Non per il tornaconto pubblicitario che ne può derivare, come si è detto, ma per la necessità contingente di risolvere una situazione che avrebbe dovuto e potuto trovare diversa soluzione nell’ambito delle strutture federali. Ma la FISI e il Pool, a quanto pare, non hanno tempo e mezzi per le fondiste. Non solo hanno evitato di darsi da fare quando avrebbero potuto e dovuto farlo, ma boicottano la mia iniziativa. Da via Piranesi arriva il diktat del presidente Gattai: le ragazze devono arrangiarsi con il proprio abbigliamento da gara; chi indosserà tuta o sopratuta  sarà esclusa dalla rappresentativa. Aspiranti e juniores e Guidina Dal Sasso fra le seniores subiscono il veto; le altre seniores rifiutano e indossano regolarmente tuta e sopratuta. Non piegano la testa e concludono la loro esperienza semiazzurra prima ancora di cominciarla.

Ho usato volutamente il termine semiazzurra per indicare quella che era la situazione di questa rappresentativa e i motivi che hanno fatto scattare il veto federale. La controversia sta nel contratto con il Pool che obbliga gli atleti della nazionale a usare esclusivamente materiale fornito dalle ditte del Pool, di cui Emar e Sporful non fanno parte. Ma le ditte del Pool di materiale alle ragazze non ne hanno mai dato per il semplice fatto che in FISI nessuno ha mai pensato di chiederlo e perché, non esistendo la nazionale femminile, non è scattata nei loro confronti la normativa del contratto stipulato con la Federazione. Un problema facile da affrontare e ancor più facile da risolvere se ci fosse stato un minimo di buona volontà e di programmazione da parte della direzione agonistica, perché allora c’era un Pool che funzionava e che, se interpellato, non si sarebbe sottratto a questo impegno. Ma Azittà la nazionale non la voleva proprio e, piuttosto che una squadra vincolata da un contratto, si è messa insieme una rappresentativa, frutto di una selezione di quanto di meglio offriva il settore femminile in quel momento. Si è così attuato una specie di sofisma che ha evitato l’applicazione delle norme contrattuali ma contemporaneamente ha fatto nascere una situazione piuttosto sbifida. Con il termine rappresentativa, infatti,  le ragazze, non erano da considerare “azzurre” a tutti gli effetti, ma nello stesso tempo non si potevano far passare sotto l’anonimato più spicciolo, anche perché alle gare internazionali non venivano iscritte dai rispettivi sci club o Comitati Zonali, ma dalla FISI e presentate sotto la dizione “Italia”. Il che, per la Federazione, valeva evidentemente solo ai fini dell’iscrizione e per beneficiare dell’ospitalità offerta dagli organizzatori. Al di là di queste considerazioni, a dare maggiormente fastidio non era  il fatto che il materiale fosse offerto da ditte fuori dal Pool, ma la scritta Italia sulla sopratuta e la banda tricolore sulla tuta: una parola e un simbolo che in FISI, almeno a livello di abbigliamento, da troppi anni erano regolarmente snobbati.

Quale fosse la situazione in quel periodo lo documentano un’intervista del giornalista vicentino Gianni Celi a Guidina Dal Sasso, che manifesta la sua opinione sulle polemiche che si erano create, e un articolo nel quale Sonia Basso, che avrebbe vinto quel campionato assoluto cui accenna Guidina nell’intervista, descrive le difficoltà che incontra una fondista senza appoggi per fare attività agonistica ad alto livello. Difficoltà fortunatamente risolte a seguito di un fortuito incontro con quello che sarebbe diventato il suo allenatore per 5 anni. Risultato immediato la riconquista del titolo italiano che era già stato suo nel 1977 e che le era stato strappato da Guidina Dal Sasso nel 1978, battendo con distacchi pesanti Maria Canins e la stessa Guidina. Entrambi gli articoli sono tratti da SCIfondo n. 4 del marzo 1979.

 

I meriti della coppia

 

Guidina Dal Sasso è detentrice del titolo italiano dallo scorso anno. Lo ha vinto, in una giornata a dir poco primaverile, a Forni Avoltri. Quest’anno si ripresenta a Folgaria intenzionata a rivincere.

Asiaghese purosangue, ha ventun anni ormai compiuti (è nata il 16 gennaio 1948). Bassa di statura, ben proporzionata, occhi vivissimi di un’espressività singolare. Da due anni a questa parte s’è accorta che con il fondo non si scherza soltanto o ci si diverte, ma che ci si può anche impegnare, e davvero “a fondo”.

– Ho cominciato a fare fondo in seconda media, spiega. Mi ha fatto insistere Giovanni Stella, fratello dei famosi Stella di Asiago. Due settimane prima di partecipare ai Giochi della Gioventù ho messo gli sci ai piedi ed ho imparato grossomodo come si doveva procedere: alle gare sono arrivata seconda. Seconda mi sono classificata quindi anche alla finale nazionale disputatasi a Tarvisio. Lo stesso anno sono giunta terza ai campionati italiani della mia categoria. Così, con lo stesso spirito goliardico, ho continuato la mia carriera agonistica arrivando terza alla coppa Kurikkala in Germania nel ’74, quarta alla Kurikkala in Jugoslavia nel ’75, prima delle juniores ai campionati italiani in Valdidentro nel ’75 e in Emilia Romagna nel ’76 e terza ad Asiago nel ’77 ».

Guidina è entrata quindi a far parte della squadra sperimentale per la formazione di una nazionale femminile del fondo alcuni anni addietro. Una iniziativa fallita, ma sulla quale i dirigenti federali, sia pure con formule diverse, intendono ritornare. Qui la Dal Sasso ha conosciuto Nando Longoborghini, allenatore attuale della nazionale maschile di fondo, con il quale s’è unita in matrimonio la primavera scorsa.

Dicono i maligni che ti stai sottoponendo ad un allenamento troppo intenso e che prima dei campionati italiani sarai già scoppiata

– Non mi sembra. La mia giornata prevede un’oretta circa di sci al mattino, a seconda dei tipo di allenamento che devo fare, il lavoro in casa qui ad Asiago dove abito per il momento assieme ai genitori e, nel pomeriggio, se c’è tempo, un’altra breve sciata. Ho ovviamente delle giornate di riposo. Non mi pare di essere in superallenamento. Per carità, si può anche sbagliare, ma non mi sembra proprio di tirare più del normale.

Dicono ancora i maligni che il marito dedica molto più tempo a te che non alla nazionale maschile….

– Provi a chiedere a quelli della nazionale se è vero. Certo, se loro fanno delle gare alle quali posso partecipare anch’io, ci vado; non vedo perché non dovrei. Qui a casa viene pochissimo. Non ci incontriamo quasi mai. Da prima di Natale è la seconda volta che viene a casa. Questa è la realtà.

Fino a che punto ti è servita la presenza di un marito come Longoborghini per la tua preparazione agonistica?

– A lui devo tutto. Mi ha insegnato come sciare, come comportarmi in gara, mi ha corretto, mi ha dato la giusta impostazione, mi ha consiglia­to. Con lui ho anche capito che il fondo è una cosa seria davvero, che non è uno scherzo o un semplice divertimento come lo avevo concepito invece fino a due anni fa.

Tu  frequenti l’Isef a Milano. Per correre hai dovuto abbandonare la scuola. E stato un sacrificio accettato o una scelta voluta?

– E’ stata una scelta. Non frequento perché non ho voglia, tutto qui. Non ci sono altri problemi. Non è che lo abbia fatto per potermi allenare, pre­ferisco questo tipo di vita, per il momento. Poi ci ripenserò. Staremo a vedere.

Come  fondista pensi di avere già dato tutto o di potere offrire presta­zioni migliori?

– Non penso proprio di avere dato tutto. In fin dei conti scio con impe­gno a livello agonistico soltanto da due anni. Credo e spero di migliorare ancora.

Per quale motivo secondo te manca una squadra nazionale femminile di fondo?

– E’ una domanda alla quale è un po’ difficile rispondere. Quattro anni fa si era cominciato con quel tentativo poi naufragato. Perché la FISI ha sciolto la squadra sperimentale? Non lo so proprio. Ho chiesto anche ad Azittà: nemmeno lui sa cosa dire. Forse andiamo troppo piano, ma se si fosse insistito quattro anni fa i risultati adesso ci potrebbero essere. Non si poteva sperare certo in af­fermazioni immediate. Ora come ora di donne brave in Italia nel settore del fondo non ce ne sono, così di­cono in Federazione. Cosa si farà? Penso che prima deve nascere la campionessa e che dopo si penserà anche a questa benedetta nazionale. Almeno lo spero .

 

Ai campionati italiani torni per  vincere ovviamente, ma quali sono le colleghe che ti preoccupano di più?

–  Non lo si può mai dire. Ho visto la Maria Canins alla Marcialonga. Va bene davvero. Ma ci sono altre atlete che possono dare disturbo. Con il fondo non sì può mai essere tran­quille »,

Un’ultima domanda, Guidina: i bambini?

– Per il momento non se ne parla. Forse dopo i campionati italiani….

 

Una generazione sfortunata

 

Mi chiamo Sonia Basso e i lettori di SCI fondo dovrebbero conoscermi essendo già apparsa ripetutamente sulla rivista in occasione delle prove di sci e, in passato, negli inserti speciali della rivista SCI. Sono stata invitata a scrivere ciò che penso della situazione dei fondo femminile in Italia, o meglio, delle difficoltà che una donna incontra praticando il fondo a livello agonistico.

Le difficoltà effettivamente sono tante, molto spesso insormontabili per chi vive “per” lo sport ma, purtroppo, non “di” sport, A differenza dei colleghi maschi, che bene o male un incentivo ce l’hanno con i premi del Pool e con lo stipendio del Corpo militare, noi donne abbiamo, quando va bene, un rimborso spese quando si va a gareggiare per lo Sci Club. Aiuti dal Comitato pochi; considerazione ancora meno. Per questo mi sono vista costretta a cambiare Comitato e società (l’USA Asiago) per cui avevo svolto tutta la precedente attività. Con lo Sci Club Folgaria e il Comitato Trentino le cose vanno invece meglio: non tanto sotto il profilo economico, perché anche qui c’è solo il rimborso spese, quanto sotto l’aspetto dell’assistenza. Se non altro si interessano di te, dei tuoi problemi, cercano di seguirti almeno a titolo di incoraggiamento,

A livello FISI invece non esistiamo affatto, almeno finora. Non c’è una nazionale femminile perché quel poco che era stato fatto in passato è stato lasciato cadere. Non c’è dunque neppure quello stimolo che può venire dalla maglia azzurra. D’accordo che viviamo in tempi in cui certi valori non contano più, ma per qualcuno rappresentare la nazionale vuol dire ancora qualcosa. La FISI invece ci ignora, o quasi. Essere ignorate dalla FISI significa, di conseguenza, essere ignorate anche dalle case che forniscono i materiali agli atleti. Se abbiamo bisogno di qualcosa, dobbiamo acquistarcelo di tasca nostra o elemosinare, magari tramite amici, quello che ci serve. E non è certo una cosa simpatica.

Senza nessuna prospettiva futura, è chiaro che anche i programmi di preparazione e di gara sono condizionati dal lavoro o dagli impegni che ognuna di noi ha. C’è chi studia e chi, come nel mio caso, lavora.

La mia è una famiglia contadina e, con una ventina di bestie in stalla e qualche campo e bosco cui provvedere, il lavoro in casa non manca di certo. D’inverno faccio la maestra di fondo al Centro Fondo Gallio; d’estate, nell’alta stagione, la commessa in un negozio di abbigliamento ad Asiago. La mia giornata comincia dunque la mattina presto, per concludersi a tarda sera. In questo arco di tempo devo quindi trovare anche lo spazio per gli allenamenti.

Come dicevo, sono una che vive “per lo sport” e il fondo non è l’unica mia passione. Faccio anche atletica: corse campestri d’inverno – ho fatto parte della nazionale al Cross delle Nazioni nel ’76 in Scozia – corse in pista d’estate e, dallo scorso anno, anche giavellotto con la società Fiamma Molinari di Vicenza.

Tutto questo richiede tempo e impegno. Il tempo lo si trova allenandosi all’alba o all’ora di pranzo saltando il pasto; l’impegno deve essere costante, se si vuole emergere in campo nazionale.

Ma vale proprio la pena di sottoporsi a questi sacrifici? Per l’atletica direi di sì, se non altro perché a livello federale si trovano considerazione e appoggi. Per il fondo il discorso è diverso: continuo a farlo solo perché mi piace questa di­sciplina, e proprio perché mi piace ho dato vita, insieme all’amico Piero Segafredo, al Centro Fondo Gallio. Crediamo nel futuro dello sci nordico e pensiamo che le nostre aspettative non saranno deluse. Ce lo conferma il sempre maggior numero di persone che fanno capo al rifugio Campomulo, dove appunto ha sede il Centro Fon­do Gallio. La massa dei fondisti cre­sce ogni giorno e fa piacere vedere che sono molti i giovani che vogliono provare il gusto di una passeggiata sulle piste. Vengono senza attrezza­tura, per passare una giornata all’aria aperta, e si lasciano tentare: noleg­giano il materiale e partono. Magari in blue jeans e maglione. E’ appunto il vedere tutta questa gente che mi ripaga, più di ogni altra cosa, dei sacrifici che ho fatto e che farò per la promozione del fondo.

Per ritornare al discorso agonistico di prima, allo stato attuale delle cose non so proprio che dire sul futuro del fondo femminile, Ragazze valide ce ne sarebbero, almeno nelle cate­gorie giovanili. Si tratta solo di saperle “tirar su” mantenendo inalte­rata la loro passione anche quando crescono e raggiungono il punto “cri­tico” al momento della scelta se con­tinuare, o fare invece la vita di tutte le ragazze della loro età. Ed è ap­punto qui che devono intervenire le strutture federali.

Non so proprio come si potrebbe usci­re da questo circolo vizioso, anche perché la questione mi riguarda ormai marginalmente. Ho 25 anni e quello che ho fatto, compreso il titolo ita­liano assoluto 1977, l’ho fatto sempre da sola. Continuerò quindi su questa strada. anche se i risultati ne saranno inevitabilmente condizionati. Magari divertendomi nelle gare di massa che, sotto l’aspetto propagandistico per la mia attività di maestra di sci, ren­dono sicuramente di più delle vittorie nelle gare nazionali e anche del ti­tolo assoluto. Quello va bene per gli albi d’oro, non certo per vivere. Anche perché, se vinci un campionato italiano, lo sanno solo in pochi, con­siderato che i giornali non pubblicano niente, mentre se vinci una gara di massa, come possono essere la Galo­pera, la Millegrobbe, la Maratona di Folgaria o tanto più la Marcialonga, al­meno la massa dei fondisti sa chi sei e quando hai a che fare con loro trovi gente che già ti conosce. Clienti potenziali, quindi, per una maestra di fondo.

Spero dunque che la nuova genera­zione di fondiste abbia più fortuna della mia. Che sappiano almeno farsi più valere di noi o che siano più fortunate, e trovino qualcuno che le appoggi. Non è per fare la femminista, ma ritengo che non sia giusto questo divario fra maschi e femmine.

In fin dei conti facciamo entrambi la stessa fatica e meritiamo le stesse sod­disfazioni, anche se le soddisfazioni nel fondo sono sempre poche.

                                    Sonia Basso

 

Questo, dunque, l’esordio della rappresentativa, ma per arrivare al primo abbozzo di squadra deve passare ancora un anno e verificarsi la  ormai consueta “magra” anche alle Olimpiadi di Lake Placid dove si contava di fare risultato ma i maschi, invece, naufragarono. Le donne non avrebbero fatto peggior figura, se mandate. Azittà, che dopo questo nuovo smacco pensava di essere giubilato, fu finalmente d’accordo di aggregare anche tre ragazze alla squadra maschile in partenza per i Mondiali juniores: Bice Vanzetta, Manuela Di Centa, Antonella Bidinot. Non fu un gran debutto, visto che Vanzetta, la migliore, si piazzò oltre il 30° posto; l’importante, però, era che, almeno in embrione, ci fosse una specie di nazionale femminile che venne infine approvata dal nuovo Consiglio Federale. Ne facevano parte due seniores (Maria Canins e Bice Vanzetta, e quattro juniores (Manuela Di Centa, Antonella Bidinot, Marisa Masè e Cristina Pellegrini). Momentaneamente fuori gioco per maternità Guidina Dal Sasso. Il responsabile designato, che subentra a Glarei fatto fuori senza neppure il benservito, è l’aostano Migliorini, ex titolare di un’agenzia di viaggio, che il fondo lo aveva scoperto giusto l’inverno precedente in quanto aggregato alla nazionale maschile con il video-tape. Lo affianca, come preparatore atletico, il maestro dello sport Alberto Berto, che di fondo è completamente digiuno. Migliorini sarebbe stato scelto, secondo quanto affermato da Azittà,  perché “persona moralmente ineccepibile”, qualità evidentemente considerata essenziale per allenare la squadra femminile. La verità è che non si era trovato nessun allenatore disposto ad assumersi questa responsabilità, e si è ripiegato sull’unica persona che si è proposta per un incarico sgradito a tutto l’ambiente. Che fosse anche competente a quel punto importava poco: l’importante era salvare le apparenze.  Il fondo azzurro, comunque, ha un nuovo allenatore pescato all’estero, il finlandese Ville Sadehariu, e il direttore agonistico, dimissionario a giugno e riconfermato a conclusione di un walzer di poltrone  e di riciclo delle solite facce nella spartizione degli incarichi, può continuare impunemente nelle sue scelte sciagurate che si protraggono per qualche anno ancora.

La Canins, per quanto inserita in squadra, risulta regolarmente assente nelle gare in cui sono invece schierate le altre azzurre. Mancanza dell’apposito certificato medico, dicono in FISI, indispensabile per partecipare alle gare internazionali; boicottaggio da parte federale, sostiene il marito-allenatore Bruno Bonaldi, il quale è convinto che l’inserimento della moglie nella nazionale possa aver dato fastidio e  che si sia quindi fatto di tutto per impedirle di svolgere attività come le più giovani colleghe che batte regolarmente nelle gare nazionali e agli assoluti. Come si vede due posizioni antitetiche che si sarebbero potute chiarire se si fosse affrontata apertamente la situazione, discutendone a quattr’occhi invece che ignorarsi a vicenda come è sempre avvenuto. Nell’interesse dell’atleta ma anche della squadra e, per proiezione, del fondo femminile italiano. Un peccato che si sia verificato questo stato di cose. Il solo a beneficiarne è stato lo Sci Club Cortina che ha visto la sua atleta primeggiare nelle grandi manifestazioni popolari. Ma che risultato avrebbe dato un suo confronto a livello di Coppa del Mondo, su distanze a lei congeniali, con le atlete scandinave e dell’Est europeo? Un quesito al quale non si è mai potuto rispondere con cognizione di causa perché l’unica volta che si è presentata in gara, ai Mondiali di Oslo nel 1982, è stato a seguito di un compromesso raggiunto con il presidente Gattai di cui si parla diffusamente nel ritratto inserito nel settore “Personaggi”. Si era preparata per le granfondo, e non per i ritmi richiesti dalle distanze delle gare dei Mondiali  (10 e 20 km), ed è stata convocata all’ultimo momento.

A Oslo a porsi in evidenza è invece Manuela Di Centa ch,e dopo il 17° posto della 10 km, arriva ottava nella 5 km, lasciando sbalorditi i tecnici che non l’avevano neppure selezionata per questo appuntamento e che era rientrata nel compromesso cui si accenna prima. Si scopre così, con un ritardo di almeno quattro anni, in quanto precise avvisaglie c’erano state fin dalle prime apparizioni di Manuela sulla scena agonistica, che anche il fondo femminile può contare su una grande atleta in grado di far da traino ad un movimento in crescita. Il problema è “come” far crescere la Di Centa che, con il caratterino e la testardaggine che si ritrova, avrebbe bisogno di maturare in un ambiente costruito su misura, affiancata da persone in grado di capirla e consigliarla non soltanto sul piano tecnico e della preparazione, ma anche nelle scelte di vita. Che sono sbagliate (e cominciano con un matrimonio per il quale non era preparata) e che ne fanno un corpo estraneo all’interno della squadra, in urto continuo con gli allenatori prima e poi con lo stesso presidente della Federazione, avv. Gattai, dopo le fallimentari Olimpiadi di Seraievo, nel 1984.

In Bosnia è il trionfo di Marja Liisa Hamalainen (a sinistra) coniugata Kirvresniemi, che vince tutte e tre le gare, mentre “Manu”, tanto attesa alla prova, come miglior piazzamento ottiene il 24° posto nella 5 km, la gara che l’aveva rivelata a Oslo e nella quale aveva ottenuto l’argento ai Mondiali juniores. Al rientro scoppia la polemica, innescata da un’intervista sul “Gazzettino” nella quale Manuela e il marito Roberto Sioli  attaccano la Federazione e in particolare il presidente Gattai e denunciano le pressioni alle quali l’atleta era stata sottoposta perché si prestasse all’autoemotrasfusione, da lei rifiutata. Se ne va sbattendo la porta e da quel momento limita la sua attività di fondista alle gare nazionali e comincia a dedicarsi all’atletica, senza troppa fortuna da una parte e dall’altra, anche perché subentrano grossi problemi fisici (un malanno alla tiroide) che ne minano la salute. In nazionale rientrerà solo un paio di anni dopo, con l’avvento di Camillo Onesti alla Direzione agonistica del fondo femminile, con un proprio budget, propri tecnici e propri programmi che daranno al fondo femminile la tanto auspicata pari dignità con quello maschile. Sarà l’avvio di un periodo eccezionale perché alla ritrovata Di Centa si affiancherà l’entrata in scena di Stefania Belmondo. Medaglie a ripetizione, in una misura incredibile.

Fortunatamente per il fondo femminile, fino a quel momento a tenere in piedi la baracca aveva provveduto Guidina Dal Sasso, sempre puntuale ai grandi appuntamenti. Per anni ha fatto da “chioccia” alle ragazze di belle speranze che si sono succedute nella squadra, pagandone sulla propria pelle (e nei risultati) la gestione piuttosto sommaria: Klara Angerer, Paola Pozzoni, Germana Sperotto, Gabriella Carrel, Bice Vanzetta, Elena Desderi. Potenzialità mai messe in condizione di esprimersi completamente. Purtroppo a Guidino è mancato solo quel pizzico di classe in più che trasforma il grande atleta in un campione, e  vanta più di un credito con la fortuna che le ha impedito di arrivare in zona medaglia. I suoi migliori piazzamenti ai Mondiali il 7° posto nella 20 km di Oberstdorf e l’8°nella 10 km di Seefeld e alle Olimpiadi  l’11° nella 10 km di Calgary. Meritava sicuramente di più. I cinque titoli italiani assoluti (3 volte la 10 km e 2 la 20 km) vinti nel frattempo costituiscono solo una magra consolazione.

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