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Perché la sciolina?

Perché lo sci di fondo sia divertimento prima ancora che fatica (per quanto salutare questa possa essere), occorre che lo sci scorra facilmente in avanti, con la minima spinta, e che non rinculi al momento in cui la spinta viene effettuata con l’azione combinata gambe-braccia e con l’applicazione di una particolare tecnica di passi e di spinta. Che è poi quella del passo alternato per quanto riguarda la tecnica cosiddetta “classica”, che richiede l’applicazione di sciolina di tenuta nella parte mediana della soletta dello sci, in modo da impedire l’arretramento dello stesso, oppure la tecnica libera o skating, con il passo pattinato. Si avanza proponendo sulla neve il movimento latero-trasversale tipico del pattinaggio a rotelle, incrementato dalla spinta di entrambe le braccia che assicura avanzamento e tenuta, il che  rende superfluo l’impiego della sciolina che viene sostituita da paraffine che hanno lo scopo di assicurare scorrevolezza e velocità e che sono applicate sull’intera lunghezza dello sci.

E’ un’operazione, quella della sciolinatura, che non si può improvvisare: richiede conoscenze specifiche ed una certa esperienza, in particolare per quanto riguarda le scioline di tenuta. E’ pure un’arte in quanto occorre sensibilità istintiva nel fare la scelta giusta, ma contemporaneamente è anche una tecnica se si considera che la si impara attraverso continue sperimentazioni ed errori. In più è un problema personale, soggettivo, poiché quei principi generali di sciolinatura e di scelta delle scioline che vanno bene ad un fondista possono non andar bene ad un altro per il semplice fatto che il peso, la tecnica, lo stile e la forza dell’uno sono diversi da quelli dell’altro. Ad esempio, chi è forte e fa quindi gran uso della spinta di braccia ha sicuramente meno problemi rispetto a chi è debole di braccia e lavora quindi maggiormente di gambe. Si tratta dunque di adottare accorgimenti di cui ci occuperemo nei capitoli seguenti che ci conducono, partendo dalla “storia” della sciolina, a sviluppare l’argomento della preparazione degli sci sia per tecnica classica che per skating.

 

Sciolina story

 

Le prime scioline commerciali furono sviluppate verso il 1860 fra i cercatori d’oro della California, in occasione di gare di discesa che mettevano in palio premi fino a mille dollari in oro, che costituivano una somma enorme. Erano due le miscele di prodotti di origine animale o vegetale che andavano per la maggiore: The black dope (la lacca nera) e Sierra Lightening (folgore della Sierra). La formula, espressa in once (circa 30 grammi), prevedeva una mistura di 2 once di olio di balena,1/4 d’oncia di pece di pino, 1/8 d’oncia di canfora, un cucchiaio da tavola di balsamo d’abete e un cucchiaio d’olio di abete rosso. Tuttavia, se queste scioline avevano risolto il problema di un più agevole scorrimento in discesa, non costituivano certamente la soluzione migliore nello sci di fondo che, come movimento naturale, ha una storia millenaria iniziata quando l’uomo capì che, agganciando ai piedi due pezzi di legno sagomati in una certa maniera, poteva procedere più veloce e più sicuro, senza sprofondare nella neve, sia nei suoi spostamenti che nella caccia alla selvaggina.

Gli sci, come si evince da un’incisione rupestre scoperta su un’isola norvegese e da resti rinvenuti in paludi svedesi,  erano già conosciuti 5000 anni prima di Cristo. Millenni più tardi ebbero un impiego militare e dimostrarono la loro efficacia nel 1564 quando i soldati svedesi, attrezzati con gli sci, conquistarono la città di Dronthein arrivando prima dei norvegesi, che erano andati a piedi.

Come elemento sportivo, invece, il fondo venne scoperto solo nel tardo Medio Evo, ma la prima gara vera e propria è considerata quella di Tromsoe, nel 1843, mentre risale al 1893 la prima edizione delle gare di fondo e salto di Holmenkollen, in Norvegia, che i nordici considerano più importanti delle Olimpiadi in quanto vi partecipano tutti i campioni e non solo 4 atleti per nazione e per specialità come avviene nei giochi olimpici. A far conoscere gli sci oltre i confini scandinavi fu comunque il libro del grande esploratore norvegese Fritdiof  Nansen, che con questi attrezzi nel 1888 effettuò una marcia di oltre 600 km attraverso la Groenlandia.

 

Dalla prima klister  agli “inventori” italiani

 

Una tappa fondamentale nella storia dello sci è rappresentata dall’invenzione della sciolina klister, a base di resine vegetali e catrame, che ha reso possibile la marcia in salita anche su neve crostosa o bagnata, pur mantenendo le caratteristiche di scorrevolezza in discesa. Il brevetto, rivendicato da Østbye nel 1913, rappresentò l’inizio di una nuova era nel fondo: fino a quel momento, infatti, si dovevano annullare o differire le competizioni se le condizioni della neve non erano buone. Insomma, si gareggiava solo su neve farinosa, con le scioline cerose, che però non tenevano su neve ghiacciata o bagnata. La seconda importante tappa nella storia della sciolina si è invece registrata subito dopo l’ultima guerra mondiale quando le tradizionali materie prime di origine animale e vegetale sono state totalmente sostituite da materiali di sintesi che hanno permesso di migliorare notevolmente le caratteristiche di scorrimento e di ottenere nel contempo una qualità molto più stabile dei prodotti finali.

In Italia il primo ad occuparsi di scioline fu Gino Soldà (nella foto con il figlio Manlio), grande alpinista e sciatore il cui nome, oltre che allo sci e a tante scalate, è legato in particolare alla spedizione italiana al K2 del 1954. Atleta della nazionale, ci mise mano in occasione delle Olimpiadi del 1932 a Lake Placid, dopo che nella 18 km tutta la squadra italiana era naufragata per errori di sciolinatura. Allora c’erano solo tre tipi di scioline, fatte di miscele di catrami vegetali, peci e paraffine: per nevi fredde, per nevi farinose, per nevi ghiacciate e bagnate. Soldà cominciò a presentarsi con un pentolone e le sue miscele, che spalmava sotto gli sci con un pennello, ottenendo risultati incoraggianti che però davano poco a sperare in un futuro commerciale di un prodotto nato per intuizioni più che sulla base di conoscenze tecniche e chimiche. Erano in pochi a dargli fiducia; si preferivano le skare e klister norvegesi Østbye di color nero, o le Scionix A e B del milanese Barberis. Neppure uno zio, milionario di allora, fu disposto a fargli credito di quel poco che gli permettesse di attrezzare un piccolo laboratorio.

Riuscì a sfondare solo nel 1939, quando era allenatore federale per la zona di Torino e la Valle d’Aosta. C’era un campionato di alpini in congedo e Soldà si presentò al via. Scarsamente allenato, non era neppure all’altezza di tanti avversari. Però la sua klister andava meglio: vinse la gara, convinse anche gli scettici e aprì così la strada alle sue scioline di cui, con ulteriori perfezionamenti, ampliò la gamma una volta tornato a Recoaro, dove abitava. Poi, visto che il fondo non attaccava più di tanto e che se voleva vivere doveva trovare qualche altra strada, cominciò a dedicarsi alle scioline da discesa, campo in cui si è specializzato.

La sua attività è stata continuata dal figlio Manlio, perito chimico con una ventina d’anni di esperienza nell’industria alle spalle, che gli subentrò nel 1978 dando subito un indirizzo scientifico all’attività, con l’intenzione di dimostrare che “sciolinare non è un’arte magica, ma una scienza esatta” comprovata da una sperimentazione continua, da studi compiuti in collaborazione con docenti del dipartimento di chimica dell’università di Ferrara e dell’istituto industriale di Valdagno e pubblicizzati in tanti articoli scientifici. Nel 1983 l’immissione sul mercato delle prime scioline in polvere brevettate, seguite 5 anni dopo dalle prime scioline contenenti fluorocomposti, perfezionate nel 1992 e che contribuirono ai successi degli atleti azzurri in occasione delle Olimpiadi di Albertville e di Lillehammer. La gamma di queste scioline fluorurate è stata rinnovata nel ’98 con tre nuove linee tecnicamente molto avanzate, contenenti percentuali crescenti di fluorocomposti che fondono a bassa temperatura, con un rapporto qualità/prezzo estremamente concorrenziale.

Più o meno negli stessi anni di Gino Soldà, a cimentarsi con le scioline skare e klister ci provò Gaetano Moriondo (nella foto con il figlio Egidio), un monzese di 24 anni assunto in qualità di chimico dal cotonificio Fossati di Sondrio. Buon fondista, fu in Valtellina che iniziò a preparare scioline per uso proprio e degli amici, fra cui personaggi del calibro dei fratelli Aristide,Ottavio e Severino Compagnoni e Silvio Confortola, fondisti della Valfurva che andavano per la maggiore prima della guerra  e subito dopo il conflitto, e che rappresentavano l’élite della nazionale. Miscele di cere, paraffine e resine che preparava nel suo scantinato di casa trafficando con pentoloni, caffettiere, alambicchi e i bilancini di precisione del farmacista, con le formule scritte su vecchi calendari appesi ai muri un po’ ovunque. Scioline che, a differenza di quelle nere norvegesi, furono prima incolori e poi colorate in rosso, blu, giallo, viola ed argento per distinguerne l’impiego a seconda della temperatura e delle condizioni della neve.

 Non furono commercializzate se non più tardi, abbinate ad altri prodotti chimici quali le cere e la pece usate per l’industria delle calzature, poiché Gaetano Moriondo considerava il fondo un hobby più che una professione che avrebbe potuto aprirgli un futuro più remunerativo che non il suo lavoro di chimico che, però, gli garantiva una sicurezza per la famiglia senza i rischi che questa avventura presentava. Nacque comunque la ditta “Prodotti Emme” che, alla gamma per il fondo, negli anni ’50 affiancò le prime paraffine per le gare di sci alpino. Non disponendo di attrezzature sofisticate per i test dei nuovi prodotti, Moriondo si affidava ai consigli di amici e dei discesisti che avevano imparato ad apprezzarli. Fra costoro Bruno Angelini,  l’allenatore della squadra nazionale femminile, e Italo Pedroncelli, che fu anche responsabile del reparto corse della Spalding che forniva il materiale a Gustavo Thoeni. Persino  il “grande” Karl Schranz era un assiduo frequentatore di casa Moriondo.

Visto che il lavoro aumentava, associò il figlio Egidio, rientrato dal servizio militare, dando nuovo impulso all’attività con nuove scioline apprezzate anche dalla “Valanga Azzurra”. Dal 1967 Egidio, diventato titolare, trasferì la ditta in un capannone alle porte di Sondrio. Non avendo le cognizioni tecniche del padre, ha proceduto per intuizioni e sulla base dell’esperienza che si era già fatta; papà Gaetano, comunque,  resta un consulente prezioso ancora oggi che ha 89 anni e che solo da tre, per motivi di salute, ha abbandonato la pratica del fondo. La produzione aumentò anche perché le scioline Emme venivano commercializzate, oltre che con il proprio marchio, con quelli di aziende come Colmar, Tyrolia, Cober, Gartner, Boeri, Brunner, Gipron, Intermontana. C’è stato un momento in cui decine di migliaia di pezzi presero la strada degli Stati Uniti con una marca strana. Purtroppo in seguito ci fu anche chi si approfittò della  fiducia dei Moriondo appropriandosi delle formule e mettendo sul mercato scioline che, sulla spinta di una grossa organizzazione commerciale, sarebbero poi diventate famose.

Verso la fine degli anni ’80 alle cere e alle resine sintetiche si affiancano i prodotti fluorati; la base di partenza sono le cere per pavimenti cui viene aggiunta polvere di carbonato di fluoro. La giusta miscela viene trovata dopo una serie di test condotti con la preziosa collaborazione di Fausto Bormetti, di Livigno, atleta e attualmente skiman della Nazionale. Nasce così la linea MFL per fondo e discesa,  commercializzata in blocchetti o in polvere, che vanta il miglior rapporto qualità/prezzo. In un piccolo stick di forma cilindrica viene invece presentato il fluoro, differenziandosi dalle altre aziende che lo producono in forma di dado.

E’ nel 1953 che entra invece in scena Rizzieri Rodeghiero (nella foto con il figlio Giuliano e due atleti sovietici) che, per decenni, è stato il sinonimo del fondo italiano all’estero. Un mito. Ottimo atleta (7 titoli italiani, di cui 2 nella 18 km, uno nella 50 km e 4 nella combinata nordica fra il 1945 e il 1951), allenatore e tecnico federale, cominciò a produrre, nella sua casa di Asiago, le sue prime scioline dure  (verde, blu, rosa) che, come lo chiamano gli amici,  sono marcate con il diminutivo Rode. “Scioline Rode” il nome della ditta. La skare e la klister sarebbero venute più tardi in aggiunta alla gamma degli stick che, di anno in anno, diventava sempre più variegata e riduceva al minimo i margini di applicazione. Variazioni di un grado per le temperature attorno allo zero. La più nota e ricercatissima dagli atleti dell’Est, i sovietici in particolare, fu la blu stick da -2° a – 8°, dal caratteristico odore di catrame, ma altrettanto richieste la grundvalla, di color nero, che si usava con gli sci di legno per prepararne la soletta, e quella klister 20/80 color argento, favolosa con certe nevi umido-bagnate ma anche come base da far gelare e ricoprire con gli stick blu special in condizioni di neve ventata, e la klister da neve bagnata.

Poi le glider, le prime paraffine da scorrimento da stendere in punta e coda dello sci. Paraffine e scioline da tenuta che il figlio Giuliano, che ha lavorato al suo fianco per anni e che ne ha preso il posto alla sua morte, affiancato dalla sorella per quanto riguarda la parte commerciale, ha debitamente provveduto ad aggiornare con ogni prodotto innovativo reperibile sul mercato, incrementandole anche sotto il profilo numerico. “E’ stato duro convivere e resistere con un mito e continuarne poi l’attività, confessa Giuliano, poiché il confronto si propone inevitabilmente in ogni circostanza, ed è un confronto perso in partenza. Chi ha conosciuto il “Rode” lo può capire. Una personalità prorompente. Era considerato il migliore in tutto: il primo boscaiolo dell’Altopiano, un grande atleta portato ad esempio anche per il suo stile plastico, l’allenatore che ha contribuito alla crescita della nazionale di Nordlund e Nilsson, di cui facevano parte Federico e Giulietto De Florian, Marcello De Dorigo, Livio Stuffer, Franco Nones, Gianfranco Stella e Franco Manfroi. Infine l’indiscusso “mago” delle scioline”.

Giuliano Rodeghiero è comunque soddisfatto di quello che fa. “Pur con i miei limiti, perché io non sono certamente un tecnico come lo è stato papà, l’attività della ditta continua e gode, come un tempo, del consenso generale. Questo deriva anche dal fatto che la nostra produzione, che è studiata e testata con tecnici e skimen di tutto il mondo, ha marciato di pari passo con l’evoluzione tecnologica del fondo e delle richieste del mercato. Così, quando è stato introdotto lo skating, ci siamo fatti trovar pronti con particolari paraffine di scorrimento, e altrettanto abbiamo fatto quando è stato il momento del fluoro, presentando le prime cere in polvere e impiegando poi gli stessi componenti nelle scioline di tenuta. Logico, a questo punto, che si pensasse anche allo sci alpino, per il quale è stata realizzata una nuova linea di prodotti. Insomma, senza voler fare del trionfalismo, posso dire che la ditta continua nella tradizione e nella credibilità che le aveva assicurato il Rode“.

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